Siamo nel mezzo di un delicatissimo passaggio della storia, la fase in cui la società si sta finalmente risvegliando da un torpore delle coscienze durato molti decenni dando così inizio alla fase della comprensione aprendo finalmente le porte della percezione, riscoprendo che occorre confrontarsi e “fare rete”.
Esatto Fare … organizzare e plasmare una rete per dare una nuova gestione delle risorse pubbliche. Questo porterà un cambiamento della classe dirigente e politica che potenzialmente può produrre un “legittimo” frastuono ma tenendo duro porterà un valore esponenziale.
L’idea che ha esordito agli inizi degli anni novanta dopo vent’anni è alla sua svolta. Fra vent’anni, quando il fenomeno che stiamo vivendo sarà studiato dagli storici, verranno tirate le somme e si capirà se avremmo reagito con fermezza o meno alla tempesta che sta investendo tutta la struttura del sistema attuale, saranno le generazioni future a giudicare il nostro operato, per il momento il primo sostanziale cambiamento al sistema sta nel fatto che per la prima volta nella storia sono i Partiti ad uscirne con le ossa rotte.
Tutto questo è reso possibile perché con l’uso delle tecnologie della comunicazione cade il veto mediatico e unidirezionale permettendo a tutti di valutare l’operato del proprio riferimento politico al di la della linea guida del partito stesso, questo discorso sottintende che qualcuno possa realmente rappresentarti per argomenti, opinioni e altro, cosa ancora lontana da raggiungere nel nostro Paese, ma andiamo per ordine.
Estendendo il discorso su scala mondiale, possiamo renderci conto che in alcuni stati, dove le tecnologie sono rese facilmente fruibili, i cittadini hanno già accesso a molti dati pubblici, ed è proprio grazie a queste informazioni che le persone posseggono strumenti in grado di interpretare e mettere in relazione tutto ciò che li riguarda per quanto concerne la gestione pubblica. Questa evoluzione discende e prepara una nuova forma di cittadinanza e di democrazia, c’è un movimento che avanza lento e inesorabile in tutto il mondo, è una marcia pacifica, senza cortei, che sta raggiungendo risultati epocali, ed è il movimento dell’Open Government.
Spiego subito che il governo aperto è innanzitutto una nuova cultura, secondo la quale l’amministrazione deve essere trasparente a tutti i livelli e consentire un controllo continuo dell’operato mediante l’uso delle nuove tecnologie. Per dirla tutta, non è esattamente un’idea nuova, ma è rivoluzionaria la maniera di relazionarsi.
Con un’amministrazione impegnata in una costante discussione con i cittadini, in modo da sentire le loro reali problematiche giornaliere, prendendo decisioni basate sulle loro necessità e non solamente sulle statiche pianificazioni programmatiche. Tutto questo, era già auspicabile per un’amministrazione tradizionale, ma oggi questa idea diventa possibile grazie alle tecnologie e agli strumenti di partecipazione della rete. La centralità del cittadino, partecipazione, accesso ai dati pubblici e uso della rete nella sua completezza per intervenire alla cyberpolitica sono i tratti distintivi dell’Open Government.
Questa dottrina rappresenta anche un’occasione storica per riprogettare il modo di operare delle istituzioni e delle pubbliche amministrazioni. In particolare, per quanto concerne, il modo in cui interagiscono e si relazionano con i cittadini.
Infatti, un’amministrazione che intenda essere davvero aperta deve realizzare un cambiamento su almeno tre livelli:
1) Cambio culturale: ponendo al centro il cittadino e non le procedure.
2) Cambio dell’organizzazione: abbandonando il modello gerarchico, spesso non orientato all’efficienza ma alla sudditanza. Sistema in cui il cittadino è trattato come un numero costretto a subire passivamente le decisioni assunte dai pochi che gestiscono le istituzioni.
3) Cambio della forma di relazione: passando dalla logica dei certificati a quella della disintermediazione, dalle code alle comunicazioni online.
L’impulso decisivo alla diffusione di questo tipo di politiche è stata sicuramente l’attenzione dedicata al tema da parte di chi ha recepito gli insegnamenti della cultura aperta traducendola in un efficace modello amministrativo, ma la strada è ancora lunga e difficile, in molti si avvicinano a questo argomento senza avere le basi culturali ne tantomeno la volontà di cambiare la propria realtà, ed è normale che accade, perché in molte persone prevale il senso di proprietà rispetto a quello di partecipazione.
Chi mi segue in questo viaggio a volte rimane spiazzato dalla mia inflessibilità nei confronti di chi cavalca questa onda senza rispettarne i fondamenti, ma ritengo giusto far notare a chiunque, che se si tradiscono alcuni principi automaticamente si perde l’autorevolezza in questa cultura, come dire io sono una persona onesta ma ogni tanto chiudo un occhio.
A questo punto vi starete chiedendo quale siano questi principi che non si possono toccare?
Per come la vedo io ,la direttiva di base disegna un vero e proprio modello normativo-organizzativo, in questo schema sono codificati i tre pilastri della dottrina del governo aperto.
Pilastri che ogni amministrazione deve perseguire e sono:
TRASPARENZA: Trasparenza nel fornire ai cittadini tutte le informazioni sull’operato dell’amministrazione aiutando a ritrovare una nuova fiducia, oltre a infondere nuova linfa al sistema economico.
PARTECIPAZIONE: intesa a stimolare la partecipazione dei privati al processo decisionale, in quanto il ricorso all’intelligenza collettiva migliora la qualità delle scelte compiute dalle istituzioni.
COLLABORAZIONE: rivedere i modelli organizzativi in modo da garantire la costante collaborazione con altri Enti, organizzazioni no-profit e privati sfruttando al massimo gli strumenti disponibili nella rete.
Concludo questo testo mettendo in guardia il lettore, perché in molti hanno iniziato erroneamente a confondere la cyberpolitica del governo aperta con le tecnologie di software o dati aperti e in mezzo a questa confusione, i governi senza progetti reali in materia di trasparenza possono indossare il mantello di “governo aperto” semplicemente pubblicando dati on-line, informazioni nel web delle attività o semplicemente consentendo l’utilizzo di applicazioni come Google Maps per tracciare informazioni di rotta per gli autobus, come fanno a Budapest, tutto questo migliora sicuramente la vita per chi vive nelle città o passa di li, ma non ha nulla a che fare con un governo aperto nel senso tradizionale.
Basterebbe ripercorrere il cammino fatto fino ad ora, l’ascesa della tecnologia della rete ha iniziato a cambiare la cultura dal 1990, ed improvvisamente, un sacco di cose che non avevano nulla a che fare con il governo sono stati definiti “aperti” come i sorgenti software, le riviste scientifiche ad accesso aperto, le licenze Creative Commons per il copyright, ed altro.
Mentre la svolta è stata fornita dal governo federale americano che ha abbracciato questa cyber necessità nel 1995, quando ha creato il primo portale web che segue la legislazione al Congresso. Tali informazioni, tuttavia, non sono mai stato un segreto, è stato solo difficile da ottenere e in Italia sarà ancora più difficile fin tanto che i cittadini credono ancora ai camaleonti della politica e nella classe “perbene”.
Io non ci credo più e voglio leggere le risoluzioni che impattano sulla mia vita prima che vengano decretate, come si dice, se proprio lo devo prendere a quel posto almeno fatemi scegliere il partner.
dal sito Magarelli.net
Nessun commento:
Posta un commento