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sabato 25 agosto 2012

LA GUERRA E' STATA DICHIARATA...SERVONO RINFORZI


La guerra fra la finanza e la democrazia è cominciata, o meglio non è mai finita. Avevamo già detto che per tanti motivi questa sarebbe stata unalunga estate calda e il clima ormai si è surriscaldato abbastanza per farci credere che prima della fine dell’estate qualcosa in Europa potrebbe cambiare drasticamente e definitivamente. Quello che prima si prefigurava come un agguato silenzioso, subdolo, inesorabile, lento della finanza perl’espropriazione della ricchezza accumulata dalla popolazione e del patrimonio pubblico dello stato (in gergo tecnico questo processo si chiama estrazione di valore, ma il significato non cambia), ormai è sfociato in un conflitto aperto, palese, dichiarato. A differenza degli italiani che ancora bene o male riescono a vivacchiare con i vecchi risparmi, gli spagnoli sono ormai esasperati per la politica di austerità, tasse, tagli alla spesa pubblica con cui i mercenari al governo (Mariano Rajoy, primo ministro, Luis de Guindos, ministro delle finanze, Cristobal Montoro, ministro del bilancio) supportati dai banchieri di tutta Europa e di mezzo mondo stanno cercando di frodarli e derubarli. Per fortuna si tratta di una guerra che provoca pochi spargimenti di sangue, a parte i feriti che si contano a centinaia nelle manifestazioni di piazza che infuocano la Spagna, ma gli esiti finali sono gli stessi di un conflitto armato: la controparte vincente o che si reputa tale, la finanza, vuole adesso estorcere con forza o con l’inganno il bottino agli sconfitti, gli stati democratici e i cittadini.

Ormai non è più il caso di parlare con mezze parole o concetti ambigui, ma bisogna indicare le cose con il loro nome: la guerra può essere tattica, campale, strategica, ma sempre guerra è e in una guerra ci sono sempre due fazioni contrapposte, che cercano di prevalere sull’avversario e imporre le proprie ragioni e condizioni. Cosa credete che siano tutte quelle riunioni e vertici europei in cui vengono concordati all’unanimità patti di stabilità,Fiscal CompactMeccanismi Europei di Strozzinaggio? Trattati intergovernativi e sovranazionali tramite cui i vincitori cercano di dettare le clausole della resa agli sconfitti. E’ inutile girarci intorno, la finanza ha vinto (o meglio, crede di avere vinto) perché ha lavorato bene ai fianchi la politica e le istituzioni pubbliche da almeno trent’anni per mettere a punto questo suo piano di espropriazione della ricchezza a danno della maggioranza della popolazione e i cittadini hanno perso perché non hanno capito e in certi casi hanno fatto finta di non capire che tutte le manovre politiche di questi ultimi anni, di centrodestra, centrosinistra, centrocentro, sindacati, corporazioni industriali, lobbies finanziarie, erano votate al disegno europeista per portare avanti il solito piano dei banchieri: annullare gli effetti redistributivi della ricchezza che sono alla base di uno stato democratico e riprendere le vecchie sane abitudini della monarchia, della dittatura e degli stati assoluti e totalitari, in cui la ricchezza viene concentrata in poche mani, sempre le stesse. Solo per il dispiegamento di mezzi, la capacità di corruzione di un’intera classe dirigente, mediatica e accademica, le bizzarre teorie economiche inventate di sana pianta, i think tank, le fondazioni, i centri culturali, le organizzazioni corporative sparse in tutto il territorio, bisognerebbe dare atto ai vincitori che la loro abilità di organizzare le truppe è impressionante e meriterebbe un premio finale. Ma c’è un però.  
I cittadini, i lavoratori, gli sconfitti, gli oppressi, i derelitti, che purtroppo per i banchieri e per chiunque voglia ambire al potere assoluto sono e saranno sempre la maggioranza, non ci stanno e si rivoltano in pubblica piazza per evitare di essere espropriati con tale brutalità di ogni diritto democratico e derubati con cotanta indecenza di ogni pretesa a condurre una vita dignitosa. Per carità, una certa reazione da parte della popolazione civile era stata messa in conto, ma non in simili proporzioni, perché i “banchieri” (e quando parlo di banchieri mi riferisco a tutti gli uomini che nell'esercizio delle proprie  funzioni hanno contribuito al successo del piano elitario di cui sopra) non avrebbero mai potuto prevedere una crisi economica di questa portata e intensità, che dopo essere stata in qualche modo domata negli Stati Uniti, continua a imperversare in Europa per delle ragioni diintrinseca debolezza strutturale della costruzione totalitaria europea. Per dirla in altre parole, nel tentativo di accelerare i tempi di espropriazione i banchieri europei hanno voluto strafare progettando un’istituzione politica, economica, finanziaria come quella dell’eurozona fin troppo fallace, squilibrata, grossolana e adesso persino gli stessi banchieri americani, che sono senza ombra di dubbio i più ingordi e ignobili del mondo, con tutto il loro codazzo di politicanti corrotti, giornalisti asserviti, economisti piegati al volere del regime, si prendono gioco di loro, accusandoli di incompetenza, superficialità e approssimazione.

Paradossalmente anche per raggiungere i massimi livelli di avidità e ingordigia ci vuole una certa preparazione e non basta soltanto affiliarsi ai grandi gruppi finanziari americani come Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan (vedi le attività di consulenza di Romano Prodi, Mario Monti, Mario Draghi, Gianni Letta) o partecipare a quattro conferenze a porte chiuse del Gruppo Bilderberg o della Commissione Trilaterale per imparare tutti i trucchi del mestiere. Anche per essere ladri serve impegno, perseveranza, determinazione e non tutti nascono con le mani svelte e la mente raffinata di Arsenio Lupin. Ed è sufficiente a tal proposito guardare in faccia i vari Van Rompuy, Barroso, Olli Rehn, Junker, tutti i nostri politici presenti, passati e futuri per capire che qui in Europa siamo in presenza di rozzi e volgari ladri di polli, dai modi sbrigativi e dall’intelligenza limitata. Considerando poi che con tutto il rispetto e le eccezioni del caso, gli europei non sono polli da spennare come gli americani per evidenti ragioni storiche e culturali, sarà difficile che alla fine questi quattro cialtroni ben organizzati siano capaci di abbindolare per sempre tutti i popoli europei: come abbiamo spesso detto, la verità si può nascondere ad alcuni per sempre e a tutti per un certo periodo di tempo, ma non a tutti per sempre. E grazie al lavoro indefesso di alcuni economisti critici o eterodossi, giornalisti non schierati e perché no anche bloggers, la verità qui in Europa sta emergendo in tutta la sua grandezza ed evidenza.

Ma oltre alla stupidità e grettezza conclamata della classe dirigente europea, c’è un altro fattore strutturale che rende impervio e complicato il progetto dei banchieri di espropriazione della ricchezza dalle fasce medie e basse della popolazione: le banche europee sono troppe ed è difficile metterle d’accordo tutte insieme per perseguire un unico obiettivo comune, e in tempo di crisi, come accade oggi, ogni banca o sistema bancario nazionale tenta di difendere e segnare il suo territorio, finendo per danneggiare, consapevolmente o inconsapevolmente, il sistema bancario europeo nel suo complesso. La frammentazione bancaria rispecchia in pratica la stessa incapacità di coordinamento politico che sta portando dritta nel caos l’intera Europa, ma bisogna ribadire un concetto: la classe politica è sempre stata subalterna e agisce da corollario alla corporazione finanziaria, quindi la goffaggine di Merkel, Hollande, Monti, Rajoy è figlia della confusione di governo e del guazzabuglio di istruzioni spesso contraddittorie che arrivano dai dirigenti e funzionari di Deutsche Bank, Commerzbank, Bundesbank, Credite Agricole, BNP Paribas, Societe Generale, Unicredit, Banca Intesa, Banca d’Italia, Santander, ABN Ambro e chi più ne ha più ne metta. Per non parlare della BCE, che malgrado le rinnovate intenzioni di ampliare i suoi poteri di coordinamento e vigilanza dell’intero sistema bancario europeo, rimane fin troppo spaccata e divisa all’interno del suo stesso consiglio direttivo per pretendere di rivestire il ruolo di guida e comando del progetto di espropriazione democratico.

Una struttura autoritaria (o che ambisce a diventare tale) così dispersa, caracollante e ingovernabile è destinata al fallimento, all’implosione e non può essere per nulla paragonabile al monolitico assetto del sistema bancario americano in cui soltanto le prime cinque banche (Morgan Stanley, JP Morgan, Goldman Sachs, Bank of America, Citigroup) detengono il 60% di tutti gli assets finanziari degli Stati Uniti. In buona sostanza, come ci ricordano spesso le cronache, basta che quattro o cinque grossi dirigenti bancari americani si riuniscano una volta al mese in un qualsiasi ristorante di New York per indirizzare univocamente l’intera politica monetaria ed economica sia della banca centrale Federal Reserve (di cui le maggiori banche private sono proprietarie) che del Congresso (i cui membri sono spesso ex-funzionari bancari o gente direttamente reclutata e finanziata durante le campagne elettorali dai dirigenti del settore bancario). Per mettere insieme i dirigenti delle più influenti banche europee non basta invece un palazzetto dello sport, anche se bisogna ammettere che quando si sente in sottofondo la voce in lingua tedesca e francese, significa che il resto della sala deve fare silenzio.

Uno schema compatto e centralizzato come quello americano è quindi impossibile da riprodurre in Europa, a meno che le maggiori banche tedesche e francesi non inizino un lento e macchinoso processo di incorporazione delle banche più piccole della periferia, che risulta però difficile da attuare nel breve e medio periodo per i noti problemi di bilancio che coinvolgono tutte le banche europee indistintamente. In pratica, nella situazione attuale dianarchia decisionale che impazza in Europa, il progetto egemonico dei banchieri, a cui hanno lavorato con alacrità e dedizione funzionari, politici, tecnocrati da almeno trenta anni, viene reso nei fatti impraticabile dalla loro stessa divisione interna e dispersione territoriale e a differenza degli Stati Uniti, dove la dittatura finanziaria è ormai salda e incontrastabile, la democrazia in Europa ha ancora qualche possibilità di riscattarsi. Basta mettersi sulla sponda del fiume, organizzare la transizione e attendere che i banchieri, coadiuvati dai loro politici fantoccio, si distruggano a vicenda e rendano inevitabile la frantumazione dell’unione monetaria, che è il pilastro sul quale si basa l’intero progetto egemonico di espropriazione.

I cittadini europei hanno quindi una grande possibilità da sfruttare, cosa che per esempio i cittadini americani non hanno mai avuto e non avranno mai (per capirci, gli ultimi palpiti di democrazia parlamentare e popolare in America risalgono pressappoco ai tempi del presidente Lincoln, non a caso ucciso in circostanze sospette, dopo il quale l’impero finanziario si è piazzato e ha eliminato brutalmente tutti gli oppositori politici) e la guerra che poteva tranquillamente ritenersi chiusa è stata incredibilmente riaperta dagli stessi presunti vincitori. La crisi finanziaria globale è stata infatti un evento imprevisto e provvidenziale che ha scombussolato tutti i piani dei banchieri europei, costringendoli a cambiare continuamente programmi e a scoprire affannosamente le carte agli occhi degli osservatori internazionali più attenti. Un piano di espropriazione di ricchezza di enormi proporzioni come quello europeo, basato su un’unione monetaria, è storicamente fragile e delicato di per se (da Bretton Woods in poi, tutti i sistemi di ancoraggio fisso delle monete di una certa rilevanza sono falliti miseramente) e basta un niente per rendere insostenibili gli immensi squilibri finanziari e commerciali che si creano immancabilmente all’interno di un’unione monetaria di tale dimensione. Come viene ripetuto spesso, in Europa il latte è stato ormai versato ed è impossibile rimetterlo dentro la bottiglia, senza prevedere modifiche al progetto egemonico precedente e uno stravolgimento della struttura economica e finanziaria dell’unione che favorisca unamaggiore redistribuzione dei redditi (banca centrale che sostiene direttamente i deficit pubblici, trasferimenti fiscali dei capitali dagli stati in surplus a quelli in deficit, socializzazione dei debiti, creazione di diverse aree valutarie strutturalmente ed economicamente più compatibili). Proprio quello insomma che i banchieri hanno cercato di combattere fin dall’inizio con la creazione di un’unione monetaria europea asimmetrica e imperniata su una banca centrale privata, autonoma e indipendente. E piuttosto di cedere qualche concessione su questo punto, è molto più verosimile che i banchieri manderanno a gambe all’aria tutto il progetto, per concentrarsi maggiormente sui propri interessi nazionali e internazionali.

In pratica, per riprendere a rubare ricchezze, diritti, dignità ai cittadini e ai lavoratori europei, i banchieri dovrebbero rinunciare oggi a parte del bottino per sperare di recuperare il malloppo domani, cosa che per la stessa mentalità dei banchieri orientata alla speculazione a breve e brevissimo termine è impossibile da prefigurare e organizzare in tempi accettabili. Per come procedono infatti i lavori all’interno delle commissioni europee e dei ministeri dei singoli paesi, con i trattati di austerità che insistono sulla linea del rigore dei conti pubblici, le tasse, il taglio della spesa e la svendita del patrimonio statale, sembra molto più probabile che gli stati finiranno per distruggersi a vicenda, con le banche (non solo quelle europee, ma mondiali) in prima linea a cercare di arraffare gli ultimi assets pubblici di un certo valore, pur di non allentare la presa e dare un po’ di respiro alla cittadinanza e fiato a possibili rigurgiti democratici. Forse prevedendo appunto un rapido deterioramento del quadro generale e sommosse di piazza come avviene da sempre nel mondo in questi casi, i banchieri stanno cercando di forzare la mano e accelerare i tempi, mutando la precedente strategia di espropriazione progressiva e silenziosa, che come sappiamo è basata sui decreti legge e le ratifiche parlamentari che l’informazione di regime si è storicamente impegnata a non diffondere all’opinione pubblica, in una razzia furibonda. Per usare un’immagine allegorica, il banchiere europeo si trova oggi sul ciglio di un burrone e per afferrare il tesoro tanto agognato deve allungare le braccia e sporgersi ancora di qualche millimetro, rischiando di cadere nel precipizio. Cosa farà secondo voi il banchiere? La risposta è scontata, cadrà nel baratro insieme al suo tesoro.

In questo tentativo di rapina forsennata e aggressiva che deve procedere a ranghi serrati, una cosa è infatti estorcere il porto del Pireo ai greci, altra cosa invece tentare di dilaniare l’immenso patrimonio immobiliare spagnolo o italiano, come annunciato recentemente dal ministro dell’economia Vittorio Grilli con il programma massiccio di svendita degli assets pubblici italiani ad un ritmo di €20 miliardi all’anno. Una cosa è comprarsi con quattro pezzi di pane il silenzio della classe dirigente greca, il cui massimo esito di dissenso politico si manifesta con le esternazioni macchiettistiche e caricaturali dell’estrema sinistra di Syriza e dell’estrema destra di Alba Dorata, altra cosa è costringere milioni di disoccupati spagnoli e altri milioni di precari italiani, con un discreto livello di istruzione, a credere che le assurde idee politiche economiche professate da quattro cialtroni indottrinati alla scuola neoliberista americana o neoclassica austriaca siano giuste, divine, immutabili. Per un fatto di semplice calcolo statistico, in un grande paese con maggiori tradizioni culturali come può essere la Spagna o l’Italia (senza nulla togliere alle nobili origini, la Grecia di oggi è indegna dei suoi legami con il passato) è molto più facile che si crei una critica più strutturata, competente, puntuale ad un sistema e ad un regime che è ormai diventato indifendibile. Nonostante il ridicolo tentativo dei mezzi di informazione di massa, occupati quasi militarmente da giornalisti ed economisti prezzolati al soldo dei banchieri, di arginare la diffusione di idee e interpretazioni dell’attuale crisi finanziaria che rivelano con maggiore profondità le cause, gli effetti e le possibili soluzioni, alcuni concetti sono ormai di dominio pubblico e quantomeno in Italia, sta prendendo forma un primo abbozzo di una nuova classe dirigente che attende soltanto di essere reclutata, coinvolta e cooptata in un’unica proposta politica che raccolga tutte le sue istanze.

A tal proposito, va intesa in questo senso la pubblicazione dell’e-book gratuito Oltre l’Austerità, in cui un gruppo molto autorevole di economisti critici italiani guidati da Sergio Cesaratto e Massimo Pivetti ha fornito un’ampia e documentata descrizione di tutti i processi economici attualmente in corso in Europa, che secondo le parole dello stesso autore si propone di diventare “uno strumento di studio e di lotta politica”. La strada per iniziare il percorso di transizione è stata già tracciata insomma ed ora tocca agli italiani scegliere se credere agli organi di stampa del regime che hanno alcune ragioni evidenti per sostenere le tesi squinternate dei tecnocrati neoliberisti al governo (ricordiamo che i principali azionisti di quasi tutti i maggiori giornali italiani sono banche o società in qualche modo legate al mondo finanziario) oppure a degli accademici finora quasi completamente ignorati dai mezzi di informazione, che in modo disinteressato e sulla base delle loro personali competenze professionali decidono di unirsi insieme per fornire una chiave di lettura diversa della crisi e delle sue possibili vie di uscite. Considerando l’elevato numero di indecisi e di astenuti che supera abbondantemente la metà del corpo elettorale italiano e non si riconosce più in nessuno degli attuali schieramenti politici, la base per creare un futuro consenso intorno a queste nuove idee esiste, ma manca il contenitore politico in cui fare convergere tutte le iniziative che aspirano a guidare il periodo di passaggio nel modo più indolore possibile per il paese. A prescindere da ciò che accadrà nei prossimi mesi e dall’inerzia politica che ci circonda, un cambiamento di paradigma rispetto all’attuale impostazione cieca e autolesionista della tecnocrazia e della finanza europea si renderà alla fine necessario: bisogna solo decidere se governare questo cambiamento per minimizzare i contraccolpi sociali oppure lasciarsi trascinare da esso verso esiti ancora del tutto imprevisti ed imprevedibili.

Bisogna prendere atto purtroppo che gli organi della propaganda asserviti al potere finanziario hanno delle armi molto letali per distrarre l’attenzione e veicolare il consenso verso strade che sono evidentemente contrarie al benessere e agli interessi della collettività: il terrore psicologico e la semplicità dei loro slogan, che eludendo l’onere del ragionamento diventano immediatamente comprensibili a tutti. Puntando su uno schema che funziona ormai a tutti i livelli, i giornali così come le televisioni continuano ad inquinare il dibattito con delle falsità e menzogne che hanno il vantaggio di essere facilmente imprimibili nella memoria dei lettori o degli ascoltatori più disattenti, ma su cui chiunque abbia avuto il tempo e la volontà di ragionare sarà stato sicuramente capace di misurarne l’enormità spesso paradossale e inverosimile. Volendo fare un breve elenco di alcune scemenze che ogni giorno vengono ripetute come un mantra da tutti i menestrelli del regime finanziario e neoliberista, possiamo così sintetizzare (ovviamente si tratta di una lista provvisoria, che può essere aggiornata e corretta in qualsiasi momento):  

ü  L’unione monetaria è un processo irreversibile (falso: come abbiamo già detto tutte le aree valutarie con aggancio rigido delle monete hanno avuto sempre un inizio e una fine nella storia)

ü  La moneta unica conduce alla convergenza dei fondamentali economici, inflazione, competitività, produttività, livelli occupazionali fra i vari paesi membri (falso: la moneta unica amplifica i differenziali economici creando squilibri commerciali e finanziari permanenti, che non possono essere compensati con manovre di politica monetaria o fluttuazione dei cambi, ma agendo unicamente sulla svalutazione interna dei salari)

ü  L’uscita dall’euro sarebbe una catastrofe per l’Italia, perché l’enorme svalutazione della nuova moneta condurrebbe ad un'impennata insostenibile dell’inflazione e alla perdita generalizzata del potere d’acquisto (falso: storicamente la svalutazione di una moneta dopo un periodo di aggancio rigido con una moneta più forte si attesta intorno alla somma dei differenziali di inflazione cumulati anno dopo anno con il paese forte, che per l’Italia significherebbe una svalutazione del 20% circa rispetto al nuovo marco tedesco. L’inflazione, ovvero l’aumento dei prezzi al consumo, è un fenomeno molto complesso che dipende da tanti fattori, ma dati alla mano mantiene una bassa correlazione diretta con la svalutazione del cambio monetario, che favorendo le esportazioni accelera il recupero di competitività di un paese in crisi di bilancia commerciale con l’estero)

ü  In un regime di concorrenza perfetta, caratterizzato da ampia flessibilità dei prezzi e dei salari, il prodotto interno lordo di una nazione tende ad essere massimizzato al livello di piena occupazione (falso: la concorrenza perfetta non è mai esistita nella storia, i prezzi e i salari non seguono soltanto i normali andamenti delle curve di domanda e offerta, che possono essere decisivi all’interno di una singola azienda e di un singolo settore, ma cambiano in base a dinamiche macroeconomiche del tessuto produttivo, della tendenza alla concentrazione, della creazione di monopoli e posizioni dominanti e del mercato del lavoro nel suo complesso. Ad ogni modo, è storicamente documentato e dimostrato che in mancanza di un aumento della domanda aggregata, il prodotto interno lordo, che rappresenta l’offerta, può anche stabilizzarsi ad un basso livello di occupazione)

ü  La crescita economica dipende dell’aumento della produttività dei fattori capitale e lavoro (falso: in assenza di una domanda aggregata sostenuta, la maggiore produttività di un’economia si traduce in un aumento delle scorte di magazzino. Ragion per cui le aziende tendono spontaneamente a ridurre la produttività quando la domanda di beni e servizi sui mercati è scarsa)

ü  La libera circolazione dei capitali favorisce una migliore allocazione delle risorse (falso: i cosiddetti mercati finanziari ragionano sempre in un’ottica di breve periodo, favorendo la ricerca di rendimenti speculativi e la nascita di bolle finanziarie. Il controllo dei movimenti dei capitali deve essere sempre garantito dall’autorità monetaria nazionale, al fine di evitare l’inizio di crisi economiche irreparabili)

ü  La stabilità nei conti pubblici crea fiducia nei mercati (falso: ragionando sempre in un’ottica di breve periodo, i mercati finanziari si indirizzano non nei paesi dove i deficit pubblici vengono azzerati e dove esiste l’obbligo del pareggio di bilancio come in Italia, ma dove le prospettive di crescita economica e di ritorno dell’investimento sono più stabili. Per intenderci, ai mercati non interessa quanti soldi spende un governo e quanto ampi sono i suoi disavanzi pubblici, ma se i soldi spesi dal governo vengono fatti fruttare bene per sostenere la crescita economica di un paese e la redditività di un particolare investimento)

ü  Il settore pubblico è inefficiente, perché essendo disinteressato alla ricerca del profitto tende a sprecare risorse, mentre la gestione privata dei beni pubblici favorisce il recupero dell’efficienza e il benessere collettivo (falso: storicamente tutti i maggiori processi di privatizzazione dei beni pubblici hanno lentamente condotto ad un aumento dei costi o a un peggioramento della qualità dei servizi erogati)

ü  Un aumento della spesa pubblica sottrae risorse all’iniziativa e agli investimenti privati (falso: una maggiore spesa pubblica favorisce l’aumento della domanda aggregata e del reddito nazionale, che si ripercuote in una maggiore convenienza e disponibilità degli investimenti nel settore privato. In genere il settore pubblico e il settore privato non sono mai in concorrenza fra di loro perché si occupano di ambiti economici totalmente diversi)

ü  Il taglio della spesa pubblica e l’aumento delle tasse (austerità, disciplina di bilancio) sono l’unico modo per abbassare il rapporto fra il debito pubblico e il prodotto interno lordo (falso: le misure di rigore hanno effetti recessivi e fanno diminuire il reddito nazionale in misura maggiore del debito pubblico peggiorando il saldo finale del rapporto in questione. Paradossalmente un maggiore utilizzo in senso anticiclico dei disavanzi pubblici favorisce l’aumento del prodotto interno lordo che produce un maggiore gettito fiscale e accelera il processo di risanamento dei conti pubblici)
ü  Le finanza pubblica deve rispettare precisi parametri e soglie oltre la quale diventa inefficiente, come il limite del deficit/PIL del 3% o del debito/PIL del 60% (falso: l’economia non è una scienza esatta che può essere basata su precisi vincoli numerici e quantitativi, ma una disciplina sociale di organizzazione delle risorse che diventa efficiente ed efficace soltanto quando può essere utilizzata in modo flessibile e discrezionale, in base alle mutate condizioni ambientali. Non esiste un limite preciso di spesa o debito pubblico, perché come abbiamo già detto tutto dipende da come, quando, dove vengono spesi i soldi: in un periodo di recessione è buona norma aumentare la spesa pubblica per invertire il ciclo economico in corso, mentre al contrario in una fase di espansione è preferibile moderare i disavanzi pubblici per evitare eventuali fenomeni inflattivi. Il buon senso deve guidare l’economia in fase preventiva, mentre la matematica serve solo a misurare gli effetti delle strategie adottate in fase consuntiva)
   
ü  Il debito pubblico è l’unico problema di un paese (falso: il rischio sistemico di un paese si misura dalla quantità di debito totale accumulato, di cui il debito pubblico rappresenta molto spesso solo una minima parte. Nel computo del debito totale rientrano la somma dei debiti contratti dal settore pubblico e dal settore privato, che è formato da famiglie, società finanziarie e aziende non finanziarie. Fondamentale per la tenuta di un paese risulta anche il debito estero contratto con tutti i residenti stranieri per finanziare anno dopo anno i deficit delle partite correnti con l’estero, ovvero l’eccesso di importazioni rispetto alle esportazioni. Mediamente nel debito estero, il debito pubblico incide per un terzo del totale, mentre la restante parte è costituita da debito privato)

ü  La quantità di moneta a disposizione di uno stato è una risorsa scarsa (falso: storicamente lo stato sovrano non ha mai avuto limiti nella creazione di nuova moneta, essendo il monopolista unico dei mezzi di pagamento più importanti utilizzati all'interno di una nazione: banconote, monete metalliche, riserve bancarie elettroniche. La decisione unilaterale di privare gli stati della propria sovranità monetaria, come accade nell’eurozona, è una scelta politica e non economica, che favorisce la dipendenza dello stato dai mercati finanziari privati e serve a sottrarre diritti, tutele, redditi alla maggioranza della popolazione)

ü  La banca centrale deve essere un’istituzione autonoma e indipendente dal governo democratico di una nazione per garantire una maggiore efficacia delle manovre di politica monetaria (falso: la politica monetaria della banca centrale deve operare sempre in stretto contatto con la politica fiscale del governo, per garantire sia l’efficacia e la sostenibilità delle manovre economiche di spesa pubblica e tassazione, che gli obiettivi di politica monetaria, primo fra tutti la stabilità del tasso di interesse di riferimento, detto tasso ufficiale di sconto del denaro)

ü  La banca centrale può mantenere la stabilità dei prezzi e dell’inflazione attraverso il controllo dell’offerta di moneta (falso: la banca centrale può solo fissare il prezzo del denaro, ovvero il tasso ufficiale di sconto e la convenienza all’indebitamento, ma non può controllare l’offerta di nuova moneta che dipende dalla domanda di liquidità del settore bancario, che a sua volta è strettamente collegata alla richiesta di nuovi prestiti per finanziare le attività produttive e i consumi. Paradossalmente la relazione fra inflazione e offerta di moneta è inversa a quella comunemente propagandata, perché è l’aumento dei prezzi al consumo o la ripresa degli investimenti che trascina l’offerta di nuova moneta e non viceversa)

Come abbiamo già anticipato la precedente lista potrebbe crescere all’infinito perché infinita è la capacità della propaganda di regime di inventare ogni giorno nuove scemenze e menzogne per accalappiare il consenso dei più sprovveduti e ogni punto della lista dovrebbe essere approfondito e sviscerato in tutti i suoi dettagli per venire a capo dell’imbroglio e avere una maggiore padronanza della materia economica e finanziaria con cui veniamo continuamente attaccati. Tuttavia un elenco così sintetico e stringato potrebbe ritornare utile negliscontri corpo a corpo con le truppe ormai plagiate e lobotomizzate di lettori e telespettatori confusi.  Siccome siamo in guerra, tutti i mezzi sono leciti e chi di slogan ferisce alla fine di slogan potrebbe anche perire. Quindi consiglio a tutti quelli che intendono scendere in campo in questa lotta furibonda contro la tirannia della menzogna finanziaria di attrezzarsi per tempo con argomenti validi che possano all’occorrenza sfiancare le colonne di giornalisti, economisti, opinionisti, politicanti corrotti, elettori farlocchi dei partiti tradizionali che formano le falangi più agguerrite e impenetrabili della disinformazione programmatica. L’idiozia è una brutta bestia da combattere, soprattutto quando è mescolata ad una buona dose di masochismo: io posso pure capire un giornalista stipendiato da un banchiere o un trader finanziario che campa di speculazione, ma quando un impiegato statale o un operaio che vive di salario vota PD, SEL, PDL, UDC, IDV o qualsiasi altro partito che appoggia o troppo timidamente attacca il progetto estorsivo europeista si vede che ha perso completamente la bussola e non è più in grado di orientarsi da solo in mezzo a questo marasma. L’unica cosa che bisogna fare è aiutarlo in qualche modo a venire fuori dai pantani in cui è stato cacciato.

Fonti da cui reperire informazioni più complete ed obiettive rispetto a quelle della stampa di regime in effetti ne esistono a bizzeffe (basta poco per essere più obiettivi di un giornalista di Repubblica, Corriere o la Stampa) e gli ufficiali che possono mettersi alla testa di un nuovo esercito di liberazione dalla dittatura delle banche e dei mercati finanziari non mancano. Oltre a tutti gli economisti critici ed eterodossi che hanno partecipato all’utilissima pubblicazione di cui abbiamo parlato sopra, meritano una citazione anche altri economisti comePaolo SavonaNino GalloniGiulio Sapelli o il sociologo Luciano Gallino e il docente di filosofia del diritto Paolo Becchi. Insomma l’Italia non è la Grecia per tante ragioni, non ultima quella di avere un maggiore spessore culturale, tecnico e accademico da cui poter attingere e trarre ispirazione. Sempre in chiave divulgativa e descrittiva, risulta molto utile ascoltare la brillante analisi sul contesto politico e finanziario attuale espressa dal docente di storia del pensiero economico Giorgio Gattei (guarda video riportato sotto), che può essere riassunta in questo modo: nel mondo circola un’enorme quantità di debito inesigibile che qualcuno però si deve impegnare in parte a pagare, le banche americane non pagheranno perché sono coperte dalla banca centrale Federal Reserve, il governo americano non pagherà perché la Fed si è impegnata a sostenere il suo debito pubblico, le banche europee non pagheranno perché protette dalla BCE, quindi chi pagherà? I governi degli stati PIIGS della periferia europea e quindi in ultima istanza i cittadini portoghesi, irlandesi, italiani, greci, spagnoli. Una spiegazione chiarissima, che non fa una piega.

Tuttavia se gli ufficiali non mancano, purtroppo siamo costretti amaramente a constatare ogni giorno che passa lacarenza di generali che abbiano il coraggio di esporsi in prima linea e invocare con forza la nascita di un nuovo soggetto politico che rifiuti categoricamente l’euro come principale strumento di tirannia sociale e finanziaria e allo stesso tempo prenda le distanze dalle vecchie ideologie di destra e sinistra perché ormai obsolete e colpevoli di creare continui fraintendimenti nell’elettorato: ormai non esistono più destra e sinistra, capitalisti e classe operaia, borghesi e proletari, ma banchierimonarchicifascisti e totalitaristi che credono nell’egemonia della finanza sulle costituzioni liberali, sullo stato sociale, sull’economia del lavoro controdemocratici di qualunque ceto ed estrazione sociale che invece ambiscono a riequilibrare i valori in campo e a consentire una più equa redistribuzione della ricchezza e dei diritti. Chi credeva che il Movimento 5 Stelleavrebbe potuto un giorno rivestire questo ruolo di tutore della democrazia in Italia rimarrà molto deluso quando scoprirà che gli attacchi di Beppe Grillo alla casta sono funzionali all’annientamento pilotato della presenza stabilizzatrice dello stato nell’economia e favorevoli alla supremazia del neoliberismo selvaggio senza regole e controlli nei rapporti sociali e commerciali. In fondo lo stesso Grillo ha ammesso più volte che non ha alcuna intenzione di formare una nuova classe dirigente che sia capace di governare il cambiamento e regolamentare i processi finanziari, ma vuole solo occupare dei seggi in parlamento: coprire un vuoto con un altro vuoto e in questo modo incentivare il ruolo di guida sommersa e clandestina dei soggetti privati estranei al dibattito democratico, delle lobbies finanziarie, delle istituzioni sovranazionali. 

La guerra è iniziata quindi e continuerà presumibilmente per tutta l’estate, con bombardamenti di spreads su Italia e Spagna, attacchi frontali ai servizi pubblici e sociali, rappresaglie contro i risparmi dei cittadini, scontri in piazza fra disoccupati e poliziotti inconsapevolmente a guardia del regime. E se dalla nostra parte della barricata, malgrado qualche timido accenno di risveglio, regnano ancora sovrane la confusione, il caos e la dispersione delle energie, sull’altro fronte non si può dire che le cose stiano andando molto meglio, perché nonostante i banchieri cerchino di mostrare un atteggiamento risoluto e univoco, in verità sono altrettanto lacerati e frammentati al loro interno e in preda al panico. Emblematiche a tal proposito l’ultima uscita del governatore della BCE Mario Draghi: “Vediamo analisti immaginare scenari di esplosione della zona euro, vuol dire non conoscere bene il capitale politico che i nostri dirigenti hanno investito in questa unione e il sostegno degli europei (no, no, sappiamo bene che voi banchieri avete investito molto capitale, politico e finanziario, per distruggerci, ma in quanto al sostegno dei cittadini europei, avete mai vinto un referendum secco sull’uscita o la permanenza nell’euro?) o la dichiarazione molto esplicita del banchiere Unicredit autoproclamatosi ministro Corrado Passera"L'euro è un progetto su cui non si può essere incerti. E' il nostro progetto e lo porteremo avanti fino in fondo" (ancora una volta, sappiamo bene che l’euro è un vostro progetto, di voi banchieri intendo, ma siete sicuri che portandolo avanti fino in fondo non andrete a fondo anche voi?).



I banchieri giocano quindi a carte scoperte, ostentando una sicurezza perentoria e una sfrontatezza che potrebbe però nascondere la loro più grande paura: il timore che il gioco sia invece destinato a concludersi in breve tempo. Perché se persino Banca d’Italia ci ricorda che la famiglia di un operaio italiano stava molto meglio dieci anni fa, prima dell’ingresso dell’Italia nella zona euro (nel 2000, infatti, il reddito reale familiare equivalente disponibile per un operaio, apprendista o commesso, era pari a 13.691 euro, ma già nel 2010 era sceso a 13.249, ben -442 euro in meno) o che negli ultimi fatidici cinque anni di crisi sono stati persi circa -650 mila posti di lavoro solo nel settore industriale, significa che tanto uniti i banchieri non sono nemmeno loro. E se qualcuno avesse ancora qualche dubbio da quale parte stare, controlli bene la sua busta paga e verifichi la situazione lavorativa e occupazionale nella ristretta cerchia dei suoi amici e dei suoi parenti, per capire contro chi e contro cosa stanno muovendo guerra i banchieri. Ci vogliono poveri, facilmente ricattabili, facilmente spostabili da una parte all’altra del continente come merci, facilmente disposti ad accettare qualsiasi privazione dei nostri diritti e della nostra dignità, ci vogliono assetare, affamare, ci vogliono schiavi del denaro che loro stessi creano dal nulla, ci vogliono complici del loro modo crudele e brutale di fare affari calpestando la democrazia, la decenza, la salute nostra e del nostro pianeta. Ci vogliono morti viventi. Questa è guerra, signori, e se avete paura di combattere per difendere la vostra libertà, preparatevi a morire lo stesso, perché i banchieri non vi daranno scampo.

di Piero Valerio
dal sito TEMPESTA PERFETTA

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