di Lidia Undiemi
I mezzi di informazione stanno ponendo alla nostra attenzione una valanga di notizie riguardanti la riforma – si fa per dire – della Giustizia, che è palesemente orientata a rendere la magistratura serva dei capricci della politica.
Sinceramente, non credo che l'attuale governo riuscirà a realizzare questo pericoloso cambiamento dell'assetto dell'equilibrio dei poteri garantito dalla Costituzione.
Ad ogni modo, il futuro è per definizione incerto, può darsi che la riforma arrivi effettivamente a compimento oppure che svanisca dalla scena politica con un lieve imbarazzo da parte della maggioranza e facendo cantare vittoria ai suoi oppositori.
Una cosa però è certa, l'angoscia e la paura suscitate dall'annunciato terremoto istituzionale ha nuovamente orientato l'asse dell'attenzione lontano da quella che si potrebbe definire una riforma “occulta” della Giustizia.
Chi si sentirebbe al sicuro sapendo che c'è il serio rischio che l'attività investigativa dei magistrati e delle forze dell'ordine possa essere dettagliatamente supervisionata dagli stessi indagati, magari criminali, tramite infiltrazioni informatiche?
Se ciò accadesse realmente allora altro che scontro istituzionale, qui ci sarebbe in gioco una battaglia di sovranità fra lo Stato e i poteri forti sganciati dai canali istituzionali che pian piano assumeranno, tramite le privatizzazioni, un ruolo sempre più
marginale.
Non deve sfuggire al lettore il fatto che non si vuole affermare che l'informatizzazione del settore Giustizia, certamente necessaria, crea di per sé il terreno fertile per le infiltrazioni illecite, né tanto meno che sia questa l'intenzione del governo.
Quello che si intende dimostrare è che il modo attraverso cui questa ondata di innovazione tecnologica sta entrando nei tribunali e nelle procure pone un quesito cruciale: siamo sicuri che il sistema di privatizzazione e di centralizzazione dei servizi informatici in corso di attuazione non stia prestando il fianco a pericolosi traffici illegali di informazioni giudiziarie coperte da segreto?
La pubblica amministrazione ha affidato ad un Raggruppamento Temporaneo di Imprese (RTI) capitanato da Telecom Italia la progettazione, la realizzazione e la gestione di gran parte del nuovo sistema di informatizzazione del settore pubblico.
Ricordiamoci, fin da subito, che Telecom Italia è stata indagata, assieme alla Pirelli, per l'attività di spionaggio illegale realizzato anche attraverso intrusioni informatiche.
Questo scandalo si è concluso con l'accoglimento delle richieste di patteggiamento delle due società.
Ancora una volta è necessario sottolineare che nemmeno si vuol dire che le privatizzazioni siano di per sé un male per la collettività, ma se consideriamo il contesto sociale in cui versa il nostro paese, la straordinaria capacità delle tecnologie informatiche di riprodurre realtà altrimenti quasi inaccessibili e l'indiscutibile esigenza di blindare le informazioni giudiziarie coperte da segreto da eventuali accessi abusivi la scelta adottata dal governo risulta altamente discutibile.
Senza una chiara visione delle necessarie garanzie, che per primi i magistrati e i giornalisti dovrebbero pretendere di ricevere da chi ha avviato questo processo, l'autonomia della magistratura rischia di trasformarsi in uno specchietto per le allodole.
La vicenda è parecchio intrigata e allo stesso tempo intrigante.
Si intrecciano fatti e casi di personaggi di cronaca quotidiana che apparentemente si susseguono in modo disordinato ma che a quanto pare sono collegati da un ordine non casuale: la riorganizzazione dell'assetto di governo dell'informatica legata alle attività pubbliche.
prima parte
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