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martedì 18 settembre 2012

I GUADAGNI MILIONARI DELLE BANCHE SULLA CRISI ALIMENTARE

Quando in giro c’è puzza di bruciato prima o poi trovi sempre qualche grande banca con una scatola di fiammiferi in tasca. Questa volta a infiammarsi sono i prezzi di alimenti base come grano o soia da cui dipende la vita centinaia di milioni di persone. A soffiare sul fuoco è invece soprattutto la banca inglese Barclays  – quella dello scandalo sulla manipolazione del Libor, il tasso che regola i prestiti interbancari in valute diverse dall’euro - responsabile delle speculazioni più massicce sui beni agricoli che, come denuncia il World Development Movement, le hanno garantito guadagni per mezzo miliardo di sterline (630 milioni di euro) negli ultimi due anni.
Numeri alla mano, nel 2012 le quotazioni della soia sono aumentate di oltre il 30% e durante l’estate quelle di grano e mais sono schizzate rispettivamente del 30 e del 38 per cento.

La Banca Mondiale ha recentemente segnalato che il costo medio mondiale degli alimenti base è ormai ai massimi storici e ha denunciato come 44 milioni di persone nel 2011 siano scivolate nella povertà a causa della corsa dei prezzi del cibo.
Ad innescare i rialzi più recenti è stata innanzitutto la siccità che quest’estate ha ridotto sensibilmente i raccolti di Stati Uniti e Russia ma, come sempre in queste situazioni, l’azione speculativa arriva in un secondo momento per sfruttare e amplificare i movimenti dei prezzi. Il valore complessivo dei derivati sulle materie agricole, ossia quegli strumenti finanziari come i futures o le opzioni utilizzati dai grandi investitori per scommettere sui rialzi dei prezzi, supera infatti ormai i 125 miliardi di dollari, un valore più che raddoppiato rispetto a quello di cinque anni fa.
Oltre a Barclays il World Development Movement indica Goldman Sachs e Morgan Stanley tra le banche più attive nella speculazione alimentare, pur senza fornire l’ammontare esatto dei loro profitti. Gli altri big della finanza sembrano invece avere una posizione più defilata. Royal Bank of Scotland ha venduto la sua divisione dedicata alle commodities agricole, HSBC concentra le sue scommesse sui metalli, Jp Morgan soprattutto sul petrolio, mentre la svizzera Ubs predilige i metalli preziosi pur avendo manifestato di recente la volontà di tuffarsi anche nel mercato delle materie prime agricole. Grandi speculatori su beni alimentari erano fino a poco tempo fa anche le tedesche Deutsche Bank e Commerzbank ma una crescente pressione dell’opinione pubblica le ha indotte a ridimensionare sensibilmente la loro attività in questo campo.
Scoprire con precisione quanto le banche investano su grano, mais, riso o soia è tutt’altro che facile. Per ovvie ragioni non sono dati che gli istituti di credito amano divulgare e spesso nei loro bilanci i profitti realizzati sulle diverse materie prime vengono accorpati sotto un un’unica voce. Un modo indiretto per capire quanto sia forte la presenza di una banca nel mercato delle materie prime è rappresentato dal cosiddetto VAR (Value at Risk), un indicatore utilizzato per calcolare a quanto potrebbe ammontare la perdita massima realizzabile in un singolo giorno. Dagli ultimi dati disponibili si scopre così che in sole 24 ore Barclays potrebbe arrivare a perdere 25 milioni di dollari per le sue scommesse sulle materie prime. Goldman Sachs potrebbe invece mandare in fumo fino a 23 milioni, Morgan Stanley 26 milioni, Jp Morgan 14 e Ubs circa 4 milioni.
Le banche erano già finite nell’occhio del ciclone nel 2008, quando in pochi mesi i prezzi dei beni agricoli volarono alle stelle innescando crisi alimentari, proteste e rivolte in diversi paesi del mondo. E’ difficile stabilire con esattezza quale sia l’incidenza della speculazione nel movimento al rialzo dei prezzi, tuttavia è innegabile che un effetto ci sia. Ad ammetterlo sono stati gli stessi analisti di Barclays che in una nota inviata ai propri clienti hanno spiegato come l’azione della finanza stia effettivamente spingendo i prezzi al rialzo. Due settimane fa Chris Mahonley, il direttore della divisione agricola della multinazionale svizzera Glencore, (di cui si parla molto in questi giorni come possibile acquirente dello stabilimento Alcoa di Porto Vesme) ha descritto la crisi alimentare in atto e la corsa dei prezzi come una “buona occasione d’affari”. Un’altra conferma indiretta arriva dalle parole di Howard Shulz, amministratore delegato della catena Starbucks che ha recentemente affermato: “Il prezzo del caffè è ai massimi da 34 anni e su livelli da record si trovano anche altre commodities agricole senza che questo abbia niente a che fare con il meccanismo della domanda e dell’offerta”.
di Mauro del Corno

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