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venerdì 26 ottobre 2012

BAMBINI SCHIAVI PER FARE CIOCCOLATINI


Che mondo sarebbe senza bambini schiavi venduti a 230 euro l'uno? 
E quanta scioglievolezza c'è nel pianto silenzioso di un undicenne abbandonato alla frontiera e pronto per essere caricato dal primo trafficante che passa? E ancora, quanta carica di energia servirà allo stesso fanciullo prima che diventi forte e robusto, tanto da sfuggire ai suoi aguzzini senza essere centrato da una fucilata? C'è un angolo della Terra dove il cioccolato non fa male ai denti dei bambini, ma alla loro schiena. Un triangolo, per l'esattezza, che comprende i poverissimi stati del Mali e del Burkina Faso confinanti con la Costa d'Avorio, il Paese che produce il 40 per cento di tutto il cacao consumato nel mondo.

La denuncia alle multinazionali. È la storia dei bambini schiavi nelle piantagioni ivoriane raccontata da un giornalista danese, Miki Mistrati, nel suo documentario The dark side of Chocolate, girato insieme al filmaker Roberto Romano un paio di anni fa e da poco sottotitolato in italiano. 

E' il biglietto da visita più efficace per quelli di Altrocioccolato 3, la rassegna umbra che da 12 anni fa da controcanto alla celeberrima kermesse perugina di Eurochocolate 4, vetrina luminescente per le multinazionali dolciarie. Inizialmente si era provato un contatto fra le due iniziative ma le denunce degli equosolidali erano insostenibili per il patron di Eurochocolate, Eugenio Guarducci. Da allora è un susseguirsi di reciproci sgambetti, loro che inventano Equochocolate ma si scordano  di depositare il marchio, lui che gli scippa il nome e di fatto la rassegna, loro che cambiano nome e diventano Altrocioccolato, lui che si offre di fare il volontario nelle equobotteghe, loro che l'accusano di cannibalismo mediatico. In realtà "loro", ovvero il circuito diAltromercato, ce l'hanno più con le multinazionali che con l'organizzatore del Festival.

Cacao e traffico di bambini. Nella tre giorni che apre i battenti oggi a Castiglione del Lago, propaggine perugina sulle rive del Trasimeno e a due passi dalla Toscana, ospite d'onore sarà l'ambasciatrice della Costa d'Avorio in Italia, Janine Tagliante Saracino. La Saracino incoraggia apertamente i tentativi di scardinare il mercato dei produttori di cacao, coloro che materialmente organizzano il traffico di bambini. Stime di dieci anni fa valutavano in 378 mila i minori coinvolti nella raccolta delle cabosse di cacao. Li caricano nei pullman con la promessa di fargli guadagnare qualche soldo, maschi e femmine non fa differenza, quindi li abbandonano vicino alle zone di confine, lasciandoli nella disperazione. Qui, giovani emissari in moto li fanno passare per le strade secondarie non presidiate dalla polizia (c'è chi parla di complicità), un'azione ben documentata da Mistrati e Romano che hanno ripercorso tutte le tappe del traffico minorile, attenti a non fare la fine di un collega canadese, anche lui sulla pista dei bambini schiavi e trovato morto ammazzato.

Non solo denunce, anche tanto cioccolato. Gli organizzatori della rassegna ci tengono a dire che nella tre giorni del cioccolato equo, da oggi a domenica, non c'è solo l'azione di denuncia, che c'è da gustare tanto cioccolato, per di più con la coscienza a posto, che esistono le stanze dei sensi dove la cioccolata si assaggia con la bocca ma anche con le mani, il naso, perfino con le orecchie, attraverso i rumori delle piantagioni di Modica.
La questione ivoriana torna tuttavia prepotentemente alla ribalta, stavolta in toni più incoraggianti, con l'ultimo colpo messo a segno dal circuito umbro equosolidale, che sfruttando un periodo di vacatio legis è riuscita a stabilire una collaborazione con la cooperativa locale Caupro e allestire così una filiera garantita di produzione. 

Il circuito equosolidale umbro. 
Si cerca di fare quello che il circuito equosolidale umbro (e non solo) ha già messo in atto in altre parti del mondo, come in Ecuador, dove si batte per fermare il disboscamento degli orti naturali del cacao (le huertas)  distrutte per far posto alle nuove coltivazioni intensive del Ccn51 (Colleccion Castro Naranjal numero 51), molto più produttive ma anche più povere di ricchezze organolettiche. O ancora in Paraguay, a Manduvirà, dove la cooperativa equo e solidale di produttori di zucchero conta oggi 1400 soci, di cui 820 piccoli proprietari terrieri che vivono dignitosamente grazie alla coltivazione di zucchero biologico (la scommessa, ora, sta nel costruire un proprio zuccherificio e passare alla produzione senza intermediari).

Ci saranno anche i bambini schiavi? 
A questo punto resta da sapere se quelli di Altrocioccolato vorranno portare la voce (ma bastano solo le facce) dei bambini schiavi tra le migliaia di visitatori che fra pochi giorni affolleranno Perugia per Eurochocolate. Ne parla Andrea Mecozzi, un tempo collaboratore di Guarducci e ora convertito portavoce di Altrocioccolato. "È necessario un consumo più responsabile del cioccolato. Il cacao prodotto da quei bambini è in ogni cioccolatino che compriamo al bar, in ogni barretta, nella polvere che macchia il cappuccino. La politica deve svolgere il suo ruolo e va detto che in Costa d'Avorio ci sono seri tentativi di contrasto al fenomeno, che in parte si è ridotto, ma certo non è stato debellato. Le multinazionali come Nestlè, Adm, Armajaro, Cargill e Barry Callebault sostengono di non essere loro le proprietarie delle piantagioni, in alcuni casi si fanno anche certificare la filiera: sta di fatto che in Costa d'Avorio ci sono migliaia di loro filiali, con enormi magazzini che incidono eccome sul prezzo in borsa del cacao. 

Nessuna politica contro lo sfruttamento
In particolare Nestlè e Barry Callebault, che ricopre di cioccolato la gran parte dell'artigianato dolciario italiano, quindi anche i piccoli laboratori, non hanno sviluppato fino ad oggi politiche contro lo sfruttamento minorile nelle piantagioni di cacao. Se non lo fanno di loro volontà è bene che siano i consumatori a farglielo fare". Che, detto da Perugia, la città dei Baci da anni diventati proprietà della Nestlè, suona  in modo quantomeno provocatorio. Chissà che non avesse ragione la geniale inventrice dei Baci (battezzati così dal suo socio e amante Giovanni Buitoni): si chiamava Luisa Spagnoli, la stessa che escogitò la lana d'angora, un cachemire fatto con i conigli. Nel vedere tutto quello scarto di noccioline e granella pensò bene di recuperarlo e farne un cioccolatino, piazzandoci sopra una grossa nocciola. L'effetto finale era lo stesso di oggi, un grumo di cacao con una nocchia all'infuori. Di getto li chiamo "cazzotti". Scambiamoci un mondo di cazzotti forse suonerebbe meglio.    

Sono 378 mila i bambini coinvolti. 
Nel 2001 l'agenzia internazionale per la tutela dell'infanzia dallo sfruttamento del lavoro minorile (ILO) stimava che fossero 378.000 i bambini coinvolti nelle piantagioni della Costa d'Avorio. Dal 2003 Save the children 5 denuncia come in Costa d'Avorio ci sia lo sfruttamento sistematico dello schiavismo minorile nelle piantagioni di cacao. Ad oggi non ci sono dati chiari, ma la situazione di forte instabilità nel nord-ovest del paese, dove lo stato ancora non ha il pieno controllo del territorio, è stato dimostrato come crei sacche di tratta dello schiavismo minorile, soprattutto dal Mali e dal Burkina Faso. Il tutto stimolato dal fenomeno dell'abbandono delle terre. Molti contadini delle etnie autoctone sono scappati dalle proprie piantagioni durante la crisi elettorale e al loro ritorno hanno trovato occupanti provenienti da paesi vicini che usano ampiamente la manodopera minorile per la coltivazione del cacao. 

Le multinazionali in costa d'Avorio. 
Le multinazionali presenti in Costa d'Avorio declinano ogni responsabilità, coprendosi pilatescamente dietro alla scusa che non sono i proprietari delle piantagioni. Quando invece nel paese che produce il 40 % del cacao mondiale e che viene usato per contrattare i future sul mercato delle borse internazionali, sono presenti migliaia di filiali su tutto il territorio delle multinazionali Nestlè, ADM, Armajaro, Cargill e Barry Callebault. La quali spesso hanno magazzini di proprietà per lo stockaggio del cacao nei villaggi e sono direttamente responsabili della fissazione del prezzo. Un produttore ivoriano ad oggi spende 1,20 per produrre un kilo di cacao e gli viene pagato 1 euro, quando va bene. 

I minorenni nelle piantagioni. 
E' ovvio che nel momento in cui un contadino lascia il proprio terreno e questo cade in mano ad un avventuriero o ad uno speculatore sarà molto facile che i 230 € per un bambino vengano tranquillamente spesi. Barry Callebault è uno dei maggiori fornitori di cioccolato da copertura per la cioccolateria artigianale italiana e Nestlé è la più grande multinazionale alimentare presente in Italia, nessuno dei due ha ad oggi politiche per il contrasto del lavoro minorile nelle piantagioni, anche perché se le attivassero lederebbero direttamente i propri interessi economici di speculazione sul prezzo del cacao. Il cacao della Costa d'Avorio è ovunque, dalle gocce di cioccolato nel ciambellone, alla base per il gelato al cioccolato, al cacao che mettiamo sul cappuccino la mattina. Senza un'opera di sensibilizzazione migliaia di bambini continueranno ad essere sfruttati.

di Leonardo Manà
fonte: LaRepubblica.it

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