Confermato il rischio nucleare in Piemonte: è la regione italiana più esposta al pericolo di radiazioni, sia per i depositi di scorie radioattive che per gli scarichi di origine nucleare nell’aria e nell’acqua. Lo confermano i dati contenuti nell’ultimo dossier dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. «Situazione che non tenderà certo a migliorare nel futuro», segnala Rossana Vallino su “Obiettivo Ambiente”, il magazine di Pro Natura Torino, che rilancia la denuncia: «Ci sono ben cinque nuovi depositi nucleari in progetto nella nostra Regione». E, come se non bastasse, sono ricominciati «gli inutili e pericolosi trasporti nucleari verso la Francia», spesso ostacolati dalle dimostrazioni dei No-Tav lungo la ferrovia in valle di Susa. Quanto basta per lanciare un forte grido d’allarme: «La stagione nucleare in Piemonte non è per nulla finita ed anzi si consoliderà sempre più se non si riuscirà a far applicare allo Stato le leggi che lui stesso si è dato per la costruzione di un deposito nucleare centralizzato in un sito più idoneo, che per la legge 368 del 2003 doveva essere già terminato nel 2008».
L’elenco dei veleni è sterminato: il Piemonte “ospita” il 96% delle tipologie di sostanze radioattive. Se si considerano soltanto i rifiuti radioattivi, scrive
“Obiettivo Ambiente”, il Piemonte è costretto a subire la presenza di oltre il 72% delle scorie italiane: anziché trasferirli, si prevede di mantenere molto a lungo questi residui, «grazie alla realizzazione di nuovi depositi nucleari collocati negli attuali siti di Saluggia, Trino e Bosco Marengo». Poi il capitolo scarichi: gli impianti nucleari, anche solo per le attività di mantenimento in sicurezza, «scaricano in aria e in acqua rifiuti radioattivi in modo sistematico e “autorizzato”», nonostante il fatto che sostanze come il trizio allo stato gassoso sia altamente radioattivo e responsabile dell’alterazione delle condizioni ambientali di Trino Vercellese. Sempre il trizio, aggiunge la rivista di Pro Natura, viene tranquillamente scaricato – nel Lago Maggiore – dal centro nucleare Erautom dell’Ispra, in provincia di Varese.
«In Piemonte – aggiunge Rossana Vallino – sono già stati autorizzati o sono in avanzato corso di autorizzazione numerosi nuovi depositi nucleari», a Bosco Marengo in provincia di Alessandria, nonché nel Vercellese, a Saluggia e Trino. «Formalmente si tratta di depositi “temporanei”, ma siccome del deposito nazionale “definitivo” non se ne parla neppure, è facile pensare che questi numerosi depositi saranno destinati ad ospitare i materiali radioattivi chissà per quanto tempo». Aver deciso di realizzare i nuovi depositi in queste località anziché in un sito speciale protetto, aggiunge “Obiettivo Ambiente”, significa «aver deciso di aumentare i rischi in caso di un eventuale incidente, o catastrofe naturale, atto terroristico o
evento bellico». Infatti, i siti nucleari piemontesi «non sono per nulla idonei per questa funzione, anzi sono veri e propri “siti ad elevato rischio”».
Senza contare, naturalmente, i “treni nucleari” che attraversano il Piemonte per il programma di “riprocessamento” delle scorie, trattate per 15 anni a Saluggia nell’impianto Eurex. «Questa attività – spiega Pro Natura – ha richiamato a Saluggia le barre di combustibile irraggiato delle centrali di Latina e Garigliano, e anche di quella canadese di Pickering, trasformando Saluggia nel sito più nuclearizzato di tutta Italia, con una colossale presenza di rifiuti ad alta radioattività e di plutonio, e con considerevoli scarichi di radioattività in aria e nel fiume Dora Baltea». Secondo gli ambientalisti, il “riprocessamento” non è assolutamente necessario: «Per la maggioranza dei combustibili nucleari (compresi tutti quelli che ci sono in Italia oggi) sarebbe molto più vantaggioso, per quanto riguarda i rischi e persino i costi, evitare il riprocessamento e procedere al loro stoccaggio in un idoneo deposito centralizzato, individuato con oggettività, democraticità e partecipazione».
Invece, i “treni nucleari” percorrono il Piemonte diretti inFrancia, attraverso la valle di Susa, per “riprocessare” negli impianti transalpini i combustibili nucleari ancora presenti in Italia: si è iniziato con i 1.032 elementi della centrale di Caorso (16 spedizioni avvenute tra il dicembre 2007 e il maggio 2010) e si sta proseguendo con gli elementi custoditi a Saluggia e Trino, «incuranti persino del possibile uso militare dell’uranio e del plutonio che verranno recuperati», sostiene Rossana Vallino. Senza contare poi i numerosi trasporti nucleari “di ritorno” per ritrasferire in Italia i rifiuti radioattivi trattati in Francia. «Tutti questi trasporti nucleari sono sempre transitati attraverso il Piemonte e continueranno a transitarvi anche per il futuro», attraversando le zone di Vercelli, Novara, Alessandria, Asti e Torino verso Modane, «creando così, senza alcuna giustificazione, ulteriori situazioni di rischio in caso di malaugurati incidenti o atti di terrorismo lungo il percorso». Nonostante precisi obblighi di legge in caso di trasporti radioattivi, alle popolazioni che vivono lungo la ferrovia «non è mai neppure stato reso noto il contenuto del piano di emergenza previsto». Mancanza di trasparenza e sicurezza: questa la ragione dei tanti sit-in organizzati dai No-Tav in valle di Susa.
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