L’Europa
è una grande famiglia. Ossia un covo di vipere, per dirla con Freud.
Mentre l’austerity scalda le piazze del continente e l’Eurozona
cade di nuovo in recessione, ad esacerbare le già ampie divisioni
tra i suoi membri ci pensa sempre lo stesso tabù: quello dei soldi.
In
particolare, quelli destinati al Quadro finanziario pluriennale per
il periodo 2014-2020, che saranno decisi nel prossimo vertice del
Consiglio europeo in programma il 22-23 novembre. Uno strumento di
programmazione che sulla base della proposta della Commissione
Europea dovrebbe ammontare a 1.091 miliardi di euro, ma che le
resistenze di alcuni Stati (sempre i soliti: Gran Bretagna,
Germania, Olanda e Finlandia) puntano a comprimere in coerenza ad una
stretta politica di austerità, già praticata (e imposta) a livello
dei bilanci nazionali.
Inizialmente
il Presidente del Consiglio Europeo Herman Von Rompuy aveva chiesto
un taglio di 80,737 miliardi di euro rispetto alla proposta della
Commissione. La presidenza di turno cipriota aveva invece suggerito
tagli per 50 miliardi. Ma il Parlamento europeo, che sarà chiamato
ad approvare il bilancio, non è disposto ad accettare un QFP più
modesto rispetto a quello attuale.
Dopo
il fallimento dei negoziati sul bilancio per il 201, la questione si
presenta spinosa. Più che una sforbiciata ai costi, quella del
Presidente del Consiglio Europeo sembra un colpo d’accetta poiché
tocca tutti i capitoli di spesa, compresi i fondi strutturali e la
PAC (politica agricola comunitaria). Per cercare un compromesso, Von
Rompuy ha presentato alla Commissione una nuova proposta di bilancio
che prevederebbe tagli per 75 miliardi, già bocciata dal primo
ministro spagnolo Rajoy.
La
crisi economica mondiale ha fatto riemergere la mancanza di una reale
autonomia finanziaria dell’Unione europea. Il bilancio della UE è
pari all’1,05% del Pil europeo e al 2% della spesa pubblica
complessiva dei 27 Stati membri, considerato da alcuni Paesi, Gran
Bretagna e Svezia, eccessivamente alto in tempi di crisi. E poco
importa se, come ricorda perfino Martin Schulz, presidente del
Parlamento europeo, quello europeo è innanzitutto un bilancio di
investimenti e il 94% degli utili complessivi sono investiti negli
stessi Stati membri o per priorità esterne dell’Unione. Secondo
Schulz, il bilancio UE è parte integrante della soluzione volta a
consentire all’Europa di uscire dall’attuale crisi, a cui vanno
assicurate le risorse necessarie. Ma le difficoltà di mettere
d’accordo i 27 nel recuperare tali mezzi per un concreto rilancio
economico, in risposta ai venti di recessione, sono sotto gli occhi
di tutti.
Se
non dovesse essere trovato un accordo sul bilancio pluriennale non
sarebbe una tragedia dal punto di vista contabile (come nel caso del
bilancio 2013), anche se alle scelte finanziarie 2014-2020 sono
legati circa 70 regolamenti per la spesa in tutti i settori
fondamentali dell’attività europee che vanno concordati con il
Parlamento UE, che richiedono un lungo e complesso negoziato.
La
necessità di favorire il QFP quale strumento per il rilancio della
crescita è perciò stata espressa anche da Mario Monti, il quale già
nei giorni scorsi aveva garbatamente avvertito il suo omologo inglese
David Cameron della propria indisponibilità ad appoggiare qualunque
proposta di tagli al bilancio comunitario. Tuttavia le posizioni non
cambiano: benché i rapporti tra i due governi rimangono ”solidissimi
ed eccellenti”, sul punto Roma e Londra restano molto lontane.
Monti sta ora lavorando con Francois Hollande affinché Italia e
Francia facciano blocco contro il fronte nordico dei tagli.
L’Italia
è contribuente netta al bilancio della UE e se la linea del rigore
dovesse passare perderebbe 4,5 miliardi nell’agricoltura e almeno
altrettanti (o qualcosa di più) nella coesione sociale, anche se non
ci sono conferme.
E
al danno si aggiunge la beffa. Secondo Linkiesta, la Polonia si
vedrebbe aggiudicare di fatto quasi tutti i soldi che verrebbero
tolti all’Italia: dopo tutto, se Berlino e Varsavia rappresentano
il nuovo asse portante della UE, qualcosa vorrà pur significare.
Peraltro, i tagli a sviluppo e ricerca sono molto più netti di
quelli alla politica agricola, che continua a mangiarsi quasi la metà
del bilancio europeo.
Ma
che il Belpaese non goda di grande credito presso i parrucconi di
Bruxelles è cosa nota, come testimoniato dalle rimostranze che
alcuni Paesi (sempre i soliti) hanno fatto di fronte alla concessione
dei 670 milioni di euro per la ricostruzione in Emilia. Nei palazzi
del potere di Berlino, Amsterdam, Londra ed Helsinki ci vedono come
spreconi e inaffidabili, dimenticando che l’Emilia è in realtà
uno dei maggiori siti produttivi del continente, dove la gente mangia
per quel che lavora.
A
quanto pare i cari, vecchi pregiudizi e luoghi comuni contano molto
di più della realtà, quando riferiti ai parenti vicini e lontani.
Come in ogni “grande famiglia” che si rispetti.
fonte: Geopoliticamente
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