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Quale nuovo regime commerciale potrebbe essere dominante nei prossimi decenni? Secondo qualcuno lo squilibrio più evidente che definirà il profilo del commercio globale nei prossimi anni, non sarà quello energetico ma quello alimentare, spinto dai prezzi del cibo in costante aumento a causa di una offerta frammentata che risponde solo con ritardo ai segnali di una domanda sempre crescente.
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fonte: http://www.zerohedge.com
prima parte
Se ci chiediamo quale valuta sia servita per l’acquisto delle materie prime o per rafforzare i sistemi nel corso del secolo passato della storia umana, non possiamo che pensare ai petrodollari: non è sbagliato dire che niente ha plasmato il mondo moderno e si può definire valuta di riserva tanto come i 2.300 miliardi dollari l’anno per l’esportazione di energia tutti targati dollari USA (anche se recentemente ci sono state alcune alternative impensabili in passato, come, ad esempio, la Turchia che ha cominciato a pagare in oro il petrolio dell'Iran e questo sta facendo mettere sotto esame lo status quo dei petrodollari).
Ma questo è il passato, e con i rapidi cambiamenti della moderna tecnologia e con l'efficienza dei sistemi di estrazione, che hanno portato all’energia rinnovabile e ai gas-shale, i giorni deicosiddetti petrodollari potrebbero essere finiti.
E allora quale nuovo regime commerciale potrebbe essere dominante nei prossimi decenni? Secondo qualcuno, per ora è solo una voce di corridoi, lo squilibrio più evidente che definirà il profilo del commercio globale nei prossimi anni, non sarà quello energetico ma quello alimentare, spinto dai prezzi del cibo in costante aumento a causa di una offerta frammentata che risponde solo con ritardo ai segnali di una domanda sempre crescente. E in questo campo la Cina giocherà un ruolo dominante, ma non per la disponibilità di materie prime e/o per la sua supremazia nella manifattura, ma al contrario: per l’impennata del suo deficit di prodotti agricoli, e proprio da questo deficit commerciale gli Stati Uniti, improvvisamente, trarranno un enorme vantaggio sia in termini di scambi commerciali che geopolitici. Stanno arrivando: gli agro-dollari.
Ma prima vediamo qualche idea di Karim Bitar il CEO di Genus, su quello che sarà sicuramente il principale protagonista marginale su questa rivoluzione dell’ agro-dollaro. La Cina, il cui tentativo di ridefinirsi come una superpotenza orientata al consumo fallirà epicamente e violentemente, a meno che non trovi un modo economico ed efficiente per far mangiare a sufficienza tutta la massa della sua classe media, in continuo aumento.
Karim Bitar sulla Cina:
Strutturalmente, la Cina ha un enorme svantaggio in quanto raccoglie il 20% della popolazione mondiale, ma solo il 7% dei terreni coltivabili. Esattamente il contrario del rapporto che esiste in Brasile. Questo obbliga un paese come la Cina ad incentivare l'adozione della tecnicizzazione. Diamo un'occhiata al loro mercato suino, che rappresenta il 50% della produzione e del consumo mondiale. In Cina, per la macellazione di circa 600 milioni di maiali l'anno – circa sei volte la domanda degli USA – si utilizza un allevamento di circa 50 milioni di animali. Negli USA se ne allevano circa 6 milioni, quindi il ritardo di produttività tra i due paesi risulta enorme.
Proprio per i suoi svantaggi strutturali, la Cina è molto più focalizzata sull'aumento dell'efficienza. Per accelerare la tecnicizzazione, si sta assistendo ad una serie di incentivi statali a livello nazionale, provinciale e locale, con particolare attenzione alla necessità di muoversi verso una produzione di carne di maiale integrata come strumento chiave per ottimizzare l'economia totale, sia in termini di produzione, macellazione, trasformazione e anche di immissione nel mercato.
Il governo cinese è importante come cliente per la sua chiarezza di visione sulla sicurezza alimentare. Ha visto la primavera araba, ed è consapevole delle forti implicazioni socio-politiche che possono causare i prezzi dei prodotti alimentari. Il prezzo della carne di maiale potrebbe incidere fino al 25% sui prezzi al consumo, e diventare un grosso problema. È per queste pressioni, che la Cina è molto attenta alla crisi alimentare. È un terreno che scotta.
Prendiamo ... la produzione del latte in Cina e in India. La Cina sta cercando di limitare l’agricoltura di piccola-scala adottando un modello statunitense. Negli USA si tende ad avere grandi allevamenti, il 30% della produzione di latte proviene da mandrie di 2.000 e più capi e la prospettiva è di raggiungere il 60% entro i prossimi cinque anni. Oggi in Cina, ci sono già diverse centinaia di allevamenti da latte di oltre 1.000 capi. Invece in India, ce ne saranno meno di 50. La dimensione media di ogni fattoria è di cinque capi, quindi è molto frammentata.
La realtà è che in un posto come la Cina, con le politiche del governo, le sovvenzioni e un approccio molto più focalizzato a diventare autosufficiente, c’è una maggiore capacità di rispondere rapidamente a una sfida alimentare.
Il problema per la Cina e in misura minore, per l'India, comunque lo si voglia definire, è che avranno sempre più bisogno di cibo, che si dovrà avere puntando su una maggiore efficienza, perché ormai un regime conservatore non può permettersi di mantenere uno status quo, tutto il resto può anche restare uguale.
E mentre la Cina resta molto vulnerabile per il suo deficit commerciale alimentare, i grandi vincitori potranno essere Brasile, Stati Uniti e Canada. Ma anche l'Africa.
L'unica domanda è come si adatterà la Cina nel nuovo mondo in cui si trova per la sua posizione di svantaggio nella bilancia commerciale, in particolare verso la sua principale nemesi: gli Stati Uniti.
Per chi è curioso di sapere come potrà apparire il mondo con gli Agro-dollari, seguono alcune recenti considerazioni di Hugo GS 'Scott-Gall.
Problemi e smania di soluzioni
Quali impatti potenziali potrebbe avere un riposizionamento del prezzo del cibo sull’economia mondiale? Perché dovrebbe cambiare il prezzo del cibo?
La domanda alimentare è destinata a crescere più rapidamente di quanto l'offerta sia in grado di assorbire. I motivi che spingono la domanda sono ben noti, la crescita della popolazione, l'urbanizzazione e la modifica delle dimensioni della classe media e dei suoi gusti. In termini di evoluzione economica, l'aumento dei prezzi alimentari viene dopo l'impennata dei prezzi dell'energia, in quanto l’industrializzazione sfocia in una crescita dei consumi (i paesi ad alto reddito consumano circa il 30% di calorie più delle nazioni a basso reddito, ma la differenza di valore è circa otto volte).
Qui, siamo profondamente interessati a capire come l'offerta sarà in grado di rispondere, come e dove troverà le soluzioni e chi le fornirà. Si sta seguendo un processo analogo a quello dell'industria energetica: l'industria energetica ha investito molto in termini di efficienza, innovazione, con cluster di eccellenza. Con nuovi capitali ha creato nuove soluzioni, le più evidenti sono le energie rinnovabili e i gas-shale.
La domanda principale adesso è: sarà lo stesso anche per il cibo?
È difficile sostenere che esistono condizioni simili a quelle del comparto energetico anche nella catena dell’approvvigionamento alimentare, dove c'è una frammentazione enorme, una mancanza di coordinamento, carenza di capitali per sviluppare le infrastrutture e solo qualche tentativo isolato di innovazione. Quindi ci sono forti possibilità che l'allineamento dell'offerta alla domanda del settore alimentare possa essere molto più lento di quello che normalmente avviene in altri settori. Ma le cose stanno cambiando. Oltre che guardare dove si trovino i fattori innovativi nella catena di approvvigionamento e dove si trovino alti rendimenti (ad esempio semi, enzimi, ecc), bisogna pensare agli impatti economici macro e micro che può causare un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, e realisticamente anche a quelli geo-politici.
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