dell'inflazione e della svalutazione
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In particolare ci riferiamo alla confusione enorme che gli automi fanno con i concetti di inflazione e svalutazione, mischiando alla rinfusa il fenomeno interno di aumento dei prezzi di beni e servizi (inflazione)con il fenomeno esterno di aumento del prezzo delle valute straniere in termini di valuta nazionale (svalutazione).
Ma chi ha già visto questi dibattiti televisivi, si sarà anche accorto che tutti gli automi di qualunque partito politico e estrazione sociale, da Tabacci ad Albertini, dal PD al PDL, dal professore all’ultimo fesso del pubblico, ragionano secondo un preciso schema mentale che si ripete sempre nello stesso ordine.
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di Piero Valerio
seconda parte
1) Uscita dall’euro
Come abbiamo detto e sentito le prime parole utilizzate dagli automi per descrivere questa eventualità sonocatastrofe, disastro, apocalisse, appellandosi quasi sempre ai flagelli della svalutazione e dell’inflazione per giustificare queste rovinose visioni. Gli automi però non dicono mai che la vera catastrofe la stiamo già vivendo adesso in conseguenza della sciagurata scelta di aderire ad un’unione monetaria sbagliata e squilibrata, che consente di bilanciare shock asimmetrici tra i vari paesi soltanto attraverso la svalutazione interna dei salari dei lavoratori o dei prezzi dei beni e servizi prodotti in un determinato stato. Tra i vantaggi dell’euro che vengono ogni tanto elencati dagli automi alcuni sono davvero bizzarri e curiosi: la possibilità di viaggiare senza vincoli burocratici o pagamento di commissioni di cambio da un paese all’altro dell’eurozona. Ciò significa che per loro la possibilità di mandare a spasso i propri figli a Parigi, Berlino, Madrid è molto più importante dellavita degli imprenditori che si sono suicidati, della dignità dei lavoratori o della tenuta dell’intero tessuto produttivo nazionale, che basandosi su una struttura diffusa sul territorio di piccole e medie aziende è stato oltremodo penalizzato da un aggancio rigido ad una moneta forte come l’euro-marco. Ricordiamo che la commissione di cambio, che può essere fissa o variabile in base all’importo da convertire in altra valuta, oscilla fra 1 e 5 euro e non ha mai scoraggiato nessuno dall’intenzione di andare a Londra, Stoccolma, New York o Zanzibar. Ma questo modo cinico e inquietante di pensare è perfettamente in linea con il principio che volevano imporre gli oligarchi e i banchieri fondando l’eurozona: la moneta viene prima degli stati, della politica, della cultura, e l’istinto che fin dalla notte dei tempi spinge gli uomini a viaggiare, conoscere, vedere posti nuovi deve essere subordinato alla moneta che utilizziamo per viaggiare, conoscere, vedere posti nuovi. E’ come se un esploratore con gli scarponi e lo zaino in spalla diretto verso luoghi imprecisati ancora da scoprire, fosse in qualche modo obbligato a chiedersi sull’uscio della porta: “Eh sì, però chissà che monete usano laggiù e quale sarà il tasso di cambio? E le commissioni da pagare? Forse è meglio che me ne stia a casa in attesa di tempi migliori per il mercato valutario”.
Capisco che può sembrare un po’ paradossale come esempio, ma l’euro come valore principale di riferimento e di aggregazione di un’intera società, da anteporre alla stessa democrazia, alla cultura, alla libertà, all’uguaglianza dei diritti, pone questo serio problema di alterazione della realtà e della storia del mondo. Gli automi forse ingenuamente o per calcolo credono davvero che l’intera evoluzione della civiltà ruoti intorno alle monete che i popoli hanno via via adottato, mentre le lotte per la democrazia, la tutela dei diritti, l’emancipazione delle classi subalterne, il progresso scientifico e culturale siano soltanto una conseguenza di quella primigenia, originaria, fondamentale scelta: “Ma come hanno fatto i popoli primitivi del passato a vivere senza l’euro? Per fortuna che il buon Dio ci ha dato l’euro e guai a chi ce lo vuole toccare!? Non è forse l’euro il prodotto più alto della modernità, del progresso, della cultura, della creatività dell’Occidente?”. E’ evidente che questa profonda e pervicace distorsione della realtà, della storia, della scala dei valori sia servita invece ai banchieri, agli affaristi, ai faccendieri, agli speculatori per mascherare il loro vero obiettivo e interesse: l’annullamento del rischio di cambio. L’azzeramento del rischio e delle oscillazioni competitive di cambio è stato infatti molto utile e vantaggioso per i grandi gruppi finanziari e commerciali che dovevano spostare grosse quantità di soldi e di merci da un paese all’altro dell’eurozona per fare investimenti, prestiti, profitti, pura speculazione, senza incorrere nel pericolo di subire svalutazioni della moneta locale. Ora però, preso atto di questa circostanza realedifficilmente contestabile, sarebbe molto interessante capire se tutti gli automi, di qualunque corrente politica siano dato che il fenomeno della robotizzazione è trasversale, abbiano presente alcune semplici considerazioni sugli ordini di grandezza: il risparmio sulla commissione di cambio di €2000 per fare una vacanza a Parigi è cosa assai diversa rispetto al prestito di €200 milioni di una banca tedesca ad una spagnola o irlandese per favorire l’inizio di una bolla immobiliare, senza rischiare nulla sul versante della svalutazione. Lechiacchiere stanno a zero e mi pare fuori discussione stabilire a chi veramente abbia più giovato l’introduzione dell’euro, con buona pace di tutti gli studenti che hanno vissuto 6 mesi in Francia o in Germania grazie al progetto Erasmus, risparmiando sulle oscillazioni o commissioni di cambio.
Non capire questo semplice passaggio mi sembra dunque un offuscamento clamoroso della vista, un atto di malafede indecoroso o peggio ancora una conclamata collusione con gli interessi di questi grandi gruppi finanziari e commerciali, dalle cui direttive gli automi sono stati direttamente o indirettamente indottrinati. La gente invece ancora in grado di fare a mente una semplice conversione di valuta può chiaramente comprendere che subire angherie, tasse, vessazioni, privazioni di servizi pubblici essenziali, decurtazioni di stipendi e pensioni per consentire ai grandi capitalisti di aumentare le loro rendite o i profitti, limitando al massimo i rischi e la concorrenza di cambio, non è sicuramente un buon motivo per rimanere ancora nell’area euro. L’Europa non è e non sarà mai l’euro, ma rappresenta da sempre un’entità geopolitica e culturale ben identificabile che prescinde e prevarica la moneta o le monete utilizzate dai paesi del vecchio continente, che ricordiamolo sempre nella sola Unione Europea allargata a 27 stati sono 11. Fra l’altro, l’euro come tutte le monete nella storia (compresa la nostra lira, il marco o il franco) non è irreversibile e non ci è stato consegnato in dono da Dio: esistono nella storia centinaia di casi di distruzione di valute o sganciamenti da altre valute che non hanno comportato assolutamente catastrofi (l’Argentina è l’ultimo e più eclatante caso), a parte un normale periodo transitorio di assestamento e instabilità della nuova valuta.
2) Svalutazione
Secondo gli automi robotizzati una volta usciti dall’euro, la nuova lira si svaluterebbe di circa il 30%-50%, un dato sparato a caso che non tiene in debito conto nessuno dei fattori che realmente influiscono sul tasso di cambio. Nelle precedenti occasioni storiche di sganciamento di una valuta da un’altra moneta forte (per noi l’euro-marco), i fatti e i dati empirici ci dicono che il cambio tende a recuperare la competitività di prezzo perduta nei confronti del paese principale dell’area valutaria (la Germania). Dato che il differenziale di inflazione complessivo dal 1999 ad oggi con la Germania ammonta a circa il 20%-25%, la svalutazione della lira nei confronti dell’euro-marco dovrebbe attestarsi intorno a questa banda di oscillazione. Ovviamente la nuova lira si deprezzerebbe rispetto all’euro-marco, ma potrebbe apprezzarsi nei confronti di altre valute con i cui paesi di origine l’Italia intrattiene rapporti commerciali. Quindi quello che è importante non è tanto la svalutazione bilaterale fra l’Italia e un altro paese, ma il tasso di cambio effettivo che è una media pesata di tutti i tassi di cambio bilaterali principali misurata in base al valore specifico degli scambi effettuati con i rispettivi paesi d’origine.
Tuttavia se questa teoria della “parità relativa del potere d’acquisto” (PPP, Purchasing Power Parity) può essere utile per spiegare i movimenti del cambio nel lungo periodo ed è applicabile soltanto alle variazioni di prezzo di beni e servizi effettivamente destinati all’esportazione (l’aumento di prezzo dei prodotti locali e del barbiere sotto casa non dovrebbe essere conteggiato insomma), il tasso di cambio nel breve periodo è influenzato da altri due elementi: il saldo delle partite correnti e gli investimenti finanziari. Il nostro attuale saldo delle partite correnti è in deficit (-€30 miliardi circa, vedi grafico sotto), ma la causa principale non è dovuta tanto a fattori commerciali (la bilancia commerciale è in pareggio), quanto al peso molto maggiore degli interessi pagati sul debito estero, i profitti portati via dagli investimenti esteri in Italia, le rimesse dei migranti. Siccome la svalutazione iniziale della lira dovrebbe favorire ulteriormente le esportazioni e ridurre le importazioni, migliorando nel complesso la nostra bilancia commerciale, questo processo insieme ad un rinnovo del debito estero a tassi di interesse più bassi (la “nostra” banca centrale, Banca d’Italia, svincolata dalla BCE, potrebbe riacquistare piena autonomia nella scelte di politica monetaria e in particolare nella definizione dei tassi di interesse di riferimento), ad una qualche forma di limitazione degli investimenti esteri in Italia e ad uncontrollo più accurato del deflusso dei capitali, dovrebbe migliorare in breve tempo il saldo delle nostre partite correnti, con conseguente apprezzamento della nostra valuta.
Dal punto di vista finanziario, l’Italia ha una ricchezza complessiva di €3600 miliardi, che difficilmente potrà essere smobilizzata per essere trasferita all’estero, con evidenti effetti negativi sul cambio della nuova lira. Innanzitutto perché molti di questi assets finanziari hanno già subito forti svalutazioni durante gli ultimi anni, quindi l’effetto marginale del deprezzamento della nuova lira sarebbe meno incisivo (una cosa è svalutare del 20% un asset che vale 100, altra cosa è svalutare del 20% un asset che vale già 50). In pratica è come se l’Italia stesse già subendo da qualche anno una svalutazione sotto forma di un maggiore spread sui titoli di stato, che obbliga le aziende a finanziarsi a tassi di interesse più alti e rende meno pregiati i nostri assets. In secondo luogo le fughe di capitali più massicce si sono già verificate in questi ultimi anni e quindi, con un controllo più puntuale sulla circolazione dei capitali durante il periodo di transizione in cui è maggiore l’instabilità di cambio, si potrebbero evitare ulteriori crisi nei nostri conti con l’estero. Se questo presunto deflusso incontrollato di capitali è dunque molto limitato e circoscritto, è invece molto più probabile che nei primi periodi di passaggio alla nuova lira possa presentarsi il fenomeno opposto di afflusso di capitali esteri: gli operatori stranieri potrebbero infatti approfittare dell’iniziale vantaggio di cambio per fare investimenti finanziari di portafoglio o in conto capitale in Italia, aumentando quindi l’offerta di valuta estera e la domanda di nuove lire. Queste operazioni, che ripetiamo dovrebbero essere opportunamente controllate per evitare un aumento eccessivo delle passività (debito estero) nel conto finanziario della nostra bilancia dei pagamenti, tenderanno ad apprezzare e non a deprezzare il cambio della nuova lira. Quindi, in buona sostanza, la paura della svalutazione catastrofica della nuova lira è assolutamente infondata, ingiustificata, non sostenuta dai dati e dai fatti.
3) Inflazione
Questo è sicuramente l’aspetto più incredibile e grottesco di tutta la vicenda: secondo gli automi con una svalutazione della lira del 20% avremmo un’inflazione della stessa entità, quindi intorno al 20%. Capite bene che il meccanismo mentale che porta a questa conclusione è assurdo, illogico, dato che un’eventualità del genere avverrebbe solo se l’Italia non producesse nulla e importasse tutto dall’estero, ma proprio tutto: materie prime, semilavorati, prodotti finiti, servizi. Fra svalutazione e inflazione non c’è mai stata nella storia del mondo una correlazione così forte e diretta, mentre si verifica molto più spesso il fenomeno inverso, ovvero un’inflazione molto alta alla lunga produce una svalutazione del cambio, perché a parità di beni prodotti in due diversi paesi sarà necessaria una maggiore quantità di moneta del paese più inflativo rispetto a quello meno inflativo e il cambio si adegua di conseguenza. Per questo motivo, molto spesso per valutare l’effettivo potere di acquisto di una moneta rispetto ai beni e ai servizi prodotti in un determinato paese, si considera il tasso di cambio reale che tiene conto appunto del differenziale di inflazione fra i due paesi. Se la moneta di un paese si svaluta del 10% e l’inflazione per altri motivi cresce del 10%, il tasso reale di cambio non varia, perché l’aumento dei prezzi interni compensa la svalutazione e per un acquirente estero sarà indifferente comprare prodotti da quel paese.
Questo è a mio avviso il motivo che crea tanta confusione nella mente degli automi perché loro ragionano in termini di tasso di cambio reale e non di quello nominale effettivo: la svalutazione del 20% produce un’inflazione del 20% e per l’acquirente straniero non sarà più vantaggioso rispetto a prima comprare prodotti italiani e l’Italia avrà perso i margini di competitività recuperata, perché i benefici della svalutazione saranno riassorbiti dai danni dell’inflazione. Peccato però che è sbagliato il passaggio intermedio: una svalutazione del 20% non ha mai provocato nella storia, almeno in Italia, un’inflazione del 20%. E vediamo pure con alcuni dati, il motivo per cui possiamo essere abbastanza certi di questa affermazione. Nel grafico sotto possiamo confrontare l’andamento dell’inflazione con il tasso di cambio effettivo dal 1975 ad oggi: come si può vedere già ad occhio nudo non c’è alcuna correlazione diretta fra i movimenti abbastanza ripidi di cambio e l’inflazione, che nonostante i cambiamenti repentini di rivalutazioni e successive svalutazioni della lira continuava a viaggiare per conto suo seguendo un preciso percorso di deflazione. In particolare la forte rivalutazione della lira avvenuta nel 1979 con l’ingresso nello SME è avvenuta a inflazione crescente, mentre al contrario la svalutazione della lira del 1992 seguita all’uscita temporanea dallo SME è stata addirittura accompagnata da una discesa dell’inflazione dal 5% al 4%. Ciò significa che se esistesse davvero una correlazione fra svalutazione ed inflazione, questa sarebbe opposta a quella postulata e propagandata dagli automi.
Il caso della svalutazione del 1992 è sicuramente il più emblematico in questo senso. Il governo Amato decise unilateralmente di far uscire l’Italia dallo SME il 18 settembre del 1992, per mettere un freno agli attacchi speculativi alla lira che erano iniziati nell’estate precedente e avevano costretto il governatore della Banca d’ItaliaCarlo Azeglio Ciampi a bruciare circa 50 miliardi di riserve in dollari nel vano tentativo di difendere la parità di cambio della lira imposta dagli accordi SME. Nel giro di un anno, con la lira libera di fluttuare nel mercato valutario, abbiamo assistito ad una svalutazione nominale effettiva del 25%, che ha favorito le nostre esportazioni e reso meno convenienti le importazioni. Se questa svalutazione fosse stata accompagnata da un corrispondente aumento dell’inflazione (che non c’è stato, dato che l’inflazione è invece diminuita) come sostenuto dagli automi, la nostra bilancia commerciale non avrebbe subito grandi cambiamenti perché per gli acquirenti esteri il prezzo dei prodotti italiani sarebbe rimasto pressoché invariato. Cambiamento che invece c’è stato, e come se c’è stato, perché nel giro di un anno la nostra bilancia commerciale è passata da un deficit ad un surplus (vedi grafico sotto) fino al picco del 1996, ritornando a decrescere non appena si decise malauguratamente per noi la reintroduzione della lira nello SME (1996) e l’ingresso definitivo nell’area euro (1999).
Questo passaggio determinante e decisivo per capire meglio come funzionano le dinamiche della svalutazione di cambio, può essere anche evidenziato benissimo esaminando il grafico sotto, in cui viene riportato l’andamento del tasso nominale effettivo a confronto con il tasso di cambio reale (misurato in termini di valuta estera): i due andamenti sono esattamente speculari, perché ad ogni svalutazione nominale della nostra moneta corrisponde esattamente una rivalutazione reale della valuta estera, come se l’effetto inflazione tanto paventato dagli automi che vanificherebbe i benefici della svalutazione non esistesse proprio. Un falso storico a tutti gli effetti che merita l’accusa di terrorismo mediatico e attentato alla democrazia dell’informazione.
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