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mercoledì 19 dicembre 2012

CHI E COME SI DEVE GESTIRE L'AMBIENTE


Chi e come si deve gestire l’ambiente: nuove implicazioni politiche e istituzionali

Renzo Moschini

Da questo punto di vista credo meriterebbe una riflessione meno frettolosa e più approfondita il bilancio di questa esperienza che ha permesso per la prima volta, sia pure con alti e bassi e differenze significative anche tra territori, alle istituzioni locali e regionali -assai meno in sede ministeriale- di ‘formare' e ‘qualificare' amministratori della cosa pubblica in ambiti tra i più determinanti per il governo del territorio e dell'ambiente. Purtroppo è rimasto irrisolto, come oggi si può vedere in tutta la sua gravità, quel passaggio previsto dalla legge quadro sui parchi ma anche in altri ambiti come il suolo e il paesaggio, che avrebbe dovuto non limitarsi ad assemblare parchi e aree protette tanto diversi e non solo per dimensione, ma a costruire un vero e proprio sistema nazionale strettamente e organicamente raccordato sia a quello comunitario che regionale rimasto anch'esso disarticolato e che oggi risulta per molti versi allo sbando anche in realtà dalle tradizioni 
ed esperienze più solide e radicate.

Passaggi fissati dalla legge quadro ma prima ignorati e poi addirittura cancellati, per essere di nuovo accantonati in sede nazionale quando con il decreto Bassanini si era tornati giustamente e chiaramente a riproporli in una chiave più adeguata. E qui si torna al titolo V della costituzione da cui avevamo preso le mosse. Quel titolo per quante critiche e riserve oggi si possano fare o riprendere sulla sua organicità e contraddittorietà, aveva voluto riproporre quella esigenza costituzionale di fondo del tutto snobbata e cioè garantire un governo del territorio e dell'ambiente incentrato sulla ‘leale collaborazione istituzionale', la cui responsabilità non può essere oggi scaricata per intero sulle regioni da parte di uno stato che in oltre 10 anni se n'è infischiato alla grande. Si è assistito così una impressionante crescita dei ricorsi dello stato contro le regioni e di queste contro lo stato che ha giovato soltanto alla conflittualità costituzionale e alle diatribe senza fine con l'unico risultato che quel solco tra i diversi livelli istituzionali anziché colmarsi è cresciuto al punto di mettere a rischio il futuro stesso dei nostri parchi. Da anni, infatti, non vi è sede o strumento ministeriale dove questa collaborazione volta a costruire un sistema incentrato innanzitutto su una classificazione attendibile e aggiornata delle nostre aree protette terrestri e marine. Non lo è certo la Conferenza Stato- Regioni e Enti locali dove le cose che riguardano anche i parchi e le aree protette arrivano belle e scodellate e di fatto già decise.

Il ventennale della 394; un occasione mancata

Al traguardo dei 20 anni la legge quadro è giunta così modificata in parti importanti che ci si era badati bene da reintegrare -penso alla programmazione nazionale, ad un sistema di classificazione ossia una vera anagrafe delle nostre aree protette, richiesto d'altronde dalla Bassanini in coerenza con quella riforma della pubblica amministrazione a cui era stato messo mano.

Risultò perciò tanto più sorprendente e sconcertante quando anziché accogliere la più volte avanzata richiesta di una Conferenza nazionale dei parchi per fare finalmente chiarezza su questo colpevole ritardo politico-istituzionale del ministero, la proposta di mettere mano a modifiche della legge che -si disse con vera sfrontatezza- senza le quali non si sarebbe potuto fare quello che di cui i parchi avevano bisogno a partire dalle aree protette marine. Si trattò di un vero ‘condono' politico per una gestione rovinosa ben impersonata dal ministro Prestigiacomo e un vero bidone per i parchi e le aree protette che le modifiche alla legge previste avrebbero ulteriormente penalizzato come vedemmo subito dal testo -anzi i testi- che iniziarono il loro poco dignitoso iter parlamentare al Senato. E mentre ci si trastullava tra emendamenti che comparivano e scomparivano tra un giorno e l'altro senza che i parchi e le istituzioni interessate ne fossero minimamente coinvolti, il ministero accentuò il suo ruolo affidato solo ai tagli finanziari, i commissariamenti, la messa in mora delle aree protette marine ormai alla canna del gas. Fino ai più recenti interventi sulla legge ‘nascosti' in provvedimenti con i quali i parchi e le aree protette non hanno a che fare né punto, ma che servono -e sono serviti- a far dipendere, ad esempio, la scelta e nomina dei direttori da Roma e non dai parchi.
E se questo connota oggi lo stato di crisi dei parchi di cui portano una pesante responsabilità le forze politiche che non hanno saputo e voluto evitare questa scandalosa manfrina, anche i parchi e le loro rappresentanze nazionali e regionali.
Ma accanto a situazioni ed esempi che ormai nessuno, neppure tra quelli che sbagliando si erano illusi che da dalle modifiche alla legge 394 passasse davvero il rilancio dei nostri parchi, ce ne sono altri che sembrano passati definitivamente in giudicato ma che stanno pregiudicando seriamente l'operato dello stato e delle regioni. Mi riferisco agli effetti della norma del nuovo Codice che ha sottratto il paesaggio ai piani dei parchi. Ricordo che il primo campanello d'allarme suonò quando lo stato impugno una legge regionale del Piemonte che istituiva un parco fluviale il cui piano avrebbe dovuto occuparsi -come era regolarmente avvenuto fino a quel momento per tutti i parchi di quella regione-anche del paesaggio. La legge fu bocciata sanzionando la norma del Codice. E qui si pone una questione che sorprendentemente non ha suscitato alcuna reazione e cioè che con un Codice e sulla base di una legge delega si è modificata senza colpo ferire una legge speciale -la 394 lo è- passata già a suo tempo indenne da ripetuti ricorsi costituzionali specie di alcune regioni a statuto speciale.
Certo è che gli effetti sono allarmanti. A me ha colpito una recente proposta di legge sui parchi della regione Veneto che fin dal primo articolo stabilisce che i piani dei parchi -definiti appunto naturalistici- non riguarderanno il paesaggio. Ho pensato subito -ricordando incontri ormai lontani- al Parco dei Colli Euganei chiedendomi come sia pensabile un piano del parco in un territorio come quello che non si occupa del paesaggio. C'è qualcuno che ritiene ciò possibile e non solo nel Veneto o in Piemonte?
Recentemente in Val di Cornia si è discusso di quello che dovrebbe diventare il quarto parco regionale toscano con esperti inglesi e americani di archeologia e di beni culturali e di nuovo mi sono chiesto se il piano di quel territorio ancora frammentato ma dotato di uno straordinario patrimonio archeologico, paesaggistico e naturalistico potrà non tener conto già in prima battuta della tutela paesaggistica che stando alla nuova norma competerebbe ad altri.
E' forse questo l'esempio che più di ogni altro conferma che oggi il problema vero, prima ancora della ripartizione e riaffermazione delle competenze tra i diversi livelli istituzionali, è come essi possono riuscire a gestire ‘unitariamente' quello che non separabile se non a danno di quel governo del territorio e dell'ambiente su cui ha inciampato anche il titolo V.
Fin qui abbiamo parlato dei parchi e delle aree protette ma non migliore è la situazione di altri comparti ambientali riconducibili anch'essi a quel titolo V oggi ormai in panne.
Mi riferisco alla legge sul suolo che dopo le modifiche apportate con la legge delega e non ancora a regime nei confronti soprattutto delle normative comunitarie sulle gestione delle acque finita prima nel tritacarne di Bertolaso e in quello dei finanziamenti che espone sempre più il nostro territorio a eventi calamitosi che riguardano anche e pesantemente anche le aree protette terrestri, marine e fluviali come abbiamo visto alle 5 Terre, sul Magra, e in altre parti del paese.
Sono temi nazionali e regionali che abbiamo affrontato lo scorso settembre in due appuntamenti nazionali Pisa come Gruppo di San Rossore e sui quali stiamo lavorando per evitare che il dibattito sul titolo V non diventi un'altra occasione per eludere questioni ormai ineludibili e irrimandabili.
Lo faremo d'intesa e comunque in un confronto senza peli sulla lingua con le istituzioni e il mondo della cultura e i parchi.

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