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domenica 6 gennaio 2013

RIFLETTIAMO INSIEME: EVOLUZIONE RURALE, VERSO UN NUOVO MODELLO


di Guido Bissanti

L’agricoltura come oggi la conosciamo nei Paesi occidentali è il frutto di una serie di evoluzioni scientifiche, sociali, culturali e tecnologiche.

Dalla prima pratica agricola, datata circa 10.000 anni or sono, si sono evolute varie fasi fino ai giorni nostri dove l’agricoltura, come in gran parte è diffusa nei Paesi occidentali, si basa oramai su modelli produttivi di tipo intensivo. L' agricoltura intensiva permette di sfruttare al massimo la capacità produttiva del terreno (definizione tipica dei dizionari) ma si basa essenzialmente su specializzazioni produttive che mal si legano all’ecosistema naturale ed all’ecosistema sociale.

Spieghiamo questo concetto.

L’ecosistema è un complesso ove ogni singolo componente contribuisce all’insieme attraverso rapporti di reciprocità e sistemi di autocontrollo. Pertanto un ecosistema può considerarsi, pur nella molteplicità dei suoi componenti, un unico organismo.

L’agricoltura intensiva va in antitesi a questa logica e spesso ogni singolo componente viene visto a se stante o addirittura messo in antinomia con altri (lotta ai parassiti, diserbi, ecc.).

Possiamo asserire che la moderna agricoltura si sia evoluta su scarsissime basi scientifiche ed esclusivamente su basi produttive e commerciali. Tutto ciò ha evidenti ripercussioni ecologiche e sociali in quanto il modello produttivo è vittima e carnefice di un sistema che, di fatto, ha messo in crisi ecosistema sociale ed ecosistema naturale.

La moderna agricoltura è uno dei modelli tecnologici meno evoluti e a più bassa efficienza energetica che l’umanità abbia mai sperimentato.

Potendo fare un bilancio empirico tra il rendimento energetico di un ecosistema naturale e l’ecosistema agricolo troviamo un rapporto di 10 ad 1. Eppure, dietro la spinta di grandi e sconsiderati interessi economici (potentati e multinazionali) non si riesce ad uscire da questa contraddizione e scelleratezza sociale e culturale.

L'agricoltura moderna preferisce usare le monocolture, perché hanno rese più alte. Purtroppo esse oltre ad impoverire il terreno, provocano l'insorgere delle malattie, e di parassiti, che potrebbero danneggiare la piante. Perciò l'uomo per rimediare a ciò ha iniziato ad usare fertilizzanti, pesticidi e diserbanti. Questi prodotti chimici, oltre ad inquinare in toto l’ecosistema, penetrano nel terreno e inquinano le falde acquifere, che a loro volta possono provocare l'insorgere delle malattie nelle piante e nell'uomo.

Diciamo che, in sintesi, l’uomo ha costruito un sistema fittizio che per potersi reggere richiede grandi quantitativi energetici (carburanti, fertilizzanti, diserbanti, ecc.) cose che in natura sono già disponibili anche se in forme e consistenze diverse.

Tutto questo, oltre ad aver impoverito l’ecosfera, ha ridotto al lumicino il patrimonio delle conoscenze rurali che si tramandavano di padre in figlio e che sono state sostituite dalle “conoscenze” riduzioniste: dove semplificazione e banalizzazione sono divinità assolute.

In definitiva, gli effetti del modello agricolo occidentale hanno diminuito gli unici due ecosistemi che conosciamo: quello sociale e quello naturale.

L’allocuzione che la moderna agricoltura sia nata per sfamare il mondo è una delle bugie scientifiche, culturali e filosofiche più grandi dell’intera Storia della Civiltà.

È un ragionamento senza basi scientifiche e pieno di falsità ideologiche. Basta operare un minimo bilancio termodinamico tra sistemi agricoli monocolturali (sistemi aperti) e sistemi agricoli biodiversi (sistemi chiusi) che ci si accorge come tra i due modelli esiste un abisso.

Vediamo gli effetti maggiori della moderna ed evoluta agricoltura:

• Diminuzione delle specie coltivate (perdita della biodiversità agricola che si va a sommare alla biodiversità globale);

• Diminuzione delle specie animali nelle aziende agricole (con perdita degli apporti di sostanza organica);

• Perdita di suolo per destrutturazione dei terreni (azione congiunta dell’apporto di fertilizzanti di sintesi, diserbanti, ecc. e diminuzione della sostanza organica);

• Diminuzione di microrganismi ed insetti utili (tra cui i pronubi) con conseguente diminuzione delle produzioni agricole ed aumento di quelli, classificati nocivi;

• Abbandono dei terreni marginali con conseguente dissesto sociale ed ecologico di queste aree;

• Inquinamento delle falde e dei corsi e dei corpi d’acqua (azione congiunta con l’inquinamento dovuto alle altre attività sociali);

• Aumento esponenziale delle malattie umane dirette (uso dei prodotti di sintesi) ed indirette (alimentazione umana);

• Perdita dei saperi tradizionali e della scienza applicata;

• Destrutturazione e squilibrio sociale ed organizzativo delle aree rurali ed urbane;

• Ecc. ecc.

Per di più, e non ultimo, il modello produttivo ed organizzativo legato a questo tipo di agricoltura ha ingenerato una specializzazione dell’offerta che ha inciso negativamente sul sistema commerciale a sfavore delle microimprese (piccoli punti di distribuzione, botteghe, ecc.), anche qui con un aggravio energetico e dei trasporti impressionante.

Fin qui l’analisi vediamo adesso le possibili soluzioni:

• Le aziende agricole devono organizzarsi in sistemi chiusi, con produzioni diversificate e con un equilibrio tra flora e fauna consono alle esigenze energetiche della cellula aziendale;

• Le risorse e gli apporti energetici devono essere pertanto locali col minimo utilizzo di fattori esterni (ricordiamo che il trasporto di ogni massa richiede dispendi energetici);

• Le energie necessarie al ciclo produttivo devono essere esclusivamente rinnovabili e i sistemi agricoli sono quelli con maggiore disponibilità di tale frazione energetica;

• I luoghi e centri di distribuzione dei prodotti devono essere quanto più vicini ai luoghi di produzione (rispetto del protocollo di Kyoto);

• La ricerca, la scienza e la tecnica devono ritornare in campagna: senza questo presupposto Ricercatori, tecnici ed agricoltori saranno sempre più poveri;

• La scuola deve rivedere i concetti dell’obbligo formativo attraverso la delocalizzazione formativa e l’esperienza di pieno campo (concetto valido per tutti i settori produttivi);

• I sistemi di qualità e controllo devono uniformarsi al concetto di Agricoltura Naturale quale principio di qualità a se stante.

È evidente che questi sono principi conducenti all’interno dei quali bisognerà mettere a punto modelli politici e fiscali adeguati ma è palese che con un prototipo produttivo più naturale l’efficienza dell’intero Sistema sarà maggiore.

Tutto ciò diminuirà la necessità di politiche finanziarie (vedi PAC) e di sistemi di controllo e burocratici che nulla hanno a che vedere con la necessaria Dignità che, in nome di speculazioni macchinose, abbiamo tolto all’Uomo e alla Natura.

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