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sabato 7 settembre 2013

GLI INTERESSI ECONOMICI CHE MUOVONO LA FRANCIA ALLA GUERRA IN SIRIA

Appiccare il fuoco della guerra non per esportare la democrazia ma per dare un soffio vitale all’economia. In attesa del cruciale voto del congresso americano e l’altrettanto cruciale dibattito all’Assemblea Nazionale che potrebbe anche concludersi con un voto, l’adagio per la Francia sembra funzionare. Mostrare i muscoli, gonfiare il petto e pazienza se pure gli inglesi si sono momentaneamente tirati indietro e Assad minaccia rappresaglie contro una Francia riluttante (il 64% dei francesi è contraria ad un intervento in Siria e secondo un altro sondaggio il 74% vuole un voto all’Assemblea per decidere su un eventuale intervento).
Come ha ben spiegato Noam Chomsky, la corsa alle armi ha da sempre anche un ruolo decisivo nel tenere in moto l’economia ed il keynesismo militare non è soltanto appannaggio degli Stati Uniti ma da diversi anni anche un feticcio della politica estera della Francia. Alla stregua di una media potenza che cerca di riconquistare la sua perduta influenza nel Mediterraneo, la Francia, così come accadde in Libia, è infatti in prima fila tra i paesi interventisti ed anche il socialista Hollande appare ben più guerrafondaio del suo predecessore Sarkozy.

Però qui non si tratta della Libia ma della Siria - un paese che fu disegnato a tratti di matita rossa e blu dal britannico Sykes e dal francese Picot nel 1916 – e la Francia ha una ragione in più per agire, dati i suoi trascorsi storici: la Siria fu sotto mandato francese per ben 26 anni. 

C’è inoltre un doppio filo che lega il partito di Bashar Assad, il partito Ba’ath, alla Francia. Partito d’ispirazione socialista, panarabo e laico, il partito della «resurrezione» fu infatti creato nel 1944 da Michel Aflaq et Salahedine Bitar allo scopo d’unificare diversi stati arabi in una grade nazione araba. Dettaglio non ininfluente, Michel Aflaq studiò alla Sorbona di Parigi e morì all’ospedale militare Val de Grâce (Parigi) nel 1989. A Parigi Aflaq conobbe e frequentò il suo collega ed amico Salahedine Bitar, co-fondatore del Ba’ath, anch’egli studente alla Sorbona.

Insomma, il partito che prenderà il potere dal 1963 al 1966 e poi definitivamente nel 1970 fino ai giorni nostri per ben 43 anni fu creato in Francia negli anni ’30 e s’ispirò apertamente al laicismo repubblicano francese (i Fratelli Musulmani Siriani, impiantati in Siria sin dal ’46, sfuggono alla repressione degli anni ’70 disperdendosi in altri paesi).

Da allora i rapporti Ba’ath-Francia sono burrascosi ma continui e mantengono, sullo sfondo, sempre lo stesso nodo: il Libano. Addirittura, in tempi recenti, nel 2008 il tiranno Assad si siede nella tribuna presidenziale a Place de la Concorde assieme al suo omologo dell’epoca Nicolas Sarkozy per assistere alle celebrazioni del 14 Luglio a Parigi. Liberté, Egalité, Fraternité. Poi, ultimo colpo di scena, il 12 Gennaio del 2011. Un colpo di stato «parlamentare» orchestrato dalla Siria, provoca la caduta del primo ministro libanese Saad Hariri, sponsorizzato dai Sauditi e dalla Francia. Da allora i rapporti Ba’ath-Francia si sono rotti definitivamente e l’interventismo di Hollande oggi ne è la riprova lampante. 
Dicevamo dunque della guerra per espandere gli interessi economici di un Paese. Gli interessi economici francesi in Siria sono importanti e concentrati soprattutto nel settore degli idrocarburi e delle risorse minerarie ma anche nelle infrastrutture, nel settore degli immobili, agricoltura e alimentari. La multinazionale petrolifera Total, attraverso gli stabilimenti di Deir Ez Zor e Tabiyeh, riusciva a produrre 40.000 barili al giorno nel 2010. La Deir Ez Zor Petroleum Company è stata infatti fondata dalla compagnia petrolifera francese Total e dalla Società Pubblica dei Petroli Siriani per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi nella regione. Dopo l’avvio delle sanzioni dell’Ue Total è stata però costretta a ritirarsi.
Non è un caso che tra i primi obbiettivi dell’Esercito Libero Siriano (Els) ci siano stati i campi petroliferi proprio nell’area di Deir Ezzor. Le riserve di barili in Siria hanno infatti un valore stimato di circa 2,5 miliardi di dollari. Una nota del Tesoro francese ricorda che la Siria può trasformarsi in un hub petrolifero d’importanza centrale per convogliare il petrolio iracheno e saudita verso il Mediterraneo e fare da piattaforma petrolifera per rifornire diversi paesi come la Turchia, la Giordania, il Libano e Cipro.
Ed è proprio qui il nodo del problema. Il 25 Giugno del 2011 s’inaugura la costruzione di un nuovo gasdotto Iran-Iraq-Siria che avrebbe dovuto entrare in funzione nel 2014-2016, soprannominato «gasdotto islamico», e che collega il North Dome/South Pars, il più grande giacimento di gas al mondo, a Damasco. La possibilità di rifornire gas liquefatto all’Europa attraverso i porti del Mediterraneo della Siria mette in ombra il gasdotto Nabucco promosso invece dalla Ue e rischia di scontentare sia gli alleati che riforniscono l’Occidente di gas proveniente dal Golfo Persico che la Turchia, che di fatto viene estromessa.

Oltretutto il gasdotto islamico è in effetti un «gasdotto sciita» nel senso che dall’Iran sciita attraversa l’Iraq a maggioranza sciita approdando nel territorio nelle mani dello sciita-alawita Assad ed è dunque visto di malocchio dalla «santa alleanza sunnita».

La Francia dunque, forte della sua storia, deve vincere le reticenze anglo-americane ed immolarsi con solerzia, grazie all’appoggio delle petromonarchie, a spezzare l’asse sciita Iran-Siria-Hezbollah e preparare la «Nuova Siria». No, non siamo in epoca coloniale eppure lo schema ricorda quello del 1920, quando Francia e Gran Bretagna decisero di spartirsi il Medio Oriente.
Non è tutto. Su territorio siriano sono presenti decine di società francesi. Forte è l’implantazione delle imprese della distribuzione (Monoprix su tutti), degli hotel (Ibis, Novotel, Accor) e di diverse società di servizi. Ora la guerra costituisce un’occasione ghiotta per aumentare la propria fetta di mercato e irrobustire la presenza della Francia nel Paese (gli investitori francesi già si sfregano le mani pensando al dopo-Assad e alla ricostruzione) oltre che creare le condizioni per favorire la realizzazione di un progetto di un gasdotto nuovo di zecca che dal Qatar giunge all’Europa passando per la Turchia e Israele, un gasdotto che metta in ombra non solo il Nabucco ma anche il South Stream spezzando il quasi oligopolio russo sul gas europeo.
Per questo sin dall’inizio della guerra civile siriana, la direzione operativa del Dsge (servizi segreti francesi) s’è impegnata ad inviare agenti speciali nel Nord del Libano ed in Turchia con la missione precisa d’istruire e strutturare contingenti armati dell’al-Ǧayš as-Sūrī al-Ḥur, l’Esercito Siriano Libero (Esl), raggruppare migliaia di disertori, reclutare combattenti “stranieri” e scatenare la guerra civile ora in atto in Siria.  Oltre a questi agenti speciali vengono spediti in Siria diversi membri del Comando delle Operazioni Speciali francese (Cos) per iniziare disertori e jihadisti alla guerriglia urbana contro l’esercito regolare di Bachar al-Assad. Il Cos risponde direttamente agli ordini dello Stato Maggiore dell’Esercito francese (Cema).
L’idea iniziale era quella di commettere attacchi di guerriglia, sfiancare il regime dall’interno e poi precedere con lo “scenario libico”: dapprima formazione ed addestramento di un esercito “libero” composto da disertori e jihadisti, poi infiltrazione progressiva della ribellione civile, in seguito supporto logistico e militare alle fazioni nemiche, poi presentazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, poi creazione di una no-fly zone imposta dalle forze della Nato e infine le incursioni mirate dei Rafale francesi. Qatar, Arabia Saudita, Turchia ma anche milizie d’Al-Qaeda riuniscono eserciti irregolari, armi, soldi, logistica pur di far cadere il dittatore.
Purtroppo per la Francia però Assad s’è dimostrato più rognoso del previsto. Dall’altra parte delle barricate ha infatti raccolto brigate internazionali in cui confluiscono l’Hezbollah libanese, i Pasdaran iraniani, le Brigate sciite irachene Badr (senza contare il sostegno diplomatico della Russia). Lo “scenario libico” s’è dunque complicato trasformando la guerra civile siriana in una guerra totale dove non ci sono vincitori né vinti ma solo interessi geopolitici ed economici per accaparrarsi il primato energetico in Medio Oriente. Il gas si sa è altamente infiammabile ma questa volta rischia di appiccare il fuoco a tutta la regione provocando un incendio di proporzioni inimmaginabili. 

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