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martedì 5 novembre 2013

IL PETROLIO CONTESO TRA ISRAELE E CISGIORDANIA

Quando è stato annunciato che il giacimento petrolifero di Meged 5, al confine tra Israele e Cisgiordania, contiene molto più petrolio del previsto, il valore delle azioni dell’azienda petrolifera israeliana Givot Olam è schizzato alle stelle.


Dall’apertura del pozzo Meged 5 nel 2011 l’azienda israeliana ha già venduto greggio per un valore di 40 milioni di dollari. Secondo le nuove stime avrà a disposizione altri 3,53 miliardi di barili, l’equivalente di un settimo delle riserve petrolifere del Qatar.

“C’è solo una cosa che non è chiara: non si sa quanto di questo petrolio appartenga in effetti a Israele”, scrive Al Jazeera. Infatti il pozzo petrolifero è sotto la Linea verde, il confine stabilito nel 1948 che separa Israele dai Territori palestinesi occupati.

Un confine conteso
Secondo le autorità palestinesi, Israele avrebbe spostato la linea di confine, adducendo ragioni di sicurezza, per permettere a Givot Olam di avere accesso al pozzo che si trova vicino alla città israeliana di Kefar Sava e al villaggio palestinese di Rantis, a nordovest di Ramallah.

Dror Etkes, un ricercatore israeliano che studia le attività israeliane in Cisgiordania, afferma che i pozzi sarebbero in territorio palestinese e che l’accesso al sito è controllato dall’esercito israeliano.

Secondo gli accordi di Oslo gli israeliani sono obbligati a coordinarsi con le autorità palestinesi per sfruttare il sottosuolo di località al confine tra i due stati e i proventi devono essere divisi tra i due paesi. “Ma non sarebbe la prima volta che gli accordi di Oslo sono violati”, spiega Al Jazeera.

Ashraf Khatib, un funzionario palestinese coinvolto nei negoziati con Israele dichiara: “Il problema non è solo l’occupazione dei Territori palestinesi attraverso la confisca delle terre e la costruzione di nuovi insediamenti, ma anche lo sfruttamento delle nostre risorse naturali”.

L’autonomia impossibile
Nel 2012, quando si pensava che le riserve di petrolio di Meged 5 fossero meno vaste, le autorità palestinesi avevano provato a portare il caso davanti a un tribunale internazionale.

Inoltre un rapporto della Banca mondiale ha denunciato che Israele impedisce ai palestinesi di Cisgiordania di sfruttare da un punto di vista economico le proprie risorse naturali. Il rapporto non si occupa nello specifico del sito Meged 5, perché non sono stati raccolti dati sufficienti, ma prende in considerazione le attività di sfruttamento economico nella cosiddetta area C, una zona che comprende i due terzi della Cisgiordania. Nell’area C sorgono circa duecento insediamenti israeliani e questo permette a Tel Aviv di controllare la maggior parte delle risorse naturali palestinesi: falde acquifere, terra, miniere e siti d’interesse turistico e archeologico. “Meged 5 è nell’area C”, conferma Al Jazeera.

Secondo lo studio della Banca mondiale la Palestina potrebbe guadagnare 3,4 miliardi di dollari all’anno dallo sfruttamento economico dell’area C. Tuttavia l’attuale governo israeliano ha dichiarato che pensa all’annessione di questo territorio. Secondo la Banca mondiale le attività economiche dell’area C potrebbero incrementare di un terzo il pil palestinese, ridurre il deficit e il tasso di disoccupazione, anche senza considerare la scoperta dei nuovi pozzi petroliferi che aumentano il valore dell’intera zona.

Mariam Sherman, rappresentante della Banca mondiale nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, dichiara: “Bisognerebbe permettere ai palestinesi di sfruttare le loro risorse in quest’area per aprire una strada allo sviluppo sostenibile del paese”.

Secondo alcuni analisti, come Anais Antreasyan, l’autonomia economica dell’Autorità nazionale palestinese dagli aiuti internazionali potrebbe essere raggiunta solo se fosse permesso ai palestinesi di sfruttare economicamente i giacimenti di gas al largo della Striscia di Gaza e il petrolio in Cisgiordania.

fonte: Internazionale.it



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