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martedì 5 novembre 2013

LA COMETA ISON: IL VIDEO SU COSA ACCADRA' IL 28 NOVEMBRE

Sarà possibile osservarla il 28 novembre prossimo ed è già stata ribattezzata come la "Cometa del Secolo".


Ison, questo il suo vero nome, è grandissima e il suo bagliore nei nostri cieli sarà pari a quello della luna piena. Ma non c'è da preoccuparsi, secondo alcuni esperti infatti la cometa si disintegrerà con una percentuale che sfiora il 100%.

Karl Battams del Sungrazer Comet Project, un progetto di studio delle comete sostenuto dalla NASA, ha infatti assicurato l'anno scorso che "nel migliore dei casi, la cometa è grossa, luminosa e sfiorerà il Sole" a novembre. "Dovrebbe essere estremamente brillante, forse addirittura con magnitudine negativa e visibile a occhio nudo dall’emisfero boreale per almeno un paio di mesi".

Quello che lascerà invece sono diversi detriti spaziali, cosa che preoccupa, e non poco, i vari esperti.

La cometa è stata scoperta nel settembre 2012dagli astronomi Vitali Nevski e Artyom Novichonok, nell’ambito del programma International Scientific Optical Network.

Nel frattempo le Nazioni Unite hanno dichiarato che a breve potrebbero approvare una piano per difendere la Terra da eventuali impatti con gli asteroidi.

Si dividerà principalmente in due parti. In primo luogo prevede la creazione di un International Asteroid Warning Network, in modo che tutti i Paesi del mondo possano condividere informazioni e studiarle.

In secondo luogo, la formazione di un gruppo di scienziati provenienti da diverse agenzie spaziali che saranno incaricati di localizzare gli asteroidi più piccoli e quindi più difficilmente individuabili, pensando a un modo per riuscire a far cambiare loro rotta.

Perché il problema sarebbe proprio questo. La NASA ha individuato il 90% di comete e asteroidi di un diametro maggiore di 1 chilometro nelle vicinanze della Terra, ma non si può dire lo stesso per quelle più piccole, che sono comunque molto pericolose e che, qualora entrassero in contatto con l'atmosfera terrestre, potrebbero causare numerosi problemi e danni.

Intanto, però, c'è da fare i conti con Ison e se tutto andrà liscio, godersi il panorama spettacolare.

Ecco un video che spiega meglio cosa accadrà il prossimo 28 novembre:

http://youtu.be/RP6MASjI6aQ

fonte: Wall Street Italia



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mercoledì 11 settembre 2013

SCOPERTA UNA MISTERIOSA STRUTTURA BIOLOGICA IN AMAZZONIA

COSA DIAVOLO E’ QUESTA STRANA STRUTTURA A TORRE CIRCONDATA DA PICCOLI STECCATI BIANCHI?

I blogger di Wired hanno chiesto in giro, ma nessuno lo sa. Nemmeno gli scienziati! Una serie di bizzarre, quanto enigmatiche, strutture biologiche è stata scoperta nella foresta amazzonica del Perù, formazioni molto simili a piccole guglie circondate da staccionate. La prima delle strutture è stata avvistata pochi mesi fa, lo scorso 7 giugno, da Troy Alexander, uno studente laureato al Georgia Tech, il quale si è accorto di una bizzarra formazione che poggiava sul fondo di un telone blu, vicino al Centro di Ricerche Tambopata, nel Perù sudorientale. Incuriosito, ha cominciato ad esplorare l’area circostante, scoprendo altre tre strutture sui tronchi degli alberi della foresta.Secondo la descrizione offerta da Wired, le piccole recinzioni misurano circa 2 centimetri di diametro. Dopo la scoperta, Alexander ha pubblicato le immagini su diversi siti web, alla ricerca di qualcuno che fosse in grado di spiegare l’origine dell’oggetto.Ad oggi, ancora nessuno è stato in grado di fornire una spiegazione. Anche Phil Torres, un biologo di Tambopata, ha postato un link su Twitter con le immagini, altrettanto sconcertato dall’enigmatico recinto.


NON HO IDEA DI COSA SIANO FATTE O COSA POSSANO ESSERE
ha ammesso William Eberhard, entomologo allo Smithsonian Tropical Research Institute. Norm Platnick, curatore emerito del Museo Americano di Storia Naturale, ha aggiunto: “Ho visto la foto, ma non ho idea di quale animale possa trattarsi”.“Io non so cosa sia”, ha detto Linda Rayor, aracnologa presso la Cornell University. “La mia ipotesi è che possa essere opera di un lepidottero (farfalla o falena), ma non so davvero”.Partendo dall’ipotesi che possa trattarsi di una struttura creata da un insetto di questa famiglia, i blogger di Wired hanno chiesto informazioni a Todd Gillian, un entomologo della Colorado State University specializzato in questi organismi e presidente della società Lepidopterists.“Non ne ho idea”, ha detto lapidario Gillian. “Alcune falene costruiscono un recinto attorno alle uova per proteggerle. Ma una struttura del genere è davvero inaudita, non ho mai visto niente di simile prima d’ora”.Conclusione: la struttura e l’organismo che l’ha realizzata rimangono un mistero. Se qualcuno avesse un’idea in proposito, o conoscesse qualcuno in grado di fornire spiegazioni, potrebbe contribuire alla scoperta di un nuovo organismo, se di organismo si tratta…

Redatto da Pjmanc: http://ilfattaccio.org

martedì 10 settembre 2013

CERVELLO VIRTUALE: TRA 10 ANNI SARA' REALTA'

In America la prima campanella d'allarme è già suonata. Già, perché sapere che è possibile manipolare la memoria fino a farci ricordare cose mai successe qualche preoccupazione la desta. I topi da laboratorio di Susumu Tonegawa, un neuroscienziato del Massachusetts Institute of technology (Mit), si sono ricordati di aver provato un forte dolore alle zampe, anche se in realtà quel dolore non l'avevano mai sentito, e non avevano mai ricevuto uno shock che lo provocasse. Tutto stimolando alcuni neuroni dell'ippocampo. Tonegawa ha subito precisato che non ha nessuna intenzione di impiantare falsi ricordi anche negli esseri umani, ma lo studio lascia perplessi i neuro-eticisti, che iniziano a porsi qualche domanda sulle neuroscienze: «Questo è solo uno dei problemi etici sorti in questi anni – ha dichiarato a Nature James Giordano, che all'Università di Georgetown si occupa di studi neuroetici – e molti altri ne sorgeranno ancora». Soprattutto ora che in Europa e negli Stati Uniti stanno partendo due grossi studi decennali – The Human Brain project (Hbp) e The Brain initiative rispettivamente – che dovrebbero portare il primo alla simulazione elettronica di un cervello umano e il secondo alla mappatura completa del nostro cervello. Dovrebbero.


I primi a partire questa volta sono stati gli europei, con uno progetto finanziato lo scorso gennaio, dalla Commissione Europea, all'interno del programma Future and emerging technology (Fet), con un miliardo di euro . Entro il 2023 Henry Makram dell'École Polytechnique Fédérale (Epfl) di Losanna, a capo del progetto, dovrebbe riuscire a mettere insieme tutti i dati raccolti dagli 87 centri coinvolti in Europa per arrivare a simulare l'attività del cervello umano. Niente intelligenza artificiale però, lo scopo è “solo” quello di capire come funziona questa straordinaria macchina per individuare poi l'origine delle malattie neurologiche – e magari trovare una cura – e usarlo come tester per i farmaci, per saltare o ridurre le fasi di sperimentazione. «Il “progetto cervello umano” cerca di usare le tecnologie informatiche per creare una grande simulazione delle funzioni complesse del cervello: tramite database e software saranno incrociati i dati delle diverse ricerche condotte in tutta europa, uniti in un unica banca-dati collegata» Riassume in breve Stefano Canali, neuroscienziato della Scuola Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Treste, dove si occupa di neuroetica.

«Per decenni abbiamo studiato il funzionamento del singolo neurone o circuito neuronale – continua Canali – ora quello che Makram vuole ottenere con il progetto cervello umano è capire come funzionano tutti i neuroni e circuiti neuronali nell'insieme. Per poi capire come il cervello si ammala e come si può curare». Ogni centro coinvolto nel progetto quindi produrrà un tassello del puzzle che inserito nel complesso dovrebbe simulare interamente l'attività del cervello umano. In Italia per esempio i centri coinvolti sono sei: l’Istituto di fisiologia generale dell’Università di Pavia, dove studieranno come comunicano le cellule del cervelletto; l'istituto di biofisica del Cnr di Palermo che simulerà il circuito visivo, olfattivo, mnemonico. Il Cineca di Bologna, dove verranno smaltiti e gestiti i dati provenienti dagli studi; Il Lens (Laboratorio europeo di spettroscopia non lineare) dell’università di Firenze che si occuperà di “fotografare” fettina per fettina il cervello umano per costruire una mappa in 3D; il Centro italiano per l’Alzheimer dell’Irccs Fatebenefratelli di Brescia che fornirà i dati sui danni delle patologie neurologiche; e infine il Politecnico di Torino, che coordinerà i centri italiani.

Questa l'idea che Henry Makram insegue già dal 2005, quando il progetto si chiamava Blue Brain ed era svolto in collaborazione con l'Ibm. Progetto che arrivò a simulare l'attività neuronale di una colonna neocorticale di ratto, composta da circa 10000 neuroni. Il cervello umano ha però mediamente «cento miliardi di cellule nervose e ognuna di questa si collega almeno a 80mila neuroni: si arriva a una cifra davvero mostruosa» commenta il neuroscienziato della Sissa. «Il numero dei contatti possibile supera il numero di tutti i corpi celesti stimati presenti nell'universo». Un'impresa non semplice che non è detto gli scienziati riusciranno a portare a termine entro il 2023. Sempre che poi il tutto funzioni.

«L'idea poi è controversa perché il cervello simulato è standard mentre l'origine delle malattie è legata anche a fattori genetici e alla storia del singolo individuo che può spiegare perché quel cervello si è ammalato» spiega a Linkiesta Canali. «È difficile capire perché un individuo si ammali, anche considerando tutti i meccanismi funzionali del cervello e tutti i meccanismi patogenetici che sono alla base della malattia, perché ogni storia personale ha un peso nell'insorgere della malattia, e questo non è simulabile al computer. Soprattutto per le malattie psichiatriche. È già difficile per quelle somatiche figuriamoci per queste che sono descrizioni di condizioni di valore, cioè non sono condizioni patologiche per cui ci sono sintomi chiari correlati a meccanismi eziologici o patologici, ma sono giudizi che si danno su certi tipi di comportamento che vengono considerati inopportuni, disfunzionali, inappropriati. Come l'omosessualità che fino alla fine degli anni '60 era una malattia ma ora non lo è più, o l'isteria, poi scomparsa». Ma quello di Stefano canali non è scetticismo come potrebbe sembrare: «Con i fondi che hanno a disposizione per questo progetto, certamente qualcosa di positivo verrà fuori e porterà a novità nel campo delle neuroscienze, anche se non varrà raggiunto l'obiettivo principale. Inoltre credo che il 3% dei fondi siano destinati proprio alla riflessione filosofica-etica su cosa sia una malattia psichiatrica».

L'altro progetto invece – quello americano – The Brain initiative (Brain Research through Advancing Innovative Neurotechnologies) intende investire e sviluppare nuove tecnologie per mappare l'attività dei miliardi di neuroni che lavorano nel nostro cervello. Per capire come riescano a produrre pensieri, emozioni, movimento e memoria. L'iniziativa Brain è stata annunciata da Obama già a febbraio di quest'anno e il 2 aprile presentata al Congresso: 100 milioni di dollari provenienti dai fondi federali per raggiungere l'obiettivo in dieci anni, coinvolgendo strutture pubbliche e private. Il finanziamento fa parte del bilancio dell'anno fiscale presidenziale 2014 e richiede l'approvazione del Congresso. Difficile però che il piano non venga approvato, per l'America ci sarebbe il rischio di rimare indietro in un settore di punta della ricerca scientifica, in cui l'Europa sta già investendo. Il pericolo è anche che ci sia una fuga dei ricercatori dal Nuovo al Vecchio continente.

In attesa che il Congresso si esprima in merito, il 20 agosto la commissione sulla bioetica americana, ha tenuto un congresso a Filadelfia per stabilire una serie di standard etici che guidino il progetto Brain. I principali problemi sorti sinora riguardano l'uso responsabile di dispositivi che in qualche modo possono alterare la mente; la protezione dei dati personali neuronali; la previsione delle malattie neurodegenerative non trattabili; e l'uso delle neuroscienze in Tribunale come strumento per attribuire responsabilità penale. «Con questi problemi però ci siamo scontrati già prima che partissero i due progetti – precisa Canali – sono problematiche che hanno a che fare con il progresso delle neuroscienze in se, e questo progetto non farà altro che amplificarle».

«Un esempio sono le tecnologie, oggi già disponibili, in grado di modulare gli stati dell'umore o di manipolare la memoria, sia farmacologiche che elettriche» conclude il ricercatore della Sissa. «È chiaro che tutte le tecnologie che modificano la percezione del se o alterano la personalità pongono dei problemi etici. D'altra parte se queste possono portare a un miglioramento della salute e servono ad alleviare la sofferenza delle persone – come nei soldati che soffrono di disturbo post traumatico da stress – è giusto che vengano sviluppati. Starà poi al legislatore o all'opinione pubblica giudicare come devono essere usati o mettere in piedi dispositivi regolatori per stabilirne un uso appropriato. Per questo è molto importante che la società sia cosciente degli sviluppi delle neuroscienze – nei suoi pericoli e potenzialità – e che in qualche modo partecipi al dibattito pubblico che si verrà a creare. Saranno l'opinione pubblica, i portatori di interesse e i legislatori a mettere a punto regole e discipline che facciano correre meno rischi possibile». 

Twitter: @cristinatogna

lunedì 9 settembre 2013

IMMORTALATO L'ISTANTE IN CUI L'ANIMA LASCIA IL CORPO

L’esatto momento in cui l’anima lascia il corpo sembra essere stato catturato dallo scienziato russo Konstantin Korotkov, direttore del Research Institute of Physical Culture di San Pietroburgo, che avrebbe fotografato una persona con un dispositivo bioelettrografico nel momento esatto in cui è deceduta.


Korotkov ha scattato la foto con la tecnica Kirlian: il metodo, adottato dal Ministero della Salute russo ed utilizzato da oltre 300 medici in tutto il mondo come forma di monitoraggio per malattie come il cancro, è stato perfezionato da Korotkov con tecnica GDV (Gas Discharge Visualization) che ha poi applicato su una persona in punto di morte.


L’alone azzurro nell’immagine a sinistra rappresenta il momento in cui, secondo lo scienziato, l’anima sta abbandonando il corpo che, una volta spirato il soggetto, diviene rosso.

Secondo Korotkov, l’ombelico e la testa sono le parti che per prime perdono la loro forza (cioè l’anima) mentre l’inguine ed il cuore sono le aree che vengono abbandonate per ultime.

Lo scienziato ha affermato che le immagini da lui ottenute dimostrerebbero che l’anima ritorna più volte nel corpo, specie in caso di morte violenta o improvvisa, come se manifestasse uno stato confusionale e ritornasse nel corpo nei giorni seguenti alla morte: lo scienziato ascrive il fenomeno ad energia non utilizzata che è contenuta nell’anima.

Per Korotkov più la morte è improvvisa e non naturale, più l’anima, rappresentata dalle onde elettromagnetiche fosforescenti, resta a lungo vicino al corpo, quasi stentasse ad accettare l’improvvisa separazione.

Per Korotkov, la tecnica potrebbe essere utilizzata per monitorare tutti i tipi di squilibri biofisici, per le diagnosi in tempo reale ed anche per svelare se una persona possiede poteri psichici o meno.

di Edoardo Capuano
fonte: Ectaplanet

sabato 24 agosto 2013

SPIEGATI SCIENTIFICAMENTE I COSIDDETTI " VIAGGI NELL'ALDILA' "

I cosiddetti viaggi nell'aldilà, quella "luce bianca" di cui parla circa il 20% di coloro che sopravvivono a un infarto, hanno per la prima volta una spiegazione fondata su dati concreti: si devono al fatto che l'attività elettrica del cervello continua ad essere molto ben organizzata anche nei primissimi istanti dopo la morte clinica. E' quanto affermano alcuni ricercatori dell'università del Michigan che hanno pubblicato un articolo sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.


Utilizzando un elettroencefalogramma i ricercatori hanno analizzato le attività cerebrali di nove ratti anestetizzati e sottoposti ad arresto cardiaco indotto sperimentalmente. Entro i primi 30 secondi dopo l'arresto cardiaco, in cui il cuore smette di battere e il sangue smette di fluire verso il cervello, in tutti i ratti è stata riscontrata un'attività cerebrale con una diffusa sovratensione, caratteristica associata a un cervello altamente eccitato e dalla percezione cosciente.

Comportamenti cerebrali identici sono stati osservati dai ricercatori anche nei ratti sottoposti ad asfissia. "La previsione che avremmo trovato alcuni segni di attività cosciente nel cervello durante l'arresto cardiaco, è stata confermata con i dati ", scrive Jimo Borjigin, professore di fisiologia molecolare e integrativa e di neurologia presso la scuola di medicina dell'università del Michigan e coautore dello studio. "Siamo stati sorpresi però - aggiunge l'anestesista George Mashour, coautore della ricerca - dagli alti livelli di attività. In effetti i segnali elettrici ci indicano che il cervello ha un'attività elettrica ben organizzata durante la fase iniziale di morte clinica. Questo ci suggerisce che nello stato di pre-morte esiste quindi un livello di coscienza che normalmente si trova in una condizione di veglia".

E' la prima volta che si indaga in maniera sistematica sulla condizione neurofisiologica del cervello immediatamente successiva all'arresto cardiaco. "Questo studio ci dice che la riduzione di ossigeno o di ossigeno e glucosio durante l'arresto cardiaco è in grado di stimolare l'attività cerebrale che è una caratteristica dell'elaborazione cosciente. Esso offre anche il primo quadro scientifico - conclude Borjigin - per le molte esperienze di pre-morte riportate da pazienti sopravvissuti all'arresto cardiaco ".

fonte: LaRepubblica.it - salute

venerdì 23 agosto 2013

UNA SCOPERTA COSTRINGE A RIVEDERE L'ORIGINE DEL NOSTRO PIANETA

Per un intero secolo, gli scienziati hanno ipotizzato che la Terra avesse la stessa composizione chimica del Sole.

Questa teoria si basa sull'idea che tutto il Sistema Solare si sia formato dalla stessa nebulosa solare che circondava il Sole 4,6 miliardi di anni fa e che, quindi, tutti i corpi celesti in esso contenuti condividano la stessa composizione chimica. Dal momento che il Sole comprende il 99% del Sistema Solare, questa composizione è essenzialmente quella del Sole.

Questa ipotesi, tuttavia, è stata contestata in un nuovo studio condotto da due ricercatori dell'Australian National University, nel quale è riportata una scoperta che potrebbe costringere gli scienziati a riformulare una nuova teoria sull'origine della Terra.

Ian Campnell e Hugh O'Neil hanno scoperto che il rapporto tra la quantità di isotopi di neodimio contenuti nelle rocce vulcaniche della Terra è molto superiore a quella contenuta nei condriti, i meteoriti che si sono formati dalla nebulosa solare. Questo significa che la Terra ha una composizione chimica diversa rispetto ai condriti, preziose rocce particolarmente amate dagli scienziati a causa della loro provenienza dalla materia primordiale.

I due ricercatori concludono che la Terra deve aver avuto un'origine differente e non dall'aggregazione progressiva dei condriti. Essi ipotizzano che la Terra si sia formata attraverso la collisione con corpi celesti di dimensioni planetarie, oggetti abbastanza massicci da sviluppare una crosta esterna.

Molti scienziati hanno tentato di spiegare questa discrepanza sostenendo che ci dovrebbe essere una riserva nascosta di questi elementi vicino al centro della Terra. Questo serbatoio funzionerebbe grazie al calore del nucleo terrestre, producendo elementi come uranio, torio e potassio.

Ma Campbell non ha trovato nessuna prova dell'esistenza di questi 'serbatoi nascosti'. La conclusione è supportata da oltre 20 anni di ricerche da parte di Campbell sulle colonne di roccia calda che salgono dal centro della Terra, chiamate 'Pennacchi di Mantello', descritti come degli zampilli o pennacchi caldi, di materia relativamente primordiale, che risalgono dal profondo del mantello confinante con il nucleo esterno.

“I pennacchi di mantello non rilasciano calore sufficiente perchè questi serbatoi possano esistere. Di conseguenza, la Terra semplicemente non ha la stessa composizione delle condriti o del Sole”, spiega Campbell nello studio pubblicato da Nature.

“Noi pensiamo che la Terra si sia formata dalla collisione con corpi planetari di dimensioni crescenti. Nella nostra ricerca spieghiamo che questi corpi planetari avevano dimensioni tali da sviluppare un guscio esterno che conteneva una notevole quantità di elementi che producono calore”, continua il ricercatore.

“Durante le fasi finali della formazione della Terra, questo guscio esterno è andato perso in un processo chiamato 'erosione collisionale'. Questo spiega perchè la Terra non ha la stessa composizione chimica delle meteoriti condriti”.