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martedì 28 agosto 2012

LA FINANZA ISLAMICA...UN MODELLO DA IMPORTARE


Sukuk, riba, mushàraka, muharaba. Pochi in Italia hanno idea di che cosa significhino questi termini (rispettivamente, obbligazioni finanziarie, prestito a interesse, parternariato, contratto di scambio). Eppure stanno diventando sempre più importanti nell’economia euro-mondo, oggi più che mai alla ricerca di modelli alternativi rispetto a quello attuale, che con la crisi globale ha mostrato tutta la sua vulnerabilità e i suoi difetti. Una di queste vie alternative è la finanza islamica.
Se nei Paesi del Golfo Persico e in Asia tale modello è diventato un esempio di successo e in costante espansione, in Europa s’è sviluppato solo nel Regno Unito. In Francia risulta in fase di studio approfondito, mentre la Germania ha mostrato scarso interesse. In Italia, il modello è pressoché sconosciuto.
Si tratta infatti di un sistema estremamente diverso da quello a cui siamo abituati: alle regole della finanza fa precedere quelle di natura etica e religiosa, a cui le operazioni di banche, società e privati devono sottostare. 
Attualmente in Italia non è presente alcuna banca islamica. Per ovviare a questa mancanza, lo scorso anno, è stato proposto il Mediterranean Parnership Fund, che dovrebbe permettere all’Italia di orientarsi anche su questo settore e di attrarre maggiori capitali dai mercati del Golfo Persico.
In cosa consiste la finanza islamica? Ci sono diversi pilastri che la fondano e che la rendono un modello alternativo ed attraente. Come il divieto assoluto dei prestiti a interesse (così tipici delle banche italiane), dato che gli interessi, anche minimi, sono paragonati dal Sacro Corano all’usura (riba). È prevista la condivisione dei rischi e dei profitti tra creditore e debitore, in modo che siano presi in considerazione solo investimenti potenzialmente validi. Viene affermato il diritto-dovere alla trasparenza e chiarezza dei contratti. Ogni vendita deve essere immediata e certa, cioè possibilmente priva di rischi (gharar), e sono fortemente incentivati gli investimenti di carattere sociale.
Ogni transazione finanziaria, poi, nella finanza islamica deve essere legata a una transazione reale. In pratica, non si possono fare soldi dai soldi”. Ciò in teoria dovrebbe escludere il ricorso a prodotti derivati come quelli che hanno provocato la crisi in Occidente.
Nella finanza islamica, infatti, l’investitore concede alla banca un capitale, e la banca provvede a investirlo in un’attività reale, riscuotendo i profitti generati dall’investimento effettuato: sono i sukuk, le obbligazioni islamiche, che negli ultimi anni stanno conoscendo molta fortuna. In Italia nelle obbligazioni tradizionali, invece, l’investitore riceve indietro, a periodi prestabiliti, il suo capitale investito e una remunerazione a titolo di interesse, cosa che nell’Islam è severamente vietata.
Oppure, se un privato vuole acquistare una casa, le banche, invece di far aprire un mutuo da restituire con i tassi d’interesse, acquistano esse stesse l’immobile che poi affittano al privato. Il quale, una volta terminato di pagare le rate più una commissione sul servizio ottenuto, riscatta la casa diventandone proprietario. L’operazione attraverso cui le banche acquistano e poi rivendono a un prezzo maggiore beni reali è tra le più comuni in questo modello economico.
Fonte:www.unimondo.org

2 commenti:

  1. Veramente molto interessante , lo posto anche sul nostro gruppo che si occupa di economia crisi ed alternative possibili...


    https://www.facebook.com/groups/movimentostellacometa/

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  2. Questo è uno dei motivi per cui gli occidentali capitalisti e colonialisti vogliono iniziare una guerra contro il mondo islamico.
    Se questo modo di economia si dovesse instaurare, gli occidentali, con a capo i famigerati Rockefeller e Rothshield, non potrebbero più dominare le popolazioni e cadrebbe il loro sogno di dominio mondiale.

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