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martedì 27 novembre 2012

L'AVVENTO DEL FASCISMO MONETARIO - prima parte

L'avvento del fascismo monetario
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Se vi capita spesso di chiedervi come mai il “capitalismo del libero mercato” sembri un fallimento nonostante che economisti e opinionisti politici assicurino che funziona a dovere, la vostra intuizione è azzeccata.
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di James C. Kennedy è un consulente economico
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DOMENICO D'AMICO 


prima parte


Il capitalismo del libero mercato ormai appartiene al passato. A dire il vero il capitalismo del libero mercato è stato sostituito da qualcosa che è sia contro il capitalismo sia contro il libero mercato. La deviazione avviene alla luce del sole.

A iniziare all’incirca dal 1970, gli Stati Uniti e la maggior parte del “mondo libero” si sono allontanati dal tradizionale “capitalismo del libero mercato”, imboccando una strada diversa.

Al giorno d’oggi gli Stati Uniti e gran parte dell’economia mondiale operano sotto quello che io chiamo Fascismo Monetario: un sistema nel quale gli interessi finanziari controllano lo Stato a vantaggio della classe finanziaria. Si tratta di qualcosa di significativamente diverso dal Fascismo tradizionale, un sistema nel quale lo Stato e l’industria operano a vantaggio dello Stato.

Il Fascismo Monetario è stato concepito e diffuso tramite la Chicago School of Economics. Le opere collettive di Milton Friedman costituiscono le fondamenta del Fascismo Monetario. Consapevoli della universale impopolarità del termine “Fascismo”, Friedman e la Chicago School of Economics camuffarono le loro opere sotto l’etichetta di “Capitalismo” ed economia del “Libero Mercato”.

La chiave di volta del principio corruttore di Friedman è che l’investitore (cioè il denaro, a essere precisi) non conosce né doveri, né obblighi, né impegni contrattuali nei confronti di niente e nessuno. Il “Mercato” di Friedman non soggiace a “qualsiasi” criterio umano di moralità, discrimine politico o interesse nazionale. Il denaro è libero di agire senza vincoli materiali o sociali. Nulla è proibito, finché il mercato può fornire un “prezzo di equilibrio” [1].

La differenza fondamentale tra il capitalismo del libero mercato di Adam Smith e il “capitalismo del libero mercato” di Friedman è che quello di Friedman è un modello iper-depauperante [2], del genere che crea e sostiene paesi del terzo mondo e repubbliche delle banane, a prescindere da confini geografici o politici.

Chi affermasse che in questo non c’è nulla di nuovo, perderebbe di vista l’essenziale. Friedman non fa differenza tra un qualsiasi paese del terzo mondo e il proprio. La differenza fondamentale è che Friedman ha creato un modello che permette e promuove lo sfruttamento del suo stesso paese, di fatto di qualsiasi paese, a beneficio degli investitori, o meglio dei super ricchi. Egli ha camuffato questa dottrina tossica con la veste del “capitalismo del libero mercato” e ha convinto la maggior parte del mondo ad accoglierla come propria salvezza economica.

Per quanto sembri improbabile, questa ideologia ha il consenso quasi universale della maggior parte degli economisti, dei media, delle università, della Federal Reserve, del Tesoro, di quasi tutti i membri del Congresso statunitense e di chi più ne ha più ne metta. Oggi l’ideologia di Friedman è accettata, in varia misura, da quasi tutti i paesi del mondo. Ma alla fine dei conti questo modello basato sullo sfruttamento è insostenibile a qualsiasi livelli, sia di individuo sia di nazione.

La differenza essenziale tra l’ideologia di Smith e quella di Friedman è semplice: Smith era di fatto un mercantilista [3]. È vero, egli si opponeva alla consuetudine di accumulare oro e ad altre pratiche mercantiliste, ma in definitiva era un mercantilista. Smith sosteneva il “libero commercio” con l’obbiettivo di accrescere i vantaggi dei mercanti britannici, e di conseguenza dello Stato. Nulla lo esprime più chiaramente del titolo del suo libro, Indagine sulla Natura e le Cause della Ricchezza delle Nazioni. Il mercantilismo si basa sulla relativa ricchezza di uno stato nazionale rispetto agli altri, non sulla spoliazione dello Stato e dei suoi cittadini a vantaggio dell’individuo.

Smith credeva nel potere dello Stato e riconosceva che soltanto per mezzo del potere dello Stato la libera impresa può avere successo e prosperare. Concordava con Locke che, in un mondo senza Stato, “la vita è breve e brutale”. Conseguentemente, esistono degli obblighi nei confronti dello Stato e delle persone che lo costituiscono: quelli che lavorano.

Secondo Smith ogni macellaio, panettiere, artigiano e mercante avrebbe dovuto perseguire il proprio interesse, e quel vantaggio economico alla fine avrebbe beneficiato i suoi concittadini e la Corona. Gli argomenti di Smith contro alcuni precetti del mercantilismo erano intesi a procurare agli artigiani inglesi un maggior vantaggio, niente di più. Lo scopo era quello di rendere il proprio Stato più ricco di tutti gli altri, un’alternativa alla primitiva pratica della guerra come tradizionale mezzo di arricchimento della Nazione. Smith vedeva la situazione come un gioco a somma zero. E dato che l’Inghilterra era all’epoca l’indiscussa dominatrice dello sfruttamento globale, lo sfruttamento delle altre Nazioni veniva considerato un obbiettivo legittimo.

Comunque, secondo l’economista David Ricardo lo scambio tra nazioni dalle economie relativamente similari produce quello che chiamava “vantaggio comparato”. Il vantaggio comparato si basa sulla specializzazione: la Germania costruisce attrezzature meccaniche, l’Italia prodotti in pelle, la Francia produce formaggio, vino e letteratura. Quando queste nazioni scambiano merci tra loro ognuna delle parti ottiene un guadagno netto, risultato della specializzazione che evita la duplicazione delle risorse [4].

Ovviamente la cosa non funziona quando le nazioni del primo mondo delocalizzano fabbriche e posti di lavoro verso economie di sussistenza [5] (il termine “comparato” esce di scena). La delocalizzazione verso economie non comparative è di puro sfruttamento, perché tutto il guadagno viene privatizzato e non ha più collegamenti cogli interessi nazionali. La delocalizzazione non comparativa danneggia sia la nazione di origine sia quella di destinazione.

Un soggetto finanziario è in grado di ottenere vantaggi ambientali, fiscali, finanziari e infrastrutturali dalla nazione ospite. Se la nazione ospite cercasse di rinegoziare la sua posizione nei riguardi di quel soggetto economico, il soggetto può mettere in campo il potere della sua nazione di origine (i.e. Il Dipartimento di Stato). Questo genere di intervento può rivelarsi molto dispendioso per la nazione di origine e risultare tragico per la nazione ospite. Sotto il dominio del Fascismo Monetario, il soggetto finanziario ottiene profitti spropositati dalla nazione ospite, utilizzando lo stato come proprio garante di legalità, massimizzando nel contempo l’elusione fiscale tramite corporation off-shore (e altri stratagemmi).

Il capitalismo di libero mercato, nella concezione di Smith, era per natura nazionalistico, per cui all’aumento della ricchezza dello Stato Nazione corrispondeva un aumento della ricchezza dei cittadini e dell’industria. Questa relazione richiedeva obblighi e ricompense condivisi da Stato e cittadini.

Il Fascismo tradizionale, com’era concepito da Mussolini o da Hitler, possedeva un carattere aggressivamente nazionalistico col quale lo Stato promuoveva al di sopra di tutto l’industria, con lo scopo di rafforzare lo Stato a fronte di quelli che percepiva come rivali. Hitler e Mussolini credevano che di quanto lo Stato faceva avanzare l’industria, di tanto l’industria avrebbe fatto avanzare il popolo – dignità e orgoglio per la propria nazione erano principi imprescindibili.

Il Fascismo Monetario, nella concezione di Friedman, utilizza i poteri dello stato per porre gli interessi del denaro e della classe finanziaria al di sopra e al di là di tutte le altre forme di attività economica (nonché di altri soggetti portatori di interessi) e dello stesso Stato.

Nelle democrazie e nelle nazioni del primo mondo tutto questo viene ottenuto attraverso l’attività di lobbying, i contributi elettorali, gli incentivi finanziari, i controllori che passano dalla parte dei controllati (e viceversa), e altri mezzi ancora. Con queste premesse, lo Stato viene cooptato nella modifica di regolamentazioni e leggi, nello sviamento di indagini e provvedimenti giudiziari o nella creazione di scappatoie fiscali a beneficio della classe finanziaria. Queste azioni finiscono per minare la sovranità degli stati.

Per quel che riguarda il resto del mondo, gli interessi e la sovranità degli stati vengono minate per mezzo del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e di altre agenzie monetarie globali.

Il Fascismo Monetario ha una spiccata preferenza per l’investimento politico piuttosto che per l’investimento di capitali. Quest’investimento è concepito per perseguire e sostenere le opzioni e le attività della classe finanziaria nelle sue manipolazioni volte a creare opportunità ancora maggiori di profitti spropositati, o a produrre transazioni per rimuovere il rischio, che riversano i profitti degli arbitraggi rischiosi [6] tutti da una parte, mentre le future perdite cadranno sull’altra.

Su scala globale, le idee di Friedman hanno influenzato pesantemente i trattati internazionali in materia fiscale e di flusso di capitali, con il fine ossessivo di affrancare il capitale da qualsiasi obbligo nei confronti sia del paese di origine sia di quello ospite. In sostanza questi accordi hanno creato una nazione virtuale, o non nazione, costituita di denaro, che si situa al di là della portata degli stati-nazione convenzionali. La “mano invisibile” di Friedman è libera di prosciugare la ricchezza di qualsiasi corporation o nazione senza che ci sia alcun obbligo reciproco.



[1] Il prezzo di equilibrio (clearing price) è il prezzo di mercato che si raggiunge in una situazione di perfetto equilibrio tra domanda e offerta, secondo le regole del “libero mercato”. [cfr. e-investimenti.com]
[2] Nell’originale “hyper extractive”. Si riferisce alle colture agricole che impoveriscono il terreno senza rimpiazzare le sostanze nutritive perdute, e che quindi devono essere alternate a colture di rinnovo. [Sapere.it]
[3] In soldoni il mercantilismo può essere definito come “la politica indirizzata ad aumentare, entro lo Stato, la disponibilità di moneta e il protezionismo tendente a rendere la bilancia commerciale attiva” [Treccani] che è poi il modo in cui si sono formate le potenze economiche in età moderna. Si tratta, evidentemente, di un approccio opposto a quello liberista [Wikipedia].
[4] A parte la divertente descrizione delle varie “specializzazioni” nazionali, l’autore da’ un’immagine un po’ troppo ottimistica del vantaggio comparato, che Ricardo ideò proprio per opporsi al “protezionismo” mercantilista delle Corn Law della sua epoca (vedi articolo dal Real World Economic Review Blog), ma dato che il punto in questione è la similarità tra le economie che intrecciano l’interscambio, la semplificazione è più che accettabile.
[5] Cioè quelle di paesi che non hanno abbastanza beni da effettuare uno scambio “paritario” coi paesi più ricchi.
[6] Arbitraggio rischioso [Risk Arbitrage]: contrapposto all’arbitraggio non rischioso (che consiste nel comprare su un mercato e vendere su un altro, traendo un profitto “sicuro” dalla differenza di quotazione), l’arbitraggio rischioso è un genere di investimento speculativo, spesso legato agli hedge fund, che riguarda società oggetto di (futura) acquisizione. Diciamo che le azioni di una società X sono quotate 50. Si viene a sapere che qualcuno vuole comprare la società X offrendo 60 ad azione. Lo speculatore informato deve procurarsi le azioni, che magari sono salite a 55 per via dell’annuncio, e sperare così di guadagnarci quando l’acquisizione diverrà un dato di fatto. Siccome ci sono molte variabili e incognite (le autorità di controllo possono intervenire, alcuni azionisti possono mettersi in mezzo, o addirittura la preannunciata acquisizione può non verificarsi affatto) si tratta di un’attività “rischiosa”. [cfr. Wikipedia]

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