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venerdì 23 novembre 2012

STORICAMENTE COSTRUIRE GRATTACIELI PREPARA LA ROVINA

Quando innalzi grattacieli,
allora una crisi è vicina

Costruire grattacieli prepara la rovina. Quando New York creava l’Empire State Buidling, non sapeva che stava aprendo la strada al 1929. Lo stesso dovrebbe valere per i grattacieli creati da cinesi e coreani. Il mix di prezzi dei terreni alti e accesso al credito facile, secondo gli analisti, è premessa di un crollo.

di Manlio Lilli

Nel celebre Metropolis di Fritz Lang, del 1927, tra gli sfavillanti grattacieli che fanno da sfondo alle fantascientifiche e drammatiche vicende umane, emerge con il suo skyline, la nuova Torre di Babele, l’edificio più alto. New York, che aveva ispirato al regista quel capolavoro cinematografico, dal 1920 aveva proprio al centro di Manhattan il Chanin Building, alto circa 215 metri, con 44 piani. Vicino a Wall Street esistevano, dal 1913, il Woolworth Building, con 241 metri circa di altezza e 57 piani, dal 1908, il Singer Building, alto 205 metri e 45 piani, costruito dalla nota ditta di macchine per cucire, demolito nel 1960 e sostituito dal Chase Manhattan Plaza di 70 piani con un’altezza di 260 metri.
Da quelle pioneristiche esperienze nelle quali l’ambiente era un elemento trascurato, l’architettura ha imparato. Molto. Quegli edifici nei quali l’aspirazione all’alto costituiva il comune denominatore, si sono trasformati in ecosistemi autosufficienti con serre, giardini e termo-valorizzazione dei rifiuti. Il Laminated Wood Skyscraper in Brasile, costruito in legno, gli Hydrascrapers di Shangai, il Nested Skyscraper di Tokyo, il Skyscraper of Liberation, al confine palestinese e il LO2P: Recycling Center di New Delhi.
Europa, Asia e Stati Uniti si fronteggiano facendo realizzare nuove grattacieli. Sempre più alti. Sostenendone le ingenti spese. Mentre nel vecchio continente spesso si arranca, scontando talora l’aprioristica contrarietà al modello, ora nuovamente ripensato, garantendo l’auspicato minor consumo di suolo, in Asia e negli Stati Uniti, le vette si moltiplicano.
A settembre del passato anno a Pechino è stata inaugurato, nel cuore del Central business district, non lontano dalla Cctv di Rem Koolhaas, l’inizio del cantiere del China Zun di Terry Farrell, 510 metri per 108 piani. Alla fine di aprile di quest’anno a New York è stato collocato il primo pilastro del centesimo piano del One World Trade Center, l'edificio costruito sulle ceneri delle Torri Gemelle che dunque è diventato il più alto di tutta la città, con 387,4 metri, superando di 6,4 metri l'Empire State Building. L'anno prossimo, poi, l’installazione sulla sommità del grattacielo di un'antenna porterà l'altezza a 541,3 metri, pari a 1776 piedi, per ricordare l'anno della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti. Il che consentirà al One World Trace Center di diventare il terzo edificio più alto del mondo.
Dati che sembrano indiziare una solidità economica poco meno che indiscussa. Certamente per quanto riguarda la Cina. A scalfire questa (quasi) certezza provvede però una previsione degli analisti della Barclays Capital, secondo cui ogni boom di grattacieli precede un tonfo dell’economia. Dunque se la Cina, come l’India, vive questo floruit edificatorio, si prepari entro cinque anni ad un altro boom, ma al contrario. Una tesi tutt’altro che infondata, basata su argomenti incontrovertibili. Insomma il passato insegna.
La New York che aveva innalzato, tra il 1929 e il 1931, l’Empire State Building di William F. Lamb e Harmon, e tra il 1928 e il 1930, il Chrysler Building di William van Alen, dopo il crollo di Wall Street sprofondò nella Grande depressione. A Chicago le Sears Tower di Skidmore Owings, terminate nel 1974 (ma iniziate nel 1970) precedettero appena lo scoppio della crisi energetica, dopo la guerra del Kippur e il blocco delle esportazioni di petrolio da parte dei paesi arabi dell’Opec. Ancora, nel 1997, l’inizio della crisi finanziaria asiatica, che provocò il ritiro dei capitali stranieri e delle banche e una forte recessione, coincide con il completamento in Malaysia, a Kuala Lumpur, delle Petronas Tower di Cesar Pelli. A Dubai dove dal 2010 troneggia, con i suoi 828 metri, il Burj Khalifa di Adrian Smith, il collasso finanziario ha colpito inesorabilmente. La relazione tra edifici più alti al mondo e crisi è molto più di una pura coincidenza. È “l’indice dei grattacieli” secondo la tesi di Andrew Lawrance, l’analista che l’ha formulata nel 1999.
La miscela tra prezzi dei terreni alti e accesso facile al credito, in un clima generale di ottimismo, a detta degli analisti, è la premessa di un crollo. Per questo la posizione della Cina, che ospita più della metà dei grattacieli in costruzioni del pianeta, si mostra precaria. Ma intanto si continua, freneticamente, a costruire. Non solo Pechino, dove, in attesa del China Zun, iniziato nel 2011, guarda tutti gli altri dall’alto con i suoi 330 metri il China Wold. Ma anche Shanghai con lo Shanghai World Financial Center che raggiunge i 492 metri e Shenzhen con il Pingan International Finance Center che toccherà i 660.
Forse non è tutt’oro quello che luccica. Mentre le gru roteano il loro braccio, quasi senza pausa, dando l’impressione che la bolla sia sempre più grande ma ugualmente solida, cresce la preoccupazione. Anche perché i prezzi delle abitazioni appaiono irragionevolmente alti. Peraltro, proprio in coincidenza di un cambiamento epocale per la Cina. Il sopravanzare di quanti, abbandonate le campagne, hanno deciso di abitare nei centri urbani. Forse, guardando sempre più in alto, ci si è dimenticati di tutti quelli che erano in basso.


fonte: Linkiesta

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