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martedì 4 dicembre 2012

ADDIO PETRO-DOLLARI...ARRIVANO GLI AGRO-DOLLARI - seconda parte


Addio petro-dollari, arrivano gli agro-dollari?
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Quale nuovo regime commerciale potrebbe essere dominante nei prossimi decenni? Secondo qualcuno lo squilibrio più evidente che definirà il profilo del commercio globale nei prossimi anni, non sarà quello energetico ma quello alimentare, spinto dai prezzi del cibo in costante aumento a causa di una offerta frammentata che risponde solo con ritardo ai segnali di una domanda sempre crescente.
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di Tyler Durden
fonte: http://www.zerohedge.com


Una cura dimagrante

Può succedere anche nella catena alimentare una distruzione di domanda causata da prezzi troppo alti, come successe con l'energia? Ci sono notevoli differenze tra le due realtà che fanno sembrare la soluzione più complicata. Il consumo di cibo è molto frammentato ed è anche meno sostituibile.

Cambiare le abitudini alimentari è molto più difficile che cambiare una fonte energetica. E, in ultima analisi, la spesa per il cibo lascia meno spazio ad una scelta personale, vale a dire, il consumatore non può posticipare volontariamente il suo consumo, e non può nemmeno ridurlo cambiando in processo.

Ciò significa che l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, in particolare nelle economie dove il cibo costituisce la parte più rilevante della spesa delle famiglie, produrrà un minore consumo di altri beni e di servizi terziari oltre a ridurre la disponibilità ad ottenere prestiti (con conseguenti effetti negativi sui prezzi di prodotti di altre attività). Quando ci fu l'impennata dei prezzi del petrolio alla fine del 1970, i consumatori americani arrivarono a spendere il 9% del loro reddito in energia, rispetto ad una media del 7% del decennio precedente. Tuttavia, la percentuale di risparmio totale aumentò del 2%, come effetto dell’incertezza e di una eccessiva attenzione nell'acquisto di altri beni. Anche nel 2007-09 si è visto un fenomeno simile.

Ma basta uno sguardo superficiale alla storia del passato per capire che l'aumento del prezzo del cibo può diventare una polveriera (come anche una disoccupazione giovanile troppo alta), e forse si sottovaluta quello che potrà essere l'impatto economico dei prezzi alimentari su tutto l’Occidente: la spesa per comprare cibo può sembrare un fenomeno gestibile perché oggi non è altissima in proporzione al totale del reddito personale, ma solo fino a quando si disporrà di un paraurti (cioè, finché la gente disporrà di un minimo di risparmi personali) è dopo che arriveranno i problemi.

In percentuale la spesa alimentare incide sui consumi delle famiglie solo del 14% negli Stati Uniti, contro il 20% per la maggior parte delle grandi nazioni europee e del Giappone. Ma sale al 40% in Cina e al 45% in India. Naturalmente, con l'aumento dei salari, la percentuale della spesa per il cibo sul totale dei consumi diminuisce, ma questo avviene solo fino a quando il salario basta a coprire tutti i consumi.

Attualmente, in India e Cina si consumano circa 2.300 e 2.900 calorie pro capite al giorno, rispetto a una media di circa 3.400. Se nei due paesi si mangiasse come in Occidente, la produzione alimentare dovrebbe aumentare del 12%. E se tutto il resto del mondo raggiungesse questo livello allora si salirebbe al 50%.

La sfida per le uova d’oro dell’Africa

In termini di proprietà delle risorse, il cibo, come per l'energia, può essere suddiviso in chi ce l’ha e chi non ce l’ha.

Ci sono paesi che hanno avuto successo senza avere risorse ma è del tutto evidente che le cose sono più facili se si dispone di un terreno fertile, buon clima e acqua. Ma questo, naturalmente, è solo la metà dell’opera, perché serve anche organizzazione, capitale, educazione e collaborazione per avere successo.

Prendiamo l’Africa. Dispone del 60% delle terre incolte del mondo, una demografia invidiabile e molta acqua (anche se distribuita uniformemente). Portarvi infrastrutture di base, sistemare i terreni agricoli, usare un minimo di fertilizzanti e proteggere le colture potrebbe fare miracoli per la produzione agricola.

Ma è più facile a dirsi che a farsi. Diverse economie africane anche bisogno di un migliore accesso alle informazioni, all'istruzione, di revisione dei diritti di proprietà e di accesso a mercati e capitali. In altre parole, ci vogliono istituzioni più efficienti. Se l'Africa sarà pronta nei prossimi decenni, l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari cambierà l'economia e gli investimenti in questa regione.

La prossima sfida per l'Africa sarà sul cibo (oggi sarà ricercata per le più importanti materie alimentari, come lo fu per le colonie imperiali alla fine del 19° secolo). Il consumo di fertilizzanti ha un impatto incrementale basso sui rendimenti di raccolti ad alta produttività, ma in Africa (come in molte economie in via di sviluppo in altri paesi) i raccolti sono ancora poco produttivi. Attualmente, l'Africa rappresenta solo il 3% del commercio agricolo mondiale, con il Sud Africa e la Costa d'Avorio che insieme rappresentano un terzo delle esportazioni dell'intero continente. Ma se il mondo vuole nutrirsi avrà bisogno che l'Africa emerga come potenza agricola.

La Cina ha portato il suo livello produttivo ad un livello più alto dopo aver iniziato un processo di industrializzazione che tende alla autosufficienza. Il consumo energetico delle macchine agricole è quasi raddoppiato negli ultimi dieci anni, mentre il numero dei trattori per famiglia è triplicato, facendo aumentare la produzione per ettaro di oltre il 20%.
Malgrado tutto questo negli ultimi 10 anni la Cina è passata da un surplus a un deficit di carne, verdure e cereali. Questo rapido cambiamento non permette di soddisfare molti altri bisogni e poi esiste anche una carenza di fonti idriche che potrebbero rivelarsi un ulteriore ostacolo, soprattutto nelle aree più remote.

Il potere della pampa

Con significativi surplus di soia, mais, carne e semi oleosi, il Brasile e l’ Argentina guidano il continente latino-americano nel commercio alimentare. Le attuali eccedenze arrivano a livelli che superano da tre a sei volte quello che erano nel 2000, mentre nel decennio precedente l'avanzo produttivo era solo del 30%. Un grosso ostacolo all'aumento delle esportazioni sono le infrastrutture. I prodotti alimentari raggiungono i porti da luoghi molto lontani, e poi il viaggio per nave verso i mercati è sempre molto lungo. Quaranta giorni sono forse accettabili per minerali come il ferro per raggiungere la Cina su una nave in arrivo dal Brasile, ma per prodotti alimentari deperibili non ci sono le condizioni. E, di conseguenza, le infrastrutture da potenziare dovranno permettere ai fornitori di trovare le soluzioni per conservare i prodotti, confezionarli, refrigerarli e rispondere alla domanda per tempo.

Ma gran parte del successo agricolo delle economie LatAm non hanno beneficiato solo di buone condizioni, ma hanno anche adottato innovazioni agricole, infatti più di un terzo dei raccolti piantati nella regione sono prodotti da semi geneticamente modificati, rispetto al 45% negli Stati Uniti e circa il 12% in Asia. Qui le colture geneticamente modificate non sono nuove e forniscono soluzioni ad alcune delle limitazioni più frequenti sulle rese agricole (resistenza alle sfide ambientali, tra cui la siccità e un miglior assorbimento delle sostanze nutritive del suolo, fertilizzanti e acqua) o sono arricchite con un valore aggiunto, migliorando la composizione nutritiva o la durata della conservazione del raccolto. E mentre l'adozione di colture e dei semi geneticamente modificati è tutt'altro che benvoluta, soprattutto in Europa, è certamente una parte fondamentale della soluzione in termini economici per affrontare una carenza alimentare molto grave.

L’ultimo mango a Parigi?

La situazione del surplus/deficit europeo è abbastanza interessante. Diciassette dei ventisette  paesi dell'UE sono in deficit nella bilancia commerciale alimentare, e la UE nel complesso ha registrato solo un lieve surplus nel 2010, per la seconda volta negli ultimi 50 anni. Nel dettaglio, il Regno Unito è il più grande importatore, seguono Germania e Italia, mentre i Paesi Bassi e la Franciaguidano le esportazioni grazie alle loro enormi industrie di trasformazione. Se il futuro dell'Europa prevede un relativo declino economico, un ridotto potere d'acquisto, mentre le risorse alimentari stanno diventando più rare è una prospettiva poco attraente.

Pertanto, si avrà bisogno di molte soluzioni innovative o di cambiare la tipologia delle importazioni. È importante notare che un surplus o un deficit complessivo, non rendono chiaro che possono esistere dei reali e gravi squilibri in tante singole categorie: l'Europa è un importatore di carne, frutta, verdura e mais, ma le esportazioni si basano solo sull'alcol e particolarmente sul vino. Il Giappone è il paese che avrà maggiori problemi a causa di un deficit in ogni singolo alimento.

Concludiamo il nostro giro del mondo in Nord America.

Una produzione su larga scala, l'accesso ai mercati, una ricerca effettuata in casa e una regolamentazione favorevole permetteranno agli Stati Uniti (e al Canada) di continuare a dominare alcune delle maggiori risorse agricole come soia, mais, foraggi, grano e semi oleosi. Sommiamo a questa autosufficienza anche alla potenziale autosufficienza energetica prevista nel medio termine e alla relativamente buona demografia (meglio della Cina), e viene da pensare che il futuro,per gli Stati Uniti, potrà essere più roseo che nel resto del mondo occidentale o in Asia.

Gli Agro-dollari crescono

Prima di concludere, è necessario dedicare qualche riga alle conseguenze geo-politiche e macro economiche di un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. È probabile che tutti i paesi metteranno in atto delle strategie per garantirsi l'approvvigionamento di cibo, con misure protezionistiche (ad esempio, alte tasse sulle esportazioni) o stringendo accordi bilaterali per stabilizzare un approvvigionamento alimentare sicuro.

Questo potrebbe ovviamente andare contro il sistema di regole messo in piedi dal WTO e contemporaneamente potrebbe far nascere una nuova moneta di scambio: gli agro-dollari.

Come avvenne con i petrodollari che apparvero nel 1970. Anche se potrebbe sembrare esagerato (il valore delle esportazioni di energia del mondo è US $ 2,3 trilioni rispetto ai US $ 1,08 trilioni dell'agricoltura) è importante pensare alle conseguenze. I grandi esportatori, soprattutto quelli che vogliono aumentare la loro produzione, potrebbero creare un surplus sostenibile da reinvestire nelle loro economie (o farlo assorbire ad una piccola parte della società). Allo stesso modo, il fatto di essere un importatore al netto farà scattare una tassa sul consumo effettivo: se oggi il prezzo del petrolio fosse a 25 dollari al barile le entrate fiscali farebbero un salto notevole.

Come abbiamo detto, ci si aspetta che qualcuno farà grandi guadagni con un aumento significativo dei prezzi degli alimenti, in termini reali dovrebbero essere Brasile, Stati Uniti e Canada, mentre Giappone, Corea del Sud e Regno Unito si troverebbero davanti importanti sfide. Il surplus della Cina [ad esempio, si è] rapidamente trasformato in deficit.

Cosa succederà se la classe media cinese dovesse crescere molto, come ci si aspetta?

Questo è il punto debole, il valore che abbiamo dato al cibo fino ad oggi è destinato a cambiare. Il modo in cui il sistema alimentare si muove in tutto il mondo è destinato a cambiare, e anche il flusso monetario e la sua distribuzione probabilmente potrebbe esserne influenzato.

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