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A quanto pare di capire, la richiesta di questi aiuti non sarebbe facoltativa, come avviene per l’attuale fondo salva Stati (e infatti la Spagna sta cercando in ogni modo di evitare di ricorrervi, per non vedersi commissariata dalla Troika). D’ora in poi tutti gli Stati che violano gli standard economici arbitrariamente fissati dall’Unione Europea saranno costretti a chiedere gli aiuti, indipendentemente dal loro effettivo rischio di fallimento.
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di Valerio Valentini
Mercoledì la Commissione Europea ha pubblicato un lungo rapporto in cui ha dichiarato il totale fallimento delle politiche economiche comunitarie: l’Europa non è stata in grado di reagire con coerenza alla crisi, ha lasciato che banche e finanza facessero i loro comodi ed ha permesso che alcuni Paesi guadagnassero sulla pelle di altri Paesi.
Perché mai la Commissione Europea si è lanciata in quest’accorata ammissione di colpa? La motivazione appare subito chiara, sfogliando il rapporto: l’incapacità di reagire alla crisi viene imputata alla “mancanza di organismi direttivi al livello europeo” che possano agire indipendentemente dalle “decisioni prese a livello nazionale” e “sulla base di interessi esclusivamente nazionali”. Se siamo alla canna del gas, insomma, è perché l’Europa è ancora eccessivamente debole rispetto ai vari governi nazionali, che costituiscono un ostacolo all’attuazione delle politiche di Bruxelles. L’unica soluzione, dunque, è che a prendere le decisioni in tema di economia e bilanci non siano più i parlamenti, ma direttamente loro. Quelli che hanno appena ammesso di avere fallito.
Nel documento di 51 pagine, poi, si legge: “la mancanza di forti istituzioni a livello europeo ha innescato un contraccolpo sui processi di integrazione e ha causato danni per imprese e famiglie semplicemente sulla base della loro appartenenza ad una o all’altra area dell’eurozona”. E così, mercati nazionali “con condizioni quasi identiche” si sono ritrovati su due emisferi economici opposti: quelli che si trovavano “anche solo per pochi Km” dalla parte sbagliata del confine “non sono più stati in grado di finanziare investimenti” alle stesse condizioni di altri mercati nazionali che erano invece sulla sponda giusta dell’Europa. “Da una parte del confine gli investimenti non potevano che paralizzarsi e la disoccupazione cresceva […]; dall’altra parte, gli investimenti erano vantaggiosi a la disoccupazione poteva così scendere”. Dunque questa è l’ammissione definitiva: non c’è mai stata nessuna crisi. Non nei termini in cui siamo perlomeno abituati a pensarla. Avevamo economie “quasi identiche”, ma qualcuno ha deciso che dovevamo essere fottuti.
Sfogliando il resto del lungo rapporto, si scopre però che tutta questa lunga premessa è funzionale a ribadire la necessità di rafforzare il centralismo di Bruxelles. La Commissione Europea intende infatti creare una cassa comune, un unico “tesoro europeo”, costituendo un primo piccolo budget per tutta l’eurozona. E intende farlo entro i prossimi 18 mesi. Tuttavia, per accedere a quei fondi – come è prevedibile – gli Stati in difficoltà devono sottoscrivere un contratto con gli altri Stati membri che li obblighi a rispettare alcuni parametri.
Ma ora arriva la vera fregatura: a quanto pare di capire, la richiesta di questi aiuti non sarebbe facoltativa, come avviene per l’attuale fondo salva Stati (e infatti la Spagna sta cercando in ogni modo di evitare di ricorrervi, per non vedersi commissariata dalla Troika). D’ora in poi tutti gli Stati che violano gli standard economici arbitrariamente fissati dall’Unione Europea saranno costretti a chiedere gli aiuti, indipendentemente dal loro effettivo rischio di fallimento. Così Bruxelles potrebbe vedere istituzionalizzata una sua prerogativa che, di fatto, già esercita in maniera indiretta: intervenire nell’elaborazione delle manovre finanziarie dei singoli Stati, correggerle o addirittura bocciarle.
Ci hanno raccontato che il problema era il debito pubblico, ma eravamo solo dalla parte sbagliata del confine. E ora, nonostante l’abbiano riconosciuto, vogliono comprarci a prezzo di saldo. In svendita.
Ma la stagione dei saldi non è ancora iniziata...
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