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domenica 9 dicembre 2012

IL QUARTO POLO: TRA ESSERE E NON ESSERE

Il Quarto Polo tra essere e non essere



L'assemblea di sabato scorso degli arancioni è stata un successo. Applausi e ovazioni per Luigi De Magistris e Antonio Ingroia. Ma il processo unitario è solo all'inizio. E la strada per trovare la quadra è in salita.

di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena

Il Quarto Polo prende forma. Il Polo dei Partigiani. Il Movimento Arancione. "Cambiare si può". O chiamatelo come vi pare, che conta fino a un certo punto. Il soggetto è nato, seppur con mille difficoltà da superare ma con un’agenda politica abbastanza chiara: no all’ipotesi di un Monti-bis e sì ad un nuovo contenitore capace di attuare una nuova stagione di diritti civili e sociali. A sinistra del centrosinistra, l’alternativa ora mancante tra il Pd e il M5S di Grillo per un novello "New Deal" – come dice sempre uno dei promotori, il sociologo Luciano Gallino, una delle menti più lucide della sinistra italiana e non solo.

Sabato primo dicembre all’assemblea nazionale di Cambiare si può, al Teatro Vittoria di Roma, c'è stato l'esordio: quasi 500 persone arrivate sotto una pioggia battente, platea piena e in parecchi rimasti fuori. Una convention in cui si sono susseguiti gli interventi di esponenti della società civile, di sindacati, di movimenti ma anche di partiti. A sponsorizzare il progetto c'è il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che in un intervento applauditissimo ha sciolto i dubbi sulla collocazione politica: siamo fuori dal centrosinistra. Per il momento. Poi dopo il voto, un confronto programmatico con Bersani che «dovrà scegliere tra noi e Casini». Quasi sicuramente sceglierà il secondo. Comunque fino al voto massima autonomia: un Quarto Polo che potrebbe avere come candidato premier il pm Antonio Ingroia, anche lui presente ed acclamato al Teatro Vittoria. Sempre De Magistris, intanto, il 12 dicembre presenterà la sua lista arancione, interconnessa ovviamente a "Cambiare si può".

Tutto bene, tutto perfetto? Non proprio. Perché se tutti sono d’accordo nel reclamare un rilancio del welfare contro le politiche di austerity, nell’invocare più giustizia e meno disuguaglianza, nell’affermare più diritti civili nel Paese, nel ruolo fondamentale della Fiom e più in generale nel programma politico da attuare, allo stesso tempo appare molto più difficile costruire in pratica questo soggetto. Da una parte l’impostazione antipartitica – quindi a volte velata e a volte meno ostilità nei confronti di Rifondazione Comunista e di pezzi di Italia dei Valori – dall’altra i partiti stessi che prima di far sparire il proprio simbolo alle elezioni chiedono garanzie.

In mezzo c'è la missione principale: riuscire a far sentire anche in Parlamento una voce antiliberista, un'opposizione coerente e di sinistra, allergica al populismo ma capace di spiegare le origini della crisi e una via d'uscita credibile. «Contro il pensiero unico dominante, in direzione ostinata e contraria», diceva sempre il sindaco di Napoli. In mezzo, ancora, ci sono le diverse provenienze politico-culturali: gli intellettuali di Alba, i movimenti No Tav e No dal Molin, i comunisti, gli scontenti di Sinistra e Libertà, per ultima l'adesione di Antonio Di Pietro. Come fare? Sempre Alba, ad esempio, chiede «ai partiti e alle associazioni di credere e stare attivamente in questo progetto ma facendo due passi indietro: il primo passo richiede che non si pongano come protagonisti della lista, ma che con le proprie identità dichiarino l’appoggio al progetto (come abbiamo deciso anche noi), formando un comitato di sostegno sul modello dei referendum del 2011. Il secondo passo indietro comporta che le persone da candidare non abbiano avuto ruoli di direzione politica né di rappresentanza istituzionale nell’ultimo decennio a livello di partiti nazionali, parlamento italiano ed europeo, regioni. Proponiamo che tutte e tutti si facciano coerenti rappresentanti di quel messaggio di coalizione democratica antiliberista e di cittadinanza nuova che solo può offrirsi come alternativa credibile al non voto».

L’intento insomma non è costruire una riedizione della Sinistra Arcobaleno né un polo dei “non-allineati”, ma qualcosa di veramente nuovo sorretto dalla società civile e solo sostenuto dalle forze partitiche. Nel merito tutti più o meno convengono, sul metodo ci si divide. Il difficile è trovare una sintesi, capire chi deve “pilotare” il progetto ancora in fase embrionale. Il simbolo sarà uno solo, nessuna “bicicletta” o “triciclo”. Arancione il colore. Il nome da definire. Sul come comporre le liste, la frantumazione generale rischia di far naufragare tutto. Un vero peccato. E allora meglio concentrarsi, in primis, nella costruzione di uno spazio pubblico – di confronto e incontro – della sinistra alternativa: in ballo ad esempio la raccolta firme per i referendum su artt 8 e 18. Con i referenti locali che si potranno scegliere col metodo delle primarie. Una forma democratica “neutra” capace di sovrastare lo scontro partiti-società civile. Così anche a Roma per scegliere il candidato sindaco. Nessuna somma algebrica o fattore politicista, un Quarto Polo come occasione di vera alternativa nel Paese.

Dicembre sarà il mese della “svolta”. La tradizione della sinistra – quella gruppettara, scissionista e purista – rema contro la riuscita di questo progetto. Sta ai promotori smentire la storia e fare uno sforzo comune: riuscire a trovare una sintesi. Necessaria ad un Paese, poco interessato alla difesa dei piccoli orticelli.

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