A leggere tutto quello che si è detto prima, durante e dopo lo tsunami grillico sulla questione del “reddito di cittadinanza”, si è colti da un misto di sconforto, rabbia e depressione. E’ sul serio incredibile il modo quasi sempre becero ed ignorantissimo, praticamente superstizioso con il quale sia politici che giornali si sono occupati della delicata questione. Chiariamo dunque una cosa fin da subito, in linea con quel mantrico “ce lo chiede l’Europa” che nel nostro paese si intona solo quando si devono togliere diritti e sovranità (e poi ti credo che sempre meno persone vogliono restarci). Fin dal 1992, proprio la cattivissima Unione Europa, ci chiede di introdurlo questo benedetto reddito di cittadinanza. Eppure questa cosa nel bel paese non viene proprio recepita. Nada, niente; nisba. Ma come mai? Presto ve lo dirò ma non credo che la cosa vi lascerà parecchio entusiasti.
Andiamo con ordine, però, e rispondiamo a sfatiamo qualche mito
- “Il reddito di cittadinanza significherebbe creare sacche parassitarie e paradossalmente aumenterebbe la disoccupazione”.
Naturalmente i 1000 euro proposti da Grillo (ma era campagna elettorale, suvvia!) forse sono troppi. Ma in tutti gli stati europei avanzati e senza alcuna eccezione, il reddito di cittadinanza esiste e non viene semplicemente erogato a mo di sussidio perenne. Ci sono infatti continui programmi di rioccupazione che vengono proposti a chi riceve l’aiuto statale. Non esiste alcun Eden all’estero, anche in Francia, Germania ecc c’è disoccupazione e ci sono lavoretti part time e a tempo determinato. Però in quei paesi è previsto un reddito integrativo per chi guadagna troppo poco e cambia spesso lavoro. erto, come ogni sistema d’organizzazione pensato da mente umana, il metodo non è infallibile né perfetto. In Inghilterra, ad esempio, in molti hanno in effetti “scroccato” per anni senza mai sforzarsi di cercare un impiego. Pensare però che questo atteggiamento riguarderebbe la maggioranza o anche solo frange significative della popolazione, significa non conoscere la realtà esistente in paesi europei a noi molto vicini (Francia e Germania in primis) e condannare l’Italia ad altre forma di ammortizzatore sociale come il clientelismo ed il lavoro nero. Forme ovviamente rovinose per la ripresa economica e la qualità dei rappresentanti politici, oltre che illecite ed immorali. E se non possiamo generalizzare e dire che tutti i dipendenti pubblici sono fannulloni, incapaci, improduttivi e parassiti, la stessa regola deve valere per i destinatari del reddito di cittadinanza (che applicato nel concreto sarebbe poi identico a quello minimo garantito). - “Negli altri paesi europei comunque parliamo di un contributo momentaneo ed erogato solo per chi viene licenziato”.
Altra leggenda metropolitana molto distante dalla realtà. Come detto, in Germania (ma non solo), una parte del contributo è garantita a vita, a tutti i maggiorenni che ne posseggono i requisiti. In terra tedesca, ad esempio, si ha diritto ad un rimborso per l’alloggio praticamente fino alla pensione ed anche se non hai mai lavorato e versato contributi. E’ una sorta di “diritto alla casa” garantito come forma base di stato sociale e non crea sacche di nullafacenti ma riesce a rendere sopportabile la flessibilità occupazionale che fa inesorabilmente parte della società contemporanea. Parliamo di cifre inferiori ai 1000 euro ma che garantiscono comunque un minimo di dignità esistenziale ai disoccupati ed ai precari e non rendono il concetto di “flessibilità” così simile a quello di povertà e schiavitù - “Non ci sono abbastanza soldi per garantire il reddito di cittadinanza a tutti gli aventi diritto”.
A questo punto si potrebbe osservare che il denaro non dovrebbe esserci neppure per pagare i mega-stipendi dei super-manager/banchieri che hanno fatto esplodere la bolla speculativa globale, quelli dei politici, dei dirigenti pubblici e via discorrendo. Ma, al di la di rivendicazioni facilmente tacciabili di populismo, c’è un dettaglio molto più pragmatico e meno “umano” da tenere in considerazione: il reddito di cittadinanza non serve infatti per fare la carità ma per evitare il diffondersi della povertà, l’immigrazione forzata, il calo del Pil e la relativa recessione di uno stato. Non a caso, i paesi che hanno retto meglio la crisi, sono proprio quelli che avevano un sistema di welfare più solido. Grecia, Spagna, Italia, Ungheria e via dicendo, sempre non per pura casualità, hanno avuto la peggio proprio perché non hanno operato le tanto richieste riforme, iniziando a smantellare il proprio stato sociale e la relativa, fondamentale classe media (e in parte il processo sta avvenendo anche in Inghilterra). - “Il reddito di cittadinanza comunque ci costerebbe troppo”.
Ecco, su questo punto si è detto di tutto senza però spiegare nulla. C’è chi parla di 30 miliardi da sborsare subito e chi addirittura arriva a 100. Tutti, però, commettono un clamoroso errore (in buona o cattiva fede) e non considerano un dettaglio fondamentale, fermandosi appunto solo al costo: garantire anche solo 18 mesi di sussidio ad un giovane che ha perso il lavoro o che magari vuole lasciarlo per fondare una start up (è il caso di chi vi scrive), significa di fatto dare una chance al rilancio economico ad un paese moribondo e rendere molto più tollerabile la tanto necessaria “flessibilità”. Stesso dicasi per il sostegno garantito anche a chi, meno giovane e meno pieno di energie creative, potrebbe comunque assicurare alla sua famiglia un’esistenza dignitosa e “consumare”, rimettendo in circolo un po’ di denaro che altrimenti non ci sarebbe. Valutare quindi solo la spesa pubblica necessaria e non considerare anche l’effetto positivo in termini di Pil e di maggiore serenità sociale, significa come dicevamo essere ignoranti in materia o in cattiva fede.
IL REDDITO DI CITTADINANZA? "CE LO CHIEDE L'EUROPA...DAL 1992"
Che poi, sempre a proposito del “ce lo chiede L’Europa”, nel testo della raccomandazione 92/441 CEE pubblicato anche sulla Gazzetta ufficiale si legge chiaramente che
“il Parlamento europeo, nella sua risoluzione concernente la lotta contro la povertà nella Comunità europea (5), ha auspicato l'introduzione in tutti gli Stati membri di un reddito minimo garantito, inteso quale fattore d'inserimento nella società dei cittadini più poveri”. A tal proposito, il reddito minimo deve essere “senza limiti di durata, purché il titolare resti in possesso dei requisiti prescritti e nell'intesa che, in concreto, il diritto può essere previsto per periodi limitati, ma rinnovabili”. Sono principi importanti questi, non bazzecole. E come è evidente l’Ue non è solo quella matrigna senza volto che chiede lacrime e sangue in contiuazionae. Sicuramente, se le riforme in Italia non sono state applicate per 30 anni, la colpa è anche un pelino di chi il paese l’ha governato e di chi ha continuato a votare per decenni in cambio di un posto pubblico e del classico scambio clientelare. Dimenticarsi di tutto questo andazzo e sbraitare contro tutti e tutto significa, ancora una volta, vedere solo una piccola e fuorviante parte della realtà e non avere metri di paragone efficaci con i nostri “fratelli europei”. Significa, soprattutto, essere ipocriti, irresponsabili e cialtroni come i politici e i giornalisti che tanto critichiamo.
NESSUN GRANDE PARTITO NE HA PARLATO PER ANNI
Perché, a parte il Movimento Cinque Stelle, solo piccoli partitini e movimentini civici hanno parlato di questo fondamentale provvedimento per attutire gli effetti di austerity e crisi globale? La spiegazione, quasi banale, è che all’attuale classe dirigente spaventa a morte l’introduzione di un così poderoso sistema di welfare e non certo per una questione di fondi pubblici carenti ma proprio di potere clientelare che andrebbe inesorabilmente perso. Da sempre, come noto, prima, durante e dopo il giustamente criticato porcellum, nel nostro paese i politici più votati (e quindi potenti) erano quelli in grado di distribuire posti di lavoro. Ultimamente, data la situazione sempre più drammatica, anche solo promesse di posti di lavoro. Tu mi voti ed io sistemo te, tuo figlio, tuo nipote o chi mi indichi. Tu fai parte di una consorteria, una lobby o un partito ed io mi prendo cura di te. In caso contrario, se non fai parte di un club particolare e sei figlio di nessuno, resti quasi fuori. Garantire un reddito di cittadinanza a tutti gli aventi diritto, significherebbe quindi non poter più gestire la macchina dell’impiego dietro voto/favore ricevuto e l’intera cultura italiana dovrebbe cambiare, evolvendosi verso modelli meno iniqui, provinciali e cialtroni di quelli tristemente noti.
UN PATTO SCELLERATO DIFFICILE (MA NECESSARIO) DA ROMPERE
Questo patto tra elettori ed eletti fa parte del nostro devastato tessuto “democratico” dal dopoguerra ed è quindi difficile da infrangere. Garantire un reddito minimo a tutti i disoccupati, soprattutto nel mezzogiorno, significherebbe infatti dover presentare candidati che qualitativamente siano più vicini ai “cugini” francesi, tedeschi, inglesi, norvegesi ecc e, cosa ancora più importante e difficile, cambiare l’approccio culturale anche dalla popolazione. Tuttavia, se si trovasse uno statista tanto coraggioso, lungimirante ed onesto da voler applicare (anche gradualmente) questa forma di welfare avanzato, combattendo in maniera finalmente efficace evasione e lavoro nero e detassando le imprese virtuose invece di massacrarle, gli effetti positivi sull’intero tessuto socio-economico sarebbero evidenti e anche abbastanza rapidi.
Ma, non a caso, nemmeno Michele Santoro ha saputo (voluto?) informare sul serio gli italiani sugli esempi europei e, nell'ultima puntata dedicata all'emergenza sociale italiana, ha preferito impantanarsi nel consueto miscuglio scandalistico-catastrofista che fa tanto share. Ancora una volta, quindi, i sedicenti amici del popolo si dimostrano piuttosto inutili quando si tratta di informarlo e non semplicemente di fomentarne lo scandalo. Eppure farebbe tanto share anche una trasmissione decisa ad approfondire con competenza un tema tanto delicato quanto oggettivamente interessante (vedi Report). Noi, nel nostro piccolo, ci sforzeremo di approfondire ulteriormente il discorso.
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