La stazione di Savona, alle otto di sera, è l’emblema dell’Italia. Poca gente che transita, frettolosa, qualcuno che deve arrivare: oddio, ne ha da aspettare perché sul tabellone la colonna dei ritardi è tutta occupata. Addirittura, 45 minuti da Genova che dista soltanto 40 Km. Già: Moretti corre dietro alla Frecce e la ferrovia va in malora. Ma è il deserto delle cosiddette “attività commerciali” a dare una pennellata di noir a tutta la struttura in vetro e cemento progettata da Nervi: a parte un paio di caffè vuoti con velleità di ristorante – e l’immancabile sala giochi già chiusa – il resto è tutto un “affittasi” oppure è un locale abbandonato da improbabili agenzie d'affari "sul territorio" oppure "consulenze" in materia di lavoro. Scappato il lavoro, sono fuggiti anche i consulenti.
Hanno lasciato negli uffici scrivanie e mobili di poco costo, abbandonati perché non valevano niente e, sul pavimento, s’allunga la fila degli avvisi di raccomandata che il postino infila sotto la porta.
Il tutto dà quasi la sensazione di una fuga improvvisa – depliant lasciati aperti sulla scrivania, come se il cliente si fosse alzato dalla sedia un minuto prima – ad allontanare nel tempo quegli eventi ci pensa la polvere leggera degli ambienti chiusi, che ha già pennellato tutto. Sembra quasi che i proprietari – come avveniva un tempo quando scoppiava una guerra – siano saltati sul primo treno per non imbattersi nelle avanguardie degli invasori.
Chissà dove sono volati via i proprietari, chissà dove atterrano i faccendieri, i politici indagati, i corruttori di professione, gli avvocati dalla clientela a dir poco “dubbia”... ci sarà un limbo, da qualche parte, dove svernano nell’attesa di nuove possibilità, d’altre occasioni per arricchirsi.
Eppure, proprio in questi giorni, assistiamo ad un dramma pirandelliano, ad una scostumatezza senza limiti: la Casta ha cambiato nome ed abitudini. S’è trasformata in una Corte.
Come in tutte le corti che si rispettano, il sovrano veglia e lancia – ora qui, ora là – i necessari input affinché i suoi accoliti possano agire: l’uscita di Napolitano sull’indulto (o amnistia) è stato grave poiché, dopo tanto dire, argomentare e votare libererebbe Berlusconi come un uccel di bosco. Se si desidera liberare le carceri, s’agisca sui codici depenalizzando alcuni reati minori: modesto possesso di droga, reato di “clandestinità”, ecc.
Del futuro dell’uomo di Arcore molto è stato scritto: è del tutto evidente che la sua parabola è terminata, ma la sua lenta fine serve a riempire le pagine dei giornali d’aria fritta. Sono mesi che vanno avanti: sperano d’arrivare indenni alla Legge di Stabilità, la vecchia Finanziaria, dove potranno infilare qualsiasi cosa e chiudere in bellezza – magari la notte di San Silvestro – con un bel voto di fiducia. Hanno nascosto un emendamento pro-TAV nella legge contro il femminicidio! Come si può definirli?
E’ sbagliato continuare a pensarli in termini di casta, poiché una casta è un informe agglomerato d’individui accomunati soltanto da una nascita fortunata, in posti dove ciò vale e non è un’abitudine europea. La corte, invece, ben la conosciamo.
Inoltre, una casta non è detto che abbia, al suo interno, rapporti interpersonali che nascondono reciproci vantaggi, spesso improntati alla corruzione.
Una corte, invece, è una struttura gerarchica atta al governo di una nazione: necessita di un sovrano, di secondi, terzi livelli e così via... ciascuno al suo posto, in modo organico... protetti da un’immunità senza limiti e ben coscienti del ruolo che devono ricoprire, ossia prelevare a più non posso dalla popolazione per mantenere i propri privilegi.
Le similitudini con una corte del ‘700-800 non finiscono qui: si muovono sempre protetti da drappelli armati; il Re manda messaggi al Parlamento il quale – con l’attuale legge elettorale – elegge soltanto “senatori del Re”, appunto, pronti a ricevere il diktat dalla reggia e ad attuarlo. Pranzano e cenano in speciali ritrovi o stazioni di posta iper-protette – tanto i costi non sono a loro carico – poiché temono la popolazione.
S’incontrano sempre in occasioni mondane create apposta per loro – si pensi a S. Ambrogio, la “prima” della Scala, oppure il “summit” di Cernobbio, ecc – dove la popolazione, anche disponendo di mezzi economici, non può intervenire.
Se le truppe sono impegnate in missioni coloniali, non disdegnano di mantenere presso la reggia importanti contingenti militari: come esempio, riflettiamo sulla Brigata Meccanizzata “Granatieri di Sardegna”, che è acquartierata in varie sedi del centro Italia ma che mantiene il 1° Reggimento – motto: “A me le Guardie!” (sic!) – e l’8° “Lancieri di Montebello” proprio a Roma, entrambi con una forza militare notevole.
Hanno una paura boia di far la fine di Umberto I e sono molto diversi dalle “democrazie” (in realtà veri regni) del Nord Europa, dove i sovrani vanno in ufficio in tram non disdegnando di chiacchierare con i sudditi: eh... che ci volete fare... quelle sono retrograde, vere “monarchie”... noi no, siamo democratici...
Per ogni problema finanziario la soluzione c’è sempre: quando non si toccano le pensioni si tocca la sanità, oppure il lavoro... o, ancora, si vende un po’ d’argenteria... ma si, tanto se la venderà qualcun altro... insomma, paghiamo sempre noi. E ancora ci dicono che consumiamo troppo, che abbiamo vissuto da cicale, che non siamo “produttivi”... loro? Non possono mica campare con meno di 20.000 euro... eh no... come diceva Razzi, non si paga nemmeno una camera in un alberghetto...
Hanno posticipato, per l’ennesima volta, l’abolizione delle Province: confesso che sono un fan delle Province e non desidero la loro abrogazione. Le Province (magari ridefinite nei confini, ed abolite le ultime entrate negli ultimi vent’anni) sono unità corrispondenti a realtà economiche e sociali sul territorio, hanno un significato e non costano molto.
Le vere idrovore di denaro pubblico sono le Regioni: quando ci fu una grave frana nei pressi della mia abitazione, vidi personalmente l’assessore ai lavori pubblici della Provincia giungere per rendersi conto della situazione. Siccome s’era sul confine con un’altra regione, venne anche l’assessore provinciale piemontese: si misero d’accordo ed in un paio di mesi (era una faccenda seria) tutto fu risolto. Chi mai ha visto un assessore regionale?
L’abolizione delle Province è un obiettivo della Corte per proteggere i cortigiani delle aree lontane, ossia le corti regionali le quali, essendo solo venti, sono strettamente collegate alla Corte del Sovrano. E sanno far pesare i loro pacchetti di voti, mentre Province e Comuni sono troppi e troppo distanti.
In cambio, hanno ricevuto la gestione della Sanità che sciacallano da un trentennio abbondante, giungendo quasi ad estinguerla. La spesa sanitaria regionale è solo quel che resta del banchetto delle tangenti: per questo le prestazioni sono oramai da terzo mondo.
Inoltre – a differenza delle Province – i consigli regionali sono distantissimi dalla popolazione: spesso, centinaia di chilometri. Questo facilita la nascita di corti regionali d'alto livello, ossia che non abbiano contatti diretti con la popolazione e li abbiano, per opposte ragioni, con i gotha finanziari locali: la vicenda della Regione Lombardia e di Formigoni è emblematica per capire come funziona ed a cosa serve una Regione. Compiuto il suo dovere, il funzionario sale di grado e raggiunge la corte del Sovrano.
Oggi, con la richiesta di cambiare la Costituzione – modificando l'art. 138, soprattutto il necessario referendum confermativo – la corte rasenta l'eversione costituzionale: lo sanno bene e stanno studiando il modo più soft e giuridicamente inattaccabile per compiere il golpe. Hanno già trasformato il sistema legislativo da parlamentare in governativo (tramite l'uso smodato del decreto legge): ora è il governo a fare le leggi, non il parlamento.
Più difficile abolire il referendum confermativo per gli interventi sulla Costituzione: la "sberla" del 2006 non l'hanno scordata, così come ricordano che – ogni volta che c'è una scelta per loro esiziale (nucleare, acqua, ecc) – vengono sbugiardati dalla popolazione. In questo non ammettono sgarri: Di Pietro, per esempio, ha pagato caro il suo appoggio ed il gran daffare per i referendum. La Gabanelli – paladina del M5S – ha pensato a metterlo al tappeto.
Il volere della popolazione è sempre l'opposto del potere: questo dovrebbe farli riflettere, invece tirano dritti e a guidare la locomotiva, in realtà, non c'è nessuno. Con questo non intendo affermare l'inesistenza di una classe politica, bensì l'insipienza totale del loro agire. Bisognerebbe cambiare, e in fretta: non è più il caso di frapporre tediose disquisizioni di parte o stucchevoli distinguo. Domani la situazione potrebbe diventare insostenibile e la m... arrivare agli occhi: alla bocca è già arrivata.
Ci sono due aspetti da analizzare: le rivoluzioni violente sono così terribili? L’Italia ha vissuto movimenti rivoluzionari?
Sfatiamo un mito: la rivoluzione russa non fu quel moto di popolo che si crede, fu quasi una congiura di palazzo e pochissimi rivoluzionari vi parteciparono. Lenin fu fatto passare dai tedeschi in Russia nella speranza di “alleggerire” il fronte orientale, speranza confermata nei fatti. Lo zar Nicola II correva su una lama: doveva stare al fronte per prevenire una rivolta degli ufficiali (sul ricordo di quella dei Decabristi) ed a Mosca per fronteggiare le congiure di palazzo. Non mi sembra un buon esempio da adottare per l’analisi, anche se alcuni spunti (come la temporanea alleanza con i menscevichi) sono veri colpi da maestro, che valgono sotto tutti i cieli e non hanno scadenza.
Più interessante quella francese: un Re imbelle, una crisi economica scatenata dalle cartolarizzazioni (Tremonti, qualcuno ricorda?) delle terre comuni per pagare sempre nuove patenti di nobiltà, un movimento filosofico (l’Illuminismo) assertore d’idee nuove... ce n’è abbastanza, fermiamoci qui.
Non c’era guerra in Francia, Luigi XVI aveva addirittura riformato (in senso positivo) l’istruzione, ma la distanza fra Versailles e la popolazione era abissale. E percepita, proprio perché le avanguardie dell'Illuminismo erano ascoltate dalla borghesia e da una fetta della nobiltà, fino a giungere alle classi più povere.
Quante similitudini con l’Italia del 2013! Ovviamente, considerando la differenza fra il secolo dei Lumi e le tenebre odierne. Poi venne il sangue.
Il sangue risparmiato da Luigi XVI – il Reggimento delle Fiandre rimase acquartierato e non scese mai a Parigi (Luigi poteva soffocare nel sangue qualsiasi rivolta, ma non siamo qui per raccontare la storia di quegli anni) – fu versato dai rivoluzionari: a secchi, a botti, a fiumi. Le strade di Parigi – si narra – erano rivoli di sangue quando c’era madame la Guillotine in funzione.
Eppure oggi, a fronte di un eccidio senz’altro crudelissimo, non si serba memoria di quegli eventi: ciò che rimane – nella coscienza francese – è la percezione che ad ogni ingiustizia ci si può opporre, che i diritti della popolazione non sono aria fritta come in Italia. Quei morti, sono quasi dei martiri e nemmeno Napoleone ed i timidi re che seguirono riuscirono a cancellare la memoria di quegli eventi. Difatti, nel 1870 avvenne un episodio più unico che raro: la Comune.
Per queste antiche ragioni Depardieu è diventato cittadino russo, dopo che le tasse – per i redditi superiori a 300.000 euro – hanno raggiunto livelli impensabili: lavoro e pensioni, però, sono rimaste quelli di prima o pressappoco. La Francia è la nazione più difficile da gestire per le burocrazie europee ed i poteri mondiali.
E in Italia?
Sorvoliamo sul Risorgimento e sul Fascismo, entrambe “rivoluzioni” approvate dalla Casa Reale: una rivoluzione va contro il potere, non lo accetta come compagno di strada, altrimenti si finisce come il PCI divenuto – dopo quasi novant’anni – un partito liberista dichiarato.
Gli italiani, per reazione, sono diventati "mipiacciari": che possono fare? Arrabbiatissimi, cliccano sui vari "mi piace" di Facebook: mi piace l'onestà, mi piace la sanità pubblica, la scuola pubblica e via discorrendo. Oppure votano nei sondaggi d'opinione, del tipo "Non vogliamo che la P2 riformi la Costituzione", ecc.
Ci vorrebbe proprio un bel cambiamento: una rivoluzione, già...
Non siate così ignavi da credermi un fesso: una battuta, che circolava molti anni fa, recitava “Mi raccomando: puntuale eh? Alle 8.30 in piazza, c’è la rivoluzione...”
So benissimo quanto sia distante l’idea dagli italiani: ma i fatti nascono dal mondo delle idee, non scordiamolo, per questa ragione è necessario iniziare a parlarne. Ancorché violenta, perché la violenza contro di noi è giunta a punti impensabili solo pochi anni fa, generando suicidi in massa.
Suicidi ed eroi: cosa distingue un eroe da un rinunciatario?
Il termine "eroismo" – in questi tempi dannati – è desueto: lo fu anche nella lunga decadenza dell'Impero Romano. Nessuno, nei bassi imperi, compie più atti a favore del prossimo che possano mettere in discussione la propria esistenza.
Eppure, la cosiddetta "crisi" – ossia il rastrellamento d'enormi ricchezze finite nei caveau delle banche o nei paradisi fiscali (vedi la famosa multa di 90 miliardi per i videopoker, "derubricata" dal governo Letta a 611 milioni) – ha chiesto sangue, molto sangue.
Sangue povero, sangue disperato, sangue marcio dopo le innumerevoli sentenze non scritte che la corte ha dispensato a destra ed a manca: migliaia di persone si sono tolte la vita, di tutte le classi sociali, in mille modi diversi.
E' il vecchio suicidio per il timore d'essere disonorati?
No, non è quasi mai stato il classico colpo di pistola di fronte alla scrivania: soprattutto impiccati – la morte del povero, del disperato – e poi avvelenamenti, dirupi, ponti, fucili da caccia...
L'italiano che si è tolto la vita non lo ha fatto per salvare un onore che più non esiste, ma per pura disperazione e solo dopo aver tentato di tutto, aver bussato a mille porte, aver accettato lavori improponibili anche per un immigrato clandestino. E magari non essere stato pagato. Chi ha sulla coscienza un numero di morti paragonabile ad una guerra o ad un bombardamento?
La corte non si occupa di tali quisquilie: Monti, addirittura, li irrise, affermando che non eravamo ancora giunti ai numeri della Grecia. Un atteggiamento da nazista.
Ci sono ancora remore nei confronti di gente simile?
Vediamo come sono strutturati al loro interno.
Le ultime elezioni hanno placato molti dissidi interni alla corte: oggi, il blocco conservatore è ben saldato e controllato nel sistema "PD - SC (Casini) - PdL", che mai come oggi ha i numeri per governare. Mai, però, è stato più debole e sfaldato all'esterno, quasi "irricevibile" dalla popolazione la quale, oramai in maggioranza, lo aborrisce. La scelta è stata obbligata: il pregio/difetto dell'ingresso del M5S in parlamento è stato proprio la ferrea saldatura fra i due schieramenti. Pregio perché ha mostrato agli italiani quanto il re è nudo sul fronte della progettualità politica e delle idee in genere, difetto perché – lentamente, ma le manovre di Palazzo conseguenti alla vicenda di Berlusconi lasciano intravedere i nuovi scenari – stanno creando una nuova DC (o qualcosa di simile) che è in grado di durare a lungo, che vinca uno oppure l'altro.
Il M5S, secondo i sondaggi, gode di uno share che rasenta un terzo della popolazione: sì, ma solo fra i giovani sotto i 30 anni. Quanto tempo ci vorrà per saldare il conto con i marpioni al potere? Siamo certi che le nuove generazioni seguano questo trend, oppure non si lascino influenzare dai vari partiti della birra o della foca?
Qui bisogna capire quanto le continue "incomprensioni" – chiamiamole così – fra gli eletti, i militanti e Grillo e Casaleggio come mediatori – poiché unici gestori della comunicazione – non incrineranno la fiducia, impedendole di crescere.
Può esistere una "democrazia del Web"? Sì, se non si pretende di superarne i limiti: la vicenda del voto contro il reato di clandestinità, e la conseguente reazione di Grillo, ha mostrato proprio questo limite.
Non si può scherzare quando un movimento raggiunge certi numeri: i parlamentari (che, pur inesperti, stanno facendo un ottimo lavoro) non possono scegliere, uniti, di votare in un certo modo se prima non c'è stato – almeno – un dibattito serrato sui principali argomenti.
In altre parole, il "non programma" oppure i "dieci punti" od altro ancora non esauriscono la necessità di un dibattito interno che conduca verso una cultura politica, perché gli eletti – senza una cultura politica di riferimento (che nasce, appunto, dal dibattito interno) – sono in grande difficoltà. Io, cittadino parlamentare, cosa voto su un argomento del quale non trovo traccia nel programma? Se si vuole fare un dibattito politico sul Web è possibile farlo.
Ma Grillo teme il dibattito poiché evidenzierebbe le mille anime del suo movimento – che non riesce a comprendere l'arte del compromesso, la vittoria parziale, le strategie di logoramento dell'avversario (che sono altra cosa dagli inciuci e dal trasformismo) – e cerca di mantenere unito un insieme molto variegato nel nome di una generica ed utopica vittoria a venire: è chiaro che ciò produce contraddizioni laceranti, che gli avversari (padroni dei media) sfruttano a dovere.
Ovvio che i vecchi marpioni su queste difficoltà ci sguazzano, accelerando i tempi di discussione e di voto per mostrare l'inaffidabilità del M5S. Grillo queste cose dovrebbe capirle, prima di battere sulla tastiera e di mettere sulla graticola i (suoi?) parlamentari.
La "Cavalcata delle Valchirie" del M5S rischia di trasformarsi prima in un andante con ritmo, poi in un adagio malinconico. Il Trentino ha già dato un segnale: Capitan Fracassa/Grillo, con le sue castronerie velleitarie contro il Re, farà il resto.
In ogni modo, non sottovalutiamo l'unione – di fatto – dei vecchi partiti: tolti di mezzo un po' di pasdaran e di pasionarie da una parte e dall'altra, potremmo trovarci con una forza politica che rasenta il 40% dell'elettorato.
Oppure, invece di progettare un'unione, potrebbero mantenere la propria identità (con una diversa legge elettorale: allora sì che la farebbero!) e, dunque, dare un'impressione di "genuinità" al proprio elettorato il quale, non dimentichiamo, è fortemente abbarbicato nelle istituzioni e nelle strutture pubbliche centrali e periferiche: sono il milione d’imbonitori della politica, quelli che regnano su cooperative, associazioni, fondazioni, ecc.
Alla fine, tornerebbero all'inciucio, spacciandolo per una "grosse koalition": il tutto resterebbe a galla con i voti comprati dalle mafie, dalle cooperative, dall'associazionismo cattolico, ecc. Spendono miliardi per associazioni senza senso (sono presenti sul Web degli elenchi che suscitano l'ilarità: censimenti di daini, ecc): sono voti comprati a danno dello stato sociale!
All'Europa tutto questo sta bene: basta che l'Italia non trascini a fondo l'UE, troppi soldi in gioco. Al FMI anche: la Finanziaria di quest'anno è troppo morbida – dicono – meglio quella di Monti. A Morgan & Stanley non piace la nostra Costituzione: troppo socialista.
Questo è il quadro dei nostri rapporti con le cosiddette "istituzioni" internazionali: la politica estera?
La ex-Libia è stata trasformata in un quadrilatero petrolifero: zona d'estrazione e basta, il resto non conta. Chi comanda? Le ex diplomazie coloniali, eccettuata la nostra.
Quando arriva una salma dall'Afghanistan non se ne deve parlare per rispetto verso la famiglia: se, invece, se ne parla in tempi "normali" l'argomento non è all'ordine del giorno. Quando – di grazia – la popolazione potrà dire la sua su delle guerre ordinate in spregio alla Costituzione?
L'Italia, in Europa, non ha certo i numeri economici della Grecia: il timore delle burocrazie europee è che si saldi – ma solo l'Italia ha i numeri per farlo – una sorta di "asse del sud Europa", che magari dialoghi con i BRICS. Questa possibilità è vista come la peste: per questa ragione alla regia corte italiana sono perdonati peccatucci, peccatini e peccati mortali. A ben pensarci, un gruppo di Paesi ha ben diversa forza contrattuale rispetto ad un singolo Paese: è proprio questo che temono.
Come si può notare, le vie d'uscita da questa schiavitù europea/italiana ci sono, anche senza lo "strappo": dipende tutto dalla forza contrattuale che si riesce a mettere in campo. Quello che veramente serve è una forza rivoluzionaria.
Sugli attributi di questa forza non si deve andare troppo per il sottile: se si comincia con i distinguo, tutto finisce subito.
Pochi punti e chiari, che mai potranno concedere:
1) Abolizione dei contributi elettorali;
2) Ritiro completo dall'Afghanistan;
3) Azzeramento degli F-35 e ampia revisione della spesa militare;
4) Abolizione della riforma Fornero sulle pensioni;
5) Abolizione d'ogni forma di precariato nel lavoro;
6) Riduzione dei compensi agli eletti;
7) Contributi di solidarietà dalle pensioni d'oro;
8) Abbassamento del tetto di retribuzioni per i manager di Stato;
9) Un circuito di banche pubbliche senza scopo di lucro;
...eccetera...eccetera...
Non temete d'allungare od accorciare la lista: tanto non fa nulla, la rifiuteranno in blocco, e per tre ragioni:
1) La caduta del saggio di profitto continua: ciò significa che il guadagno (da parte dell’imprenditore) sul singolo bene s’abbassa sempre di più. E’ la conseguenza dell’espansione in Oriente (compiuta, all’inizio, con capitali occidentali): insomma, la classe media dei BRICS deve crescere, per poter acquistare le scarpe di Prada o le Ferrari. Ovvio che, da noi, le possibilità di lavoro si riducono ai soli beni di lusso o di alto contenuto tecnologico: le produzioni meno tecnologiche chiudono ad una ad una.
2) L’automazione dei sistemi industriali ha raggiunto livelli impensabili: ci sono già fabbriche completamente automatiche, gestite solo da pochissimi tecnici per il controllo. Inoltre, la standardizzazione dei processi produttivi comporta che lo stesso pezzo serve in un’automobile, in un’affettatrice ed in un motocoltivatore. I costi di produzione s’abbassano: la cosiddetta “produttività” sale di circa l’1% l’anno e, da quasi 30 anni, se la “mangiano” tutta i capitalisti. Altro che cuneo fiscale.
3) I media hanno compiuto bene la loro funzione: l’istupidimento della popolazione è stato raggiunto e, oggi, la “velina” o il “modello” sono il massimo delle aspirazioni di 9 giovani su 10.
Si può disquisire se Marx avesse presagito simili evenienze: sulla prima e sulla seconda senz’altro, solo che Marx contava sull’affermazione dei valori della classe operaia, insieme alla nuova missione di classe “propulsiva” dello sviluppo economico. Qui è stato smentito dagli eventi, anche se non poteva certo immaginare cosa sarebbero diventati i media oltre il giornale.
Ci sono possibilità?
A mio parere, poche. Forse un passaggio di generazione è necessario: oggi, i genitori sono ancora in grado di garantire qualcosa alle giovani generazioni, se non proprio benessere almeno sopravvivenza senza troppi scossoni.
Domani – immaginiamo fra circa 20 anni – le pensioni saranno così misere che non consentiranno più il “soccorso” fra generazioni ed il ricorso a riforme del tipo 70+ anni per l’accesso alla pensione limiterà molto l’appoggio che i padri potranno fornire ai figli. Il vero welfare italiano – la famiglia – si estinguerà.
Sempre in un’ottica marxista, bisogna stare attenti all’altra degenerazione, allo scivolamento verso forme di sottoproletariato che non si nutrono più di valori bensì di dis-valori quali la delinquenza comune, la strutturazione in bande, la violenza gratuita, il furto, ecc. Questo mutamento si nota bene nelle scuole: ogni anno classi più violente, allievi/e intrattabili ed incontenibili. Del resto: con quello che li attende in futuro, cosa c’è da contenere?
Il futuro dell’Italia è fosco: solo una mobilitazione generale potrebbe salvarla ma – già lo sappiamo – non avverrà perché anche i sindacati sono asserviti e, quelli non asserviti (COBAS), sono tagliati fuori con mille trucchi.
Bisogna saldare, unire gli italiani, ricostruire la dignità di un popolo allo sbando, guidato da cortigiani senza morale né legge.
Per questo bisogna dar loro modo di vedersi, di contarsi, d'osservare nel viso del vicino le stesse ansie di cambiamento, la stessa voglia di riscatto.
Un potere marginale rimane alle associazioni di difesa della Costituzione et similia, le quali potrebbero chiamare le persone al grande raduno, alla manifestazione. Ma come?
L’unico tentativo praticabile, ad oggi, è quello di sfilare – ma bisogna essere veramente in tanti – in tutte le città italiane completamente silenziosi e senza “cappelli” di partito. Un solo striscione: “Restituiteci l’Italia”, e sperare che la cosa (se i numeri sono veramente grandi) faccia loro paura. Poi... valutare con attenzione i passi seguenti. L’alternativa? Affondare in silenzio.
PS: Mi scuso per il lungo periodo d’inattività, ma alla meteorologia ed alla salute non si comanda.
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.it
Link: http://carlobertani.blogspot.it/2013/10/noi-voi-loro-e-la-necessaria.html
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