Sta per finire su un binario morto l'inchiesta sollevata dal Fatto dopo la denuncia di un anonimo su decine di commesse milionarie. Ma una relazione riservata al Ministro che pubblichiamo in esclusiva rivela le irregolarità che hanno causato danni delle amministrazioni pubbliche e dei nostri risparmi. Ora sarà materia di indagine per la Corte dei Conti
Un altro dossier finisce nella scatola nera d’Italia portandosi dietro sospetti e domande sugli affari d’oro con gli appalti di Stato coperti da segreto. Che potranno continuare lontano da occhi indiscreti. La Procura di Roma sta per archiviare il fascicolo sulla gestione degli appalti del Viminale denunciato da un anonimo lo scorso anno che chiamava in causa, tra gli altri, il vice capo della polizia Nicola Izzo (finito agli arresti domiciliari lo scorso 8 gennaio nell’ambito di un’inchiesta della procura di Napoli che indagava sul Cen) e il prefetto Giuseppe Maddalena, ex responsabile della direzione tecnico logistica del ministero dell’Interno. L’anonimo indicava presunti casi di malaffare nella gestione di appalti e aste per l’acquisto di impianti tecnologici: dai software per le centrali operative di tutta Italia ai sistemi di videosorveglianza, dalla gestione del numero unico europeo della sicurezza (il 112) al rilevamento delle impronte digitali da parte della Polizia scientifica. Dopo che il Fatto ha pubblicato l’esposto, la procura di Roma ha aperto un fascicolo affidato al pm Roberto Felici che ha ritenuto di non dover prendere in considerazione il documento perché contenente notizie anonime e accuse “confuse e mal documentate”.
Per un’altra via arriva invece l’indicazione certa che sulla vicenda resta ancora molto da chiarire. Nello stesso tempo è stata avviata infatti anche una commissione interna al Viminale voluta dal ministro Cancellieri per far luce sulla regolarità delle procedure di assegnazione. Il Fattoquotidiano.itha avuto accesso alla relazione riservata depositata e il quadro che ne esce è, quantomeno, preoccupante: su almeno 600 milioni di euro spesi nell’acquisto di beni e servizi negli ultimi tre anni da parte dei Dipartimenti di pubblica sicurezza e Vigili del fuoco sono mancati sistematicamente i requisiti di trasparenza, concorrenza e convenienza per la pubblica amministrazione, a tutto beneficio dei contraenti, solitamente consorzi di grandi imprese come Telecom Italia, Sintel, Elsag Datamat, Novasistemi, Siemens e altre.
Il perimetro dell’indagine ha riguardato soltanto le procedure d’acquisto del triennio 2012-2012 per importi superiori ai 125mila euro. E per quanto fosse limitato il tempo (90 giorni) e lo spettro della verifica, a leggere le carte, ne ha trovati in abbondanza: undici procedure esaminate su undici, cioè tutte, hanno permesso di rilevare varie irregolarità commesse all’ombra della secretazione delle gare che ora sono state segnalate all’Autorità giudiziaria e alla Corte dei Conti perché siano verificati eventuali profili di illecito e ipotesi di danno erariale. Tutto verte intorno alla secretazione dei contratti, un istituto che consente all’amministrazione contraente di derogare alle procedure ordinarie di affidamento degli appalti pubblici in termini di concorrenzialità e pubblicità. La legge che lo consente ammette la classificazione solo per casi specifici, la tutela degli interessi essenziali dello Stato e speciali misure di sicurezza.
La Corte dei Conti da anni segnala che l’anomalia dilagante per cui le amministrazioni centrali dello Stato secretano anche quelle gare che non avrebbero i requisiti di cui sopra, non consentendo (neppure a posteriori) di poter accertare la regolarità delle procedure e la congruità effettiva delle spese sostenute. In altre parole, c’è una sorta di camera oscura dello Stato in cui si spendono un mucchio di soldi e nessuno la può illuminare. Gli appalti del Viminale rientrano a pieno titolo in questa categoria. L’ammontare dei contratti sotto la lente supera i 600 milioni di euro, in buona parte finanziati dall’Unione europea tramite i programmi “Pon Sicurezza” 207-2013. Ed è forse un bene che la vicenda si chiuda qui, perché agli auditor di Bruxelles non farebbe piacere sapere con che livello di trasparenza e concorrenza spendiamo i fondi comunitari.
Notizie dal Cen, misterioso appalto da 50 milioni
Con 49 milioni di fondi europei, ad esempio, abbiamo trasferito, consolidato e ottimizzato la gestione Centro elettronico nazionale della polizia (Cen) a Napoli, il progetto per cui, lo scorso gennaio, otto persone sono finite agli arresti tra manager della galassia Finmeccanica, imprenditori e funzionari pubblici, tra cui l’ex provveditore alle opere pubbliche Mautone e i prefettiNicola Izzo e Giovanna Iurato. Dalla relazione al ministro si legge che “dalla documentazione presentata emerge una non linearità nella sequenza delle fasi iniziali del procedimento”. In sostanza la determina a contrarre, pur prevedendo l’affidamento con procedura di segretazione, è stata adottata due mesi prima dell’atto con il quale il ministro dispose effettivamente la segretazione.Consiglio di Stato e Corte dei Conti hanno più volte chiarito che la segretazione deve precedere la fase di aggiudicazione degli appalti perché esonera l’amministrazione dall’obbligo di seguire le procedure classiche del Codice dei contratti pubblici. Anche la commissione per la valutazione delle offerte è stata istituita prima della segretazione che nelle motivazioni appare “generica e non sufficientemente giustificata“.
Dalle carte poi non risulta traccia dei criteri in base ai quali sono state individuate le ditte invitate a partecipare alla procedura. Anche la fornitura di sistemi di videosorveglianza “Scout” per le volanti, per la polizia penitenziaria e per i vigili del fuoco è stata segnata da diverse irregolarità. Una prima gara con Pon europei aveva individuato la Sintel Italia Spa come fornitore per 3 milioni di euro. Il Ministero ha poi provveduto ad acquistare altri dispositivi e aggiornare quelli vecchi garantendo alla società commesse per 18 milioni di euro. Cosa dice l’analisi delle procedure seguite? Che nessuno ha verificato l’esistenza di altre società che fornissero analoghi dispositivi e tecnologie proprietarie, col risultato di “non consentire alle amministrazioni contraenti certezza sul reale vantaggio economico della gara“. Il dipartimento dei Vigili del fuoco, ad esempio, ha dovuto “aderire acriticamente alle scelte operate da quello per la Sicurezza”. In altre parole, milioni di euro in uscita e non c’è gara che tenga.
Segretazione, una seconda vita per vecchi monopoli e rendite di posizione
Forse però il colpo davvero grosso lo ha fatto Telecom Italia quando si è aggiudicata una mega commessa da mezzo miliardo di euro in sette anni (Iva esclusa) per la gestione dei servizi di telecomunicazione in esercizio dal 2010. Il capo della Polizia e Direttore Generale della Pubblica Sicurezza dispone la segretazione del contratto attribuendogli la classifica di segretezza di livello “Riservatissimo”. L’aggiudicazione viene annullata dal Consiglio di Stato il 14 dicembre scorso a seguito di un ricorso di Fastweb. A decidere sarà la Corte Europea cui si è rivolto il Consiglio di Stato perché stabilisca una volta per tutte legittimità ed efficacia della convenzione quadro.
Ma dalle carte ancora una volta vien fuori la nebulosa che la segretazione ha permesso di diffondere intorno alla procedura di assegnazione. In particolare “il mancato esperimento da parte della stazione appaltante di una preliminare indagine di mercato finalizzata ad accertare l’esistenza di una sola impresa in grado di assicurare la prestazione che è condizione essenziale per la procedura negoziata senza preventiva pubblicazione del bando di gara”. In altre parole, la segretazione avrebbe trasformato nuovamente Telecom in monopolio. Anche la motivazione con cui è stata decretata sembra fare acqua da tutte le parti “la determina a contrarre del 22 dicembre 2011 non dà conto delle ragioni tecniche invocate a giustificazione della procedura invocata”.
Oltre ai modi, sono sospetti anche i tempi: il Ministero ha espletato la procedura di affidamento a ridosso della scadenza dei termini della convenzione precedente, giustificando il ricorso a quella negoziata e diretta con Telecom con l’esigenza di affidare subito la procedura, onde evitare l’interruzione del servizio. Ma, rileva ancora la commissione, la convenzione era stata siglata nel 2003, quindi l’amministrazione aveva avuto tutto il tempo, sette anni, per “maturare una scelta ponderata sulle procedure da seguire” per trovare altri fornitori a vantaggio dell’amministrazione. Non è un dettaglio, visto che anche il Consiglio di Stato rilevava dubbi sull’effettiva convenienza dell’operazione avvenuta senza alcun confronto concorrenziale. Analoghe le irregolarità e le anomalie riscontrate negli altri appalti ma quello che conta, alla fine, è se dal buco nero della segretazione si uscirà in qualche modo.
L’inchiesta è finita su un binario morto. La relazione della commissione è stata trasmessa a inquirenti e giudici contabili. Di sicuro resta il dato di un buco nero che il Ministero ha inteso illuminare con una candela: la commissione, infatti, ha lavorato su 11 procedure soltanto e per soli 90 giorni e ha ascoltato tre volte in tutto i responsabili dei procedimenti. In altre parole non si è spostata di un millimetro, non ha indagato cioè il mare magno degli appalti da centinaia di milioni di euro sui quali la Corte dei Conti, nelle sue relazioni al Parlamento, chiede di far luce da anni. Il mistero italiano continua, e così gli affari d’oro che possono essere decisi a tavolino. Come e perché, non si può sapere. Resta un segreto di Stato.
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