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venerdì 18 ottobre 2013

ALTRO CHE INDULTO, ECCO TRE SOLUZIONI

Ci risiamo. Sono passati poco più di sette anni dall’indulto del 2006 e nuovamente, di fronte alle condizioni di detenzione disumane e al sovraffollamento delle nostre carceri, indulto e amnistia tornano alla ribalta nel dibattito come soluzioni del problema. Le discussioni in corso appaiono ideologiche; manca in particolare una puntuale e obiettiva analisi di ciò che è successo quando politiche di questo tipo sono state attuate.


L’unica certezza è l’incapacità della classe politica di risolvere un problema che si ripresenta identico nel corso degli anni e proprio per questa ragione non può essere considerato eccezionale. Ciò che più stupisce è l’incapacità (o la mancanza di volontà) delle istituzioni di affrontare il problema a partire da una sistematica azione di valutazione delle politiche attuate e delle potenziali misure alternative. Persino la raccolta e diffusione sistematica di dati sul sistema carcerario appare lacunosa.

È un fallimento di coordinamento collettivo. L’Italia ha avuto ben sette anni di tempo dall’ultimo indulto per trovare soluzioni alternative al problema del sovraffollamento. Appelli alla sperimentazione di misure alternative rimasti inascoltati, i cambi di governo (ben 5 in sette anni) e le istituzioni che non si sono avvalse delle competenze migliori in tema di politica carceraria hanno condotto allo stato in cui ci troviamo. La sensazione amara che si ha è che organi come le commissioni Giustizia di Camera e Senato, uffici studi del ministero e tutti gli attori istituzionali coinvolti abbiano lavorato a vuoto, senza un obiettivo preciso e senza avvalersi in modo sistematico degli enormi progressi fatti dalla ricerca in questi anni in ambito di conoscenze relative agli effetti delle politiche carcerarie.

Niente di nuovo sotto il cielo. Nel secondo dopoguerra l’Italia ha utilizzato in modo strutturale indulto e amnistia come strumento per affrontare il problema del sovraffollamento carcerario. Infatti, come riportato in una ricerca condotta da Barbarino e Mastrobuoni, tra il 1962 e il 2006 il parlamento ha approvato ben 13 tra indulti ed amnistie.

L’analisi dei dati disponibili sul sito del Ministero della Giustizia consente di evidenziare due aspetti cruciali nella composizione della popolazione carceraria. Al 30 giugno 2013 nelle carceri italiane erano presenti 66.028 detenuti. In pratica, ci ritroviamo a livelli di sovraffollamento simili a quelli precedenti l’approvazione dell’ultimo indulto. Solo 40.301 sono in carcere perché stanno scontando almeno una condanna definitiva, mentre 25.727 (il 39%) sono in attesa di giudizio.

Più nel dettaglio è interessante notare come il 45% dei detenuti condannati abbia una sentenza residua da scontare inferiore ai 2 anni e che le tipologie di reato maggiormente rappresentate sono reati relativi alla cessione ed uso stupefacenti, contro il patrimonio e contro la persona. È importante sottolineare, soprattutto alla luce del dibattito attuale, che non risultano attualmente ristretti detenuti con ascritto esclusivamente il reato di cui all'art. 14 del T.U. 286/98 (immigrazione clandestina). Questo anche alla luce del fatto che dal 2011 il reato di immigrazione clandestina è sanzionabile solo con l’ammenda e non è più previsto l’arresto obbligatorio. La presenza di tale reato ha tuttavia un impatto rilevante sulla congestione del sistema giudiziario, ma questa è di nuovo un’altra storia.

Un aspetto importante dovrebbe essere chiaro: nel caso in cui approvassimo un’altra amnistia o un altro indulto, in queste condizioni, in pochissimi anni ci ritroveremmo di nuovo in emergenza. Le carceri italiane si riempiono con estrema facilità. A tal proposito, qualcuno ricorda che nel 2010, l’allora ministro della Giustizia Alfano, ha firmato la legge n.199/2010 (Esecuzione presso il domicilio delle pene detentive) nota come decreto svuota carceri? A seguito dell’applicazione questa legge 11.813 detenuti (dato aggiornato al 31 agosto 2013) sono usciti dalle carceri. Quel provvedimento ha alleviato le condizioni di sovraffollamento ma solo temporaneamente.

Gli appelli ad alleviare le condizioni disumane dei detenuti nelle nostre carceri risultano quindi tanto accorati e di buon senso quanto colpevoli ed ipocriti se provengono da chi avrebbe dovuto forzare (tramite la consueta “moral suasion”) le autorità a sperimentare e studiare provvedimenti che consentano di comprendere in modo sistematico quali strumenti possano essere efficaci per ridurre strutturalmente sovraffollamento e recidiva. Facciamo alcuni esempi:

1) L’uso del braccialetto elettronico a cui sembra essere associata una minore recidiva come mostrato da un recente articolo di Raphael Di Tella ed Ernesto Schargrodski sul Journal of Political Economy. Che fine ha fatto la sperimentazione in Italia? Chi ha disegnato la sperimentazione, quali sono stati i risultati?

2) Programmi di assistenza all’uscita del carcere. Diversi studi empirici mostrano come il carcere sia una scuola per il crimine. (1) Si è mai avviata una sperimentazione per valutare l’efficacia di programmi di assistenza all’uscita dal carcere? A chi scrive non risulta alcun programma di sperimentazione avviato in maniera sistematica su scala nazionale. Le poche iniziative meritorie sono lasciate alla buona volontà di pochi provveditori regionali del DAP o di direttori “illuminati” di alcuni istituti di detenzione.

3) Pene alternative. In Italia non vi sono studi (perché non si consente ai ricercatori interessati l’accesso ai dati) su quali tra le molteplici pene alternative sono le più efficaci per ridurre la recidiva. Eppure uno studio del genere potrebbe essere di aiuto ai giudici di sorveglianza e al legislatore.

La lista di interventi potrebbe continuare. Adesso, una volta che ci siamo ritrovati nel pieno dell’emergenza, cerchiamo di capire cosa possiamo aspettarci da un altro indulto e di come dovrebbe essere congegnato per minimizzare gli effetti negativi.

L’esperienza passata ci può aiutare a capire quali sarebbero gli effetti di una legge quale l’indulto o l’amnistia. È necessario chiarire la distinzione tra indulto e amnistia. L’indulto prevede la cancellazione della pena, mentre l’amnistia prevede la cancellazione del reato. Se dal punto di vista pratico entrambe le misure determinano la possibilità che alcuni detenuti vengano rilasciati, gli effetti comportamentali delle due misure sono estremamente diverse come l’esperienza dell’indulto 2006 ci ha mostrato.

Nell’agosto 2006 circa 25.000 detenuti sono stati scarcerati a seguito dell’approvazione della legge 241/2006 che prevedeva uno sconto di 3 anni rispetto alla sentenza iniziale. Sostanzialmente tutti coloro che erano in carcere e dovevano scontare una sentenza residua inferiore ai 3 anni sono stati rilasciati. La figura 1 mostra gli effetti di questa politica. In agosto 2006 la popolazione carceraria è passata da oltre 100 detenuti ogni 100.000 abitanti a meno di 70 detenuti sempre ogni 100.000 abitanti. Tale misura ha raggiunto l’obiettivo di ridurre in modo sistematico il sovraffollamento delle carceri? Come mostra il grafico no: negli anni successivi la popolazione carceraria è velocemente tornata ai livelli pre-indulto.

Ma quali sono stati gli effetti dell’indulto sulla criminalità e sulla recidiva? A questo proposito è importante sottolineare che la stessa legge 241/2006 all’art. 3 prevedeva che i detenuti beneficiari dell’indulto che nei successivi 5 anni avessero ricommesso un reato avrebbero dovuto scontare in carcere la nuova pena più la pena indultata. Questa norma è cruciale per comprendere gli effetti di incapacitation e di deterrenza di una politica come l’indulto. Inoltre, questa norma ci consente di capire le differenze sostanziali tra indulto ed amnistia. Infatti, l’amnistia cancellando il reato non genererebbe alcun effetto di deterrenza nei detenuti liberati.

Figura 1: Evoluzione popolazione carceraria pre e post indultoNota: Popolazione carceraria mensile (tasso ogni 100.000 abitanti) rispetto ad Agosto 2006. 0 indica Agosto 2006, le osservazioni alla sinistra dello 0 sono relative ai mesi precedenti ad Agosto 2006, mentre le osservazioni alla destra ai mesi successivi ad agosto 2006.

La figura 2 e 3 mostrano l’andamento dei furti e delle rapine ogni 100.000 abitanti prima e dopo l’indulto. La figura è esattamente speculare alla figura 1 suggerendo l’effetto perveso dell’indulto sulla criminalità. In un recente articolo Buonanno e Raphael stimano che ogni anno non speso in carcere ha aumentato i reati ogni 100.000 abitanti tra 14 e 46 dipendendo dal tipo di reato considerato.

Figura 2: Evoluzione furti (per 100.000 abitanti) pre e post indultoNota: Furti (tasso ogni 100.000 abitanti) rispetto ad Agosto 2006 (0 indica Agosto 2006)

Figura 3: Evoluzione rapine (per 100.000 abitanti) pre e post indulto
Nota: Rapine (tasso ogni 100.000 abitanti) rispetto ad Agosto 2006 (0 indica Agosto 2006)

Un risultato estremamente rilevante è che in assenza dell’art. 3 della legge 241/2006 l’effetto dell’indulto sul tasso di crimine sarebbe stato superiore. Infatti, come mostrato in un articolo di Drago, Galbiati e Vertova (Journal of Political Economy 2009) la lunghezza della sentenza residua ha ridotto la recidiva in modo significativo. Per capire il perché di questo risultato è importante entrare nel meccanismo del provvedimento accessorio cruciale, passato in secondo piano nel dibattito pubblico all’epoca e purtroppo oggi.

Ad agosto 2006 tutti coloro che avevano una pena da scontare inferiore ai 3 anni sono stati liberati. Ovviamente alcuni detenuti avevano pene residue di pochi mesi, mentre altri pene residue superiore all’anno o molto vicine ai 3 anni. Questo aspetto è cruciale per la comprensione dell’effetto dell’indulto. Infatti due individui identici liberati l’1 agosto con due pene residue uno di 30 mesi e l’altro di 2 mesi, nell’ipotesi avessero ricommesso un reato si sarebbero trovati a scontare la nuova pena più 30 o più 2 mesi rispettivamente per il primo e per il secondo individuo. 

Quali implicazioni ha avuto l’articolo 3? Confrontando il comportamento dei beneficiari dell’indulto con pene residue alte con quello dei beneficiari con pene residue basse, si è osservato che i primi hanno avuto una propensione a delinquere minore. Drago, Galbiati e Vertova documentano, infatti, che gli individui con pene residue maggiori hanno avuto tassi di recidiva del 25 per cento minori. In altre parole, un mese in meno trascorso in carcere associato a un mese in più di carcere atteso riduce la recidiva. Senza il provvedimento accessorio che prevedeva di aggiungere la pena residua alla nuova in caso di rientro in carcere, i tassi di recidiva dei beneficiari dell’indulto sarebbero stati molto più alti. 

Qual è la morale della favola? In questi giorni si sentono decine di proclami ideologici in materia di incarcerazione. La storia ci insegna che la politica senza la conoscenza oggettiva di un fenomeno e senza un’accurata valutazione delle scelte fatte condanna il paese ad una logica dell’emergenza. Decine di giovani ricercatori competenti in Italia ed all’estero stanno acquisendo conoscenze utilissime per affrontare il fenomeno ma la politica miope non sembra volersene avvalere.

Che fare quindi? Partendo dalle conoscenze accumulate in questi anni sarà utile riflettere a come adattare alla nuova misura di clemenza delle norme simili all’articolo 3 del precedente indulto. Come sottolineato da Giovanni Mastrobuoni su La Voce, sarebbe opportuno riflettere a come scaglionare le uscite dal carcere forse partendo dai detenuti più anziani e meno propensi alla recidiva. Le soluzioni possibili sono molte, ma la sicurezza dei cittadini e la dignità dei detenuti sono troppo importanti per improvvisare.

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