I termini della proposta
Una prima descrizione della proposta potrebbe essere così articolata: le organizzazioni della società civile locali, i gruppi più sensibili al sociale, i comitati o i coordinamenti che hanno come scopo la denuncia o la salvaguardia di patrimonio culturale locale, si incontrano e individuano insieme tutti i beni collettivi della zona che sono a rischio o in via di distruzione. Su questa base conoscitiva si raccolgono dati sulla situazione e le prospettive di ogni bene e sugli interventi necessari. Successivamente si elabora un piano di interventi che tutti si impegnano a realizzare e che viene presentato e approvato in una sere di incontri all’interno del territorio determinato; si dovrebbe cioè realizzare la trasformazione in “beni comuni” dell’intero patrimonio insistente sul territorio prescelto.
Da quel momento, da un lato si elaborano piani esecutivi per ciascun bene e dall’altro si richiedono ai cittadini dell’area quali capacità e quanto tempo mettono a disposizione per effettuare i lavori anche senza retribuzione o con un semplice rimborso spese. Se il processo è stato realizzato correttamente e si è raggiunto un elevato grado di partecipazione popolare, si possono avviare delle mobilitazioni mirate nei fine settimana, con scopi sicuramente parziali ma di grande soddisfazione per chi li realizza.
Nella concretezza delle singole situazioni, ovviamente, si possono prevedere numerosi adattamenti, specie a seconda delle caratteristiche dei settori investiti, dell’età delle persone coinvolte e delle loro capacità professionali e così via.
E’ importante sottolineare alcuni aspetti della proposta non immediatamente evidenti. In primo luogo, il lavoro volontario serve per la fase iniziale del processo e per far emergere le persone più motivate, ma soprattutto per far toccare con mano la qualità e la quantità dei posti di lavoro necessari o auspicabili. Poi, in presenza di risorse modeste presso l’ente locale o altri enti operanti nel territorio, oppure reperendo contributi “in natura” ( la messa a disposizione di un camion o di un trattore, oppure la cessione a titolo gratuito di materie prime o di servizi, ecc.) potrebbe essere possibile distribuire rimborsi spese a chi non ha altri redditi o a chi ha bisogno urgente di integrazione delle entrate.
La proposta, in pratica, cerca di mobilitare tutte le risorse di un territorio, senza attendere interventi istituzionali scarsamente probabili, tende a stimolare un totale coinvolgimento della popolazione in azioni di interesse collettivo e fa diventare la creazione di posti di lavoro un obiettivo largamente condiviso e alla portata delle mani di qualunque residente. Su questa base – che di fatto è un progetto di ispirazione popolare che le collettività sentono proprio e iniziano a realizzare -, è poi possibile reperire altre fonti di finanziamento esercitando delle pressioni di effetto non irrilevante.
Criticità
Come è ovvio, una strategia di questo tipo, fortemente in controtendenza e ancora all’interno del sistema dominante, è destinata ad incontrare innumerevoli difficoltà, che è opportuno anticipare invece di cominciare a muoversi senza averne coscienza.
Una parte degli interventi (pulire le sponde di un fiume, denunciare una grave situazione di inquinamento o di danni alla salute) possono essere realizzati incontrando solo i normali ostacoli alla diffusione delle informazioni su scala nazionale
Gli interventi “fisici” (costruire qualcosa o demolire opere in se dannose) possono richiedere l’intervento di un ente locale, oppure licenze, permessi, autorizzazioni varie a meno di non riuscire ad operare in completa disobbedienza e garantendo poi la successiva sopravvivenza del lavoro illegale fatto
Molte opere possono richiedere studi preliminari (sondaggi, progetti, piani esecutivi, ecc.) e quindi l’intervento gratuito o semigratuito di professionisti e la loro assistenza durante i lavori
In molte situazioni, oltre alla decisa opposizione degli interessi economici in quella zona,possono anche incontrarsi, specie in alcune regioni, reazioni di stampo mafioso.
Potrebbe essere utile entrare in contatto con delle associazioni o dei gruppi che operano in campo ambientale, per verificare se sono interessati a sostenere interventi nelle aree di loro competenza (Parchi, aree e oasi del WWF, ecc.) fermo restando la necessità di un confronto preliminare sui relativi obiettivi (ad es. creare posti di lavoro insieme alla tutela e alla valorizzazione dell’ambiente).
Non possono essere trascurate inoltre le difficoltà che incontrano di solito i comitati locali che cercano di far collaborare in modo duraturo organismi abituati a procedere secondo modalità autoreferenziali; si tratta di tranquillizzare gli organismi preesistenti sulla completa salvaguardia delle loro attività svolte fino a quel momento e sui vantaggi che potrebbero trarre da un allargamento della base popolare che si può realizzare presentando congiuntamente le nuove attività.
Infine, è da ricordare che la raccolta dei fondi, sia pur minimi, necessari per alimentare gli interventi (per acquisto attrezzi, abbigliamento da lavoro, strumenti di sicurezza, ecc.) può richiedere dei tempi piuttosto lunghi specie nella fase iniziale, quando le nuove modalità proposte non sono ancora conosciute. D’altra parte la ricerca di sponsor nel settore privato ha degli ovvii limiti, anche se cominciano ad evidenziarsi delle imprese più sensibili ai problemi ambientali che potrebbero esprimere un qualche interesse a iniziative del tipo qui delineato (al di fuori ovviamente delle logiche di profitto mascherate da “green economy”, già piuttosto diffuse).
Le altre fonti di finanziamento
Sempre escludendo, per essere realistici, la vana attesa di fondi pubblici, sarebbe in primo luogo possibile chiedere a lavoratori in cassa integrazione e a pensionati ancora in grado utilizzare le loro competenze professionali, di garantire delle prestazioni qualificate e continuative; qualora fosse approvato un salario minimo garantito per tutti ( nelle varie forme finora discusse dal movimento), dovrebbero essere esercitate decise pressioni per far utilizzare almeno una parte del tempo garantito in lavori richiesti dalle comunità più avanzate nei processi qui descritti. Inoltre potrebbero essere utilizzate formule di riconoscimento dei lavori di interesse sociale, come ad esempio una o più ore mensili per i dipendenti pubblici e privati che volessero dedicarle alle iniziative per il territorio (ovviamente senza riduzioni di salario).
L’altro aspetto che deve essere sottolineato si riferisce ai metodi di finanziamento, che possono essere applicati a quasi tutte le linee di intervento. Scartata, almeno per i primi anni, la possibilità di reperire consistenti fondi dallo Stato – data la situazione debitoria nazionale – si devono stimolare altri flussi, fatti di contributi modesti usati per lavori su piccola scala, che devono essere attivati anche a livello nazionale perché siano poi disponibili nelle zone dove gli abitanti hanno cominciato a mobilitarsi con le modalità sopra descritte.
Si potrebbe contare su fonti di questo tipo:
- interventi di consorzi o ATI formati da Comuni
- tasse di scopo, mirate a specifici progetti all’interno di un comparto ben definito
- eccedenze di Banche operative (ad esempio Banca di Credito Cooperativo) locali e di Casse di risparmio che sono obbligatoriamente destinate a interventi per il benessere della popolazione oppure erogazioni concesse da Società di assicurazione preoccupate per l’aumento degli indennizzi per cause ambientali
- contributi degli enti regionali (da leggi per la tutela del territorio, a sostegno dell’economia solidale, ecc.)
- raccolta di quote di persone, famiglie e piccole imprese, interessate ad alimentare una spirale di accumulazione ecologica a livello locale (crowfunding)
- cifre non spese per riparazioni e indennizzi per danni ambientali causati in passato ed evitati nel periodo più recente da interventi di sicurezza a monte appena realizzati
- contributi di Charities e Fondazioni estere
- contributi dell’Unione Europea (varie linee di finanziamento, in particolare Fondo Sociale Europeo)
- contributi UNESCO per gli interventi a tutela del patrimonio artistico e archeologico
considerato Patrimonio dell’umanità
I limiti della proposta
Alcune valutazioni conclusive, dirette essenzialmente a rispondere in anticipo ad alcune delle prevedibili critiche e soprattutto alle reazioni basate su pregiudizi poco fondati:
1) Ovviamente, la proposta non nasce in un vuoto assoluto, anzi tiene conto ed è stata ispirata da una molteplicità di esperienze già in corso, che però rispondono in genere a spinte per affrontare singoli problemi e sono realizzate da piccoli gruppi di persone fortemente motivati per conseguire l’obiettivo individuato. La proposta tende ad allargare molto il numero delle persone impegnate, a garantire un loro contributo nel tempo e a far intravedere la possibilità concreta della creazione di posti di lavoro stabili.
2) D’altra parte, la proposta esclude, almeno nella fase iniziale, interventi pubblici consistenti e punta ad aumentare in misura sostanziale le reazioni dei cittadini di un territorio dirette a difendere e a valorizzare dei suoi aspetti essenziali (tradizioni locali, monumenti e giacimenti culturali, paesaggio e aree agricole, ecc.) in base ad un piano complessivo largamente condiviso.
3) Il lavoro completamente gratuito ha una funzione di “innesco” del meccanismo di mobilitazione locale; la proposta tende ad escludere forme di auto sfruttamento dei lavoratori e forme di sussidiarietà rispetto agli obblighi di legge per Stato ed enti locali e servizi pubblici.
4) La proposta tende a far emergere nuovi posti di lavoro per soddisfare esigenze troppo trascurate e a far maturare nella popolazione una maggiore capacità di far rispettare i propri bisogni essenziali e un livello molto alto di assunzione di responsabilità nei confronti dei beni comuni
5) La proposta intende rispettare al massimo il lavoro già svolto da comitati e gruppi locali che hanno finora svolto compiti essenziali di denuncia di danni e rischi per l’ambiente e la salute; ritiene tuttavia necessario ampliare il coinvolgimento della base popolare in tali azioni e soprattutto trasformare ogni danno e ogni minaccia in occasioni per creare posti di lavoro duraturi
6) In ogni zona si elaboreranno le forme più adatte di coordinamento tra realtà diverse, nessuna delle quali dovrà sentirsi espropriata delle sue scelte, mentre tutte dovranno essere coscienti dei vantaggi che derivano dalla condivisione dei principi di fondo e degli obiettivi concreti da conseguire.
7) Ogni movimento organizzato su base locale dovrà poi ad un certo punto esprimere degli organismi fortemente sentiti come propri, in grado di controllare dal basso le opere e i servizi pubblici di maggiori dimensioni, affinché non ledano i diritti e i bisogni delle zone attraversate
Alcune recenti iniziative dal basso, che costituiscono esperienze della stessa natura, da studiare e da imitare.
Se si seguono con attenzione le iniziative che vengono assunte in alcune parti del territorio italiano, si ha la sensazione che quanto finora suggerito sia meno lontano dalla realtà di quanto non sembri ad una prima lettura. Gli esempi che riportiamo sono probabilmente legati a iniziative individuali di dirigenti locali particolarmente attivi oppure sono espressioni di movimento di piccole dimensioni, pochissimo collegate con reti o coordinamenti di gruppi di base. Evidentemente sono emerse all’interno di aree o di cittadine particolarmente sensibili e reattive. In altre parole, l’unica indicazione che se ne può trarre riguarda la fattibilità di esperienze di questa natura, mentre restano tutte da verificare le modalità della presentazione delle proposte ai nuclei di popolazione e la imprevedibilità delle reazioni su scala più grande.
Una esperienza riguarda il Comune di Palmanova, una cittadina del Friuli, con 5400 abitanti, che ruota intorno ad una bella piazza d’armi esagonale, cresciuta dentro la splendida fortezza veneziana costruita nel 1593 su progetto di Giulio Savorgnan (già padre della fortezza di Nicosia, a Cipro). Abbandonate per decenni a un degrado umiliante, senza un minimo di manutenzione, le mura sono state infestate via via da erbacce, sterpi, alberelli, che con il passare degli anni sono cresciuti fino ad affondare le loro radici per sei o sette metri tra le pietre della fortificazione e finendo per sgretolare tratti delle possenti mura. Una devastazione, il cui recupero secondo la Sovrintendenza potrebbe costare una ventina di milioni di euro.
Nel novembre del 2011, su iniziativa del sindaco, è stato proposto a tutti i cittadini di mobilitarsi per la difesa del patrimonio comune. Per due fine settimana, oltre 3000 volontari della protezione civile e centinaia di persone hanno lavorato alla pulizia delle mura, mentre gli alpini si occupavano della logistica e di sfamare “quella massa di generosi”. Inoltre, la seconda cinta muraria napoleonica, marcata da nove lunette, è stata divisa in nove settori ed affidata a nove associazioni (gli alpini, I marciatori, gli amanti della Mountainbike, il Gruppo Storico, l’Associazione Eventi Sportivi, gli Amici dei Bastioni, ecc.) che dovranno mantenere pulita tutta la cinta muraria esterna. [Il testo integrale di Gian Antonio Stella era su Sette del 18 gennaio 2013]
Sono da sottolineare alcune caratteristiche di questa esperienza:
a) la completa volontarietà del lavoro prestato dai cittadini
b) l’assunzione di responsabilità verso un bene di interesse comune da parte dei cittadini
c) il contributo di idee e di sostegno dato dall’ente locale, privo di risorse ma che non si è fatto bloccare da questa limitazione
d) il ridotto tempo di attuazione dell’attività proposta
e) il carattere di festività collettiva assunto dall’esperienza di lavoro
Altre esperienze sono state già realizzate dalla Rete dei Comuni Virtuosi e dalla Rete Nuovo Municipio. All’estero, utili indicazioni possono essere tratte dalle Transition Towns, iniziando dal blog Transition Italia.
Alberto Castagnola, economista e obiettore di crescita (il suo ultimo libro è «La fine del liberismo», Carta), è animatore di reti dell’economia solidale. Negli ultimi mesi ha promosso con altri/e la nascita del laboratorio urbano romano Reset (Riconversione per un’economia solidale ecologica e territoriale). I suoi articoli pubblicati su Comune sono QUI.
Alberto Castagnola, economista e obiettore di crescita (il suo ultimo libro è «La fine del liberismo», Carta), è animatore di reti dell’economia solidale. Negli ultimi mesi ha promosso con altri/e la nascita del laboratorio urbano romano Reset (Riconversione per un’economia solidale ecologica e territoriale). I suoi articoli pubblicati su Comune sono QUI.
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