In che epoca siamo capitati?
di Pier Luigi Fagan
In questo piccolo saggio, riprendiamo la domanda che ci facevamo otto mesi fa [1]. Questo articolo riprende i temi oggetto della Relazione introduttiva dei lavori di analisi ed approfondimento delConsiglio Nazionale del Laboratorio politico-culturale Alternativa, tenutisi a Firenze il 27-28 Ottobre 2012. La domanda è: in quale contesto storico ci è dato di vivere ?
Ci sono generazioni che capitano in stabili pianure storiche in cui non succede nulla di significativo, in cui i sistemi umani riproducono senza perturbazioni significative le forme di cui sono composti. Ci sono generazioni come quella di mio padre (1901) che trascorrono l’adolescenza nella campagna veneta a ridosso del fronte di una Guerra mondiale per poi giungere nella maturità a vivere una Seconda guerra mondiale. Ad altri è toccato il Rinascimento, il Risorgimento o la Peste del ‘300.
Di solito, a meno di non nascere nel pieno dei fenomeni transitivi o dei picchi di frizione che le transizioni producono, si entra in queste fasi trasformative senza alcuna consapevolezza di ciò che sta per succedere. Si è avviluppati a gli avvenimenti e ci si trasforma sotto la dinamica di questi, con in genere scarsa consapevolezza o con la falsa consapevolezza data dall’uso di strumenti di pensiero maturati in contesti precedenti che riapplichiamo di default nell’illusione che le verità che contenevano siano prive di condizionamento spazio-temporale. Può allora valere la pena di prendere un paio d’ali e farsi un giretto in alto, dove la vista spazia su superfici più ampie e dove ciò che accade oggi si mette al centro di ciò che è successo giusto ieri e ciò che sembra potrebbe succedere, forse, domani. In una epoca in cui impazzano i GPS, vale la pena di tracciare il nostro punto-posizione in maniera meno semplificata, cioè più “complessa”.
MUTAZIONE DEMOGRAFICA
Le considerazioni demografiche sono quasi sempre avversate da una critica anti-malthusiana. Ma forse dovremmo imparare a dividere dati ed interpretazioni perché queste ultime non sono possibili solo in ottica malthusiana. Tra le tante cose che dobbiamo consegnare al ricordo storico c'è anche questo monismo tanto dell’interpretazione, quanto della sua critica. Leggiamo dunque i dati della demografia mondiale [2] senza per questo affrettare considerazioni sulla sovrappopolazione che non abbiamo in animo di fare, non è con questa intenzione che li citiamo .
Dal 1900 ad oggi la popolazione del mondo è cresciuta del 333%, è cresciuta cioè di tre volte in un secolo. Ma gran parte di questo incremento si è verificato nei ultimi, soli, 60 anni: quasi +180%, quasi un raddoppio in poche decine di anni. La “nazionalizzazione delle masse” [3] ha formattato i popoli poiché la forma stato-nazionale che al 1950 contava circa 50 entità, oggi ne conta più di 200.
Non vi è dubbio alcuno sul fatto che, quando un insieme biologico cresce il suo volume di così tanto in così poco tempo, è la struttura stessa di questo insieme, più tutti i sottosistemi che lo compongono, a doversi riaccordare in una nuova forma generale.
Se poi questo volume sistemico, non è solo biologico, ma bio-politico-economico-culturale, l’indice di complessità dei fenomeni cresce esponenzialmente.
Più ancora delle cifre assolute sono interessanti quindi le cifre relative, cioè le cifre di cosa è successo ai diversi sistemi cultural-continentali, rispetto alla loro storia precedente e soprattutto rispetto ai loro reciproci precedenti rapporti. I sudamericani si sono sestuplicati, gli africani quasi quintuplicati, nord americani ed asiatici triplicati, gli europei (includendo l’Europa occidentale, quella orientale ed addirittura i russi) sono cresciuti, sì, ma solo a due cifre, del 78%. La Grande Europa che ad inizio secolo pesava per un quarto del mondo, oggi si è ridotta di meno della metà, dal 25% del totale mondo, al 12%.
Se scorporiamo le nazioni occidentali (EU occidentale, Nord America, Oceania anglosassone ed anche se è improprio il Giappone) che allora dominavano il mondo, scopriamo che anche qua il peso si è drasticamente dimezzato, l’Occidente o l’insieme delle nazioni a capitalismo avanzato da un quarto del mondo sono oggi poco più di un decimo. Le previsioni per gli immediati prossimi decenni accentuano i trend: asiatici ed africani saranno l’80% del mondo, 90% con i sudamericani. Un secolo fa erano il 70%. Gli europei sono i più anziani per età media, i più longevi per aspettativa di vita, sono in generale contrazione demografica, Russia, Germania, Spagna, Grecia ed Italia, sono i paesi dove questi indici sono più estremi. L’Italia è seconda solo al Giappone come aspettativa di vita (cioè come paese dei più anziani) e penultima prima del Giappone per indice di natalità. Ci stiamo semplicemente contraendo ed invecchiando sempre di più in un mondo giovane ed in espansione.
MUTAZIONI RIFLESSE NEL BILANCIO ECONOMICO
Prendendo l’opera di Angus Maddison [4], capo economista dell’OCSE che produsse i due biblici volumi della sua World Economy, possiamo estrapolare i dati sulla crescita economica in termini di Pil nel primo periodo post bellico, ovvero quello cha va dal 1950 al 1973. In quei 23 anni, il mondo intero crebbe di una spettacolare media del 4.9% annuo. Due sistemi superavano la media, Sud America ed Asia, un sistema era di poco sotto (una Europa che cresceva tanto ad Ovest 4.79%, quanto ad Est 4.85%). Anche l’Africa non andava malaccio (4.43%). Più relativamente affaticati anche perché già ricchi, cresciuti e non soggetti a quella distruzione bellica che rappresentò per l’Europa la possibilità di una successiva fase di schumpeteriana creatività, gli anglosassoni nordamericani ed oceanici (4.1%) con gli Stati Uniti però più trafelati (3.9%). Nella cabina di comando del capitalismo, esuberanti erano i giapponesi (9.3%), con dietro italiani (5.64%), tedeschi (5.58%) [5], tallonati dai francesi (5.5%). Come detto gli americani che pure finanziavano e promuovevano tali crescite, crescevano di meno (3.9%), mentre piuttosto depressa era la situazione dei vecchi padroni del mondo, i britannici alle prese con una crescita oggi invidiabile, ma nel contesto dei tempi piuttosto appesantita (solo 2.9%!).
Naturalmente gli indici di crescita sono misurati da quell’imperfetto strumento che è il Pil, sono relativi e quindi la crescita spettacolare di un paese sottosviluppato non è paragonabile a quella più moderata di una economia già pienamente sviluppata. Nessuno poi si sogna di forzare la correlazione tra popolazione e Pil sebbene la prima causa endogena di crescita naturale o contrazione sia proprio la quantità di produttori-consumatori, cioè di cittadini di quel dato sistema. Altresì, vi sono certo innumerevoli variabili che dovrebbero rendere meglio la grana fine dei fenomeni. Però… .
Però è un fatto macroscopico che all’interno dell’Occidente i perdenti crescessero più dei vincenti, gli eurocontinentali più degli anglosassoni, il resto del mondo (addirittura anche l’URSS !) più degli USA. Se ragioniamo in termini di sistema, la crescita della regione sudamericana e di quella asiatica, dell’Europa comunista ed anche di quei “occidentali degenerati” dell’ex Asse, non dovette fare un bella impressione al centro di comando dell’ordine del mondo sito a Washington e nella succursale londinese. Nel medio lungo periodo, quei trend di crescita avrebbero riassortito i rapporti di potenza verso una “grande convergenza” delle rispettive potenze nel gioco che ordina il moderno modo di stare al mondo, cioè l’economia.
L’economia del sistema mondiale non è né un perfetto gioco a somma zero, né un perfetto gioco a somma positiva ma una via di mezzo in cui certo il totale è più della somma delle parti ma la crescita di A limita la crescita di B e quella di B condiziona quella di C. Al crescere della reciproca interdipendenza, condizionamenti e reciproche limitazioni agiscono con maggiore significatività.
CHE FARE?
Chi aveva la responsabilità del perseguimento degli interessi delle potenze egemoni del sistema mondo non poté che preoccuparsi di questo stato di cose. Da preoccuparsi ad occuparsi il passo fu breve per gente così pragmatica. Già nel 1971, il presidente Nixon prende una decisione di capitale importanza per i tempi successivi.
La denuncia della convertibilità dollaro – orodell’Agosto del 1971 già da molti è stata individuata come svolta decisiva.
Analizzata sotto le più diverse lenti di analisi, motivata anche da fattori tecnici quali la pronunciata asimmetria da dollaro circolante e depositi auriferi non corrispondenti, asimmetria in cui giocarono grande ruolo i crediti in eurodollari emessi dai britannici ed in specie tramite il sistema off shore, quel passaggio forse ebbe la sua più forte ragione proprio in funzione di quanto sin qui ricostruito.
Tutto quanto succederà dopo, dal monetarismo al neoliberismo, dai quattro assi del Washington consensus all’inversione dei rapporti tra economia e finanza, ha la sua primaria condizioni di possibilità in quella decisione.
Decisione che in qualche modo risponde anche in anticipo al Rapporto del Club di Roma che uscirà come elaborazione su di uno studio del M.I.T. relativamente ai limiti della crescita appena l’anno successivo. Ecco, svicolare la moneta da ogni forma si supporto limitato (l’oro o qualsiasi altro parametro è sostanzialmente limitato) significa dotarsi di uno strumento che può crescere e produrre un certo tipo di crescita, ma senza rispondere ad alcun limite che non sia la propria volontà di produrla, il fiat money. Intorno a questa nuova potenza illimitata viene poi sviluppata una articolata strategia di contorno sul quale sarà il caso di soffermarci.
CONDIZIONI DI SVILUPPO ARTIFICIALE
L’impianto che viene progressivamente creato sembra rispondere con precisione al problema della riduzione delle condizioni di possibilità di crescita delle economie anglosassoni. Le istituzioni mondiali create a Bretton Woods sovraintendono la creazione di una meta-mercato mondiale delle merci, Fmi, Banca Mondiale, OCSE, Bank for Investment Settlement di Basilea, GATT sono istituzioni a chiara conduzione american-occidentale.
Dopo il crollo del Muro di Berlino, il GATT si trasforma in WTO. Lo scioglimento del bipolarismo post bellico, sfocia in un unipolarismo a conduzione USA che porta ad includere tutto il mondo nel mercato. Questo sviluppo sistemico è ciò che chiamiamo GLOBALIZZAZIONE.
La smaterializzazione del dollaro viene accompagnata da una sua rapida diffusione quale standard mondiale, sia per lo scambio, sia per l’accumulo.
Alan Greenspan si insedia in Fed nel 1987 ereditando una consuetudine di alti tassi che progressivamente abbassa con decisione al fine di incentivare l’indebitamento. Il Gramm-Leach-Biley Act del 1999 sostituisce il precedente Glass-Steagall Act del 1932, ora le banche sono scrigni di deposito a cui attingere per operare nella scommessa finanziaria di alto livello, operano sia a livello ufficiale, sia a livelli coperti da un ombra di ufficiosità, fuori da ogni possibile controllo. Ogni barriera alla circolazione di denaro viene rimossa a livello mondiale. Il mercato di contrattazione elettronica NASDAQ è istituito già nel 1971, una nuova stagione di potenziamento delle piazze di New York e della City fa crescere l’offerta finanziaria. Arpanet diventa Internet e l’elettronica stende una fitta rete di connessioni mondiali, sempre aperte, sempre attive. Nuovi indici, nuovi ambiti e modi di contrattazione, una poderosa inflazione di nuovi strumenti finanziari poco o per niente regolati. Tre società di rating prendono il comando dell’intelligence informativa che orienta i comportamenti di mercato.
L’off shore che alcuni ancora intendono come fenomeno folkloristico, assume altresì un ruolo strategico essenziale, tra cui quello di includere nella massa finanziaria in cerca di riproduzione la ricchezza di provenienza delinquenziale e quella che si sottrae alla tassazione stato-nazionale, creando in questi ultimi progressivi problemi di sbilancio tra spese ed entrate. Moneta infinita, banche co-produttrici di denaro, rimozione di ogni vincolo di circolazione, potenziamento dei prodotti che promettono la moltiplicazione rapida ed ingente del valore costituiscono ciò che chiamiamo DEREGOLAMENTAZIONE eFINANZIARIZZAZIONE.
Infine, una potente e ben intonata teologia economica che fa del mercato autoregolato un sistema unico di valenza planetaria, porta a ritenere necessario vendere e svendere proprietà pubbliche. E’ questo la PRIVATIZZAZIONE, motivo ulteriore di compra-vendi finanziario. L’attitudine a mettere i risparmi in Borsa, passa da un ristretta cerchia elitaria di consolidata ricchezza dei Pochi a nuova passione dei Molti. Sono milioni ora i conti correnti connessi con la nuova macchina del rendimento facile, ingente e veloce (almeno nella sua promessa).
Globalizzazione delle merci e vieppiù del denaro, deregolamentazione generale dei flussi e delle responsabilità bancarie, rimozione di ogni barriera normativa o doganale, planetarizzazione del sistema elettronico, inclusione dell’Oriente e dell’ex mondo comunista, creazione di un nuovo articolato ed effervescente mondo di finanza a libera entrata, arretramento del pubblico in favore del privato costituiscono gli assi portanti del modello conosciuto come Washington Consensus. Questo viene propagandato dall’accademia, dal mainstream della cultura economica, dalle istituzioni mondiali (Fmi, WB, OCSE, BIS, WTO) e replicato come forma ideale per ogni sistema economico nazionale del pianeta. Un nuovo grande gioco esteso all’intero pianeta richiama tutti i giocatori intorno al tavolo. Già questo è un mettere ordine.
STRATEGIA DI GIOCO
Ma chi ha promosso il nuovo gioco lo ha fatto con intenti strategici ben precisi.
Prima mossa: estendere il gioco economico a forma occidentale moderna a tutte le nazioni del pianeta poiché è sua caratteristica diventare giocoforza l’ordinatore primo delle società che a questo gioco ricorrono per organizzare il proprio fatto economico.
Seconda mossa: estendere e potenziare il gioco banco-finanziario di modo che questo condizioni il gioco economico. Si tratta di una perfetta inversione di processo che storicamente prevedeva la banco-finanza come semplice attivatore del processo economico e stoccaggio della ricchezza che questo produceva. Il nuovo processo invece prevede che la banco-finanza produca essa stessa, anche del tutto fuori dagli eventi della produzione e scambio, nuovo valore. Al contempo la dipendenza della produzione e scambio dal flusso banco finanziario diventa totale, il mercato finanziario diventa giudice di ogni intrapresa, di ogni progetto economico. Non è più tanto il successo nel mercato delle merci il paradigma, ma l’ipotesi di successo futuro anticipato nel valore di borsa.
Terza mossa: garantirsi il controllo sostanziale della macchina banco-finanziaria che controlla l’economia moderna che controlla ormai tutte le nazioni e quindi tutto il pianeta.
Le istituzioni mondiali, gli accordi internazionali, le nuove leggi di sistema, il loro corollario teorico sancito da Nobel e cattedre universitarie, il ruolo delle piazze mercato, la proprietà delle principali banche, dei fondi pensione, delle assicurazioni, dei fondi di investimento, il controllo politico sulle enclave dell’off shore non sono semplicemente in mano ad un disparato gruppo di avidi e potenti “capitalisti”, sono tutte azioni consapevoli operate prevalentemente da anglosassoni, supportati dai due governi anglosassoni. La Regina Madre parla inglese, sebbene la corte preveda la cooptazione di alacri ancelle francesi, valchirie teutoniche e geishe giapponesi. Ogni ricchezza, prodotta ogni dove, prodotta in ogni modo, da chiunque si trovi al centro delle nuove occasioni di sviluppo che siano nel Sud est asiatico, in Africa, in Sud America o nella Vecchia Europa o dalle monarchie petrolifere piuttosto che dalle oligarchie delle energie, viene immessa nel circuito che per quanto aggrovigliato termina su due soli tavoli: Wall Street e la City of London. Questa coppia diventa il “bene comune” della comunità del denaro planetario, la mente ed il cuore dell’intera macchina economica contemporanea, basata sul dollaro.
IL VANTAGGIO DEL CROUPIER
Controllare la banco finanza che controlla l’economia che controlla tutti o quasi i duecento stati nazioni in cui è ritagliato il mondo che vantaggi porta? Se tutta la ricchezza viene stoccata nel proprio sistema bancario, questo è lo scrigno del mondo e il guardiano dello scrigno diventa nostro amico. Ogni impresa banco finanziaria genera occupazione che paga con le commissioni di intermediazione. Dollaro e titoli di stato americani vengono acquistati come beni rifugio dall’intero sistema della ricchezza planetaria e finanziano così il precario deficit statunitense, deficit per gran generato dalla necessità di garantirsi il proprio incontrattabile ed irrinunciabile tenore di vita basato su un debito che mai si salderà, un debito sempre aperto.
Il paradosso poi è quella parte di deficit generato dai costi di sistema (ad esempio la spesa militare per controllare che il mondo giochi proprio a quel gioco e con quelle regole). I controllati pagano il servizio offerto dai controllori, a suo modo “geniale”.
Ma il vero vantaggio ricardiano della nuova specialità anglosassone è la gestione delle logiche del gioco che attraverso la manipolazione di una immensa massa monetaria altrimenti confusamente detta “speculazione”, crea i fenomeni su i quali scommette (profezie che si autoavverano) e se intenzionalmente diretta può comminare quei premi & punizioni con i quali si educano i comportamenti economici e finanziari di individui e nazioni.
Tutte le oligarchie, le monarchie, le élite ufficiali e criminali del mondo uniscono i propri sudati risparmi nell’off shore, comprano casa a Londra o a New York, mandano i propri figli a studiare ad Harvard ed Yale. Non c’è alcuna discriminazione etnica o selezione per la green card, basta avere qualche milione di dollari e diventi subito “anglosassone” [6].
Cooptando l’élite mondiale della ricchezza nel sistema il sistema la controlla ed essa controlla l’intero assortimento degli stati nazione dai quali proviene, così il sistema può controllare il mondo, sia con le strutture, sia attraverso il potere degli individui che compongono le élite.
Dove non arriva l’impreciso ma potente sistema, arriva la diplomazia, la politica, le istituzioni mondiali eterocontrollate.
Dove poi si annidano i più testoni, si può sempre minacciare o fare guerra, destabilizzare, accerchiare, sanzionare, affamare, disordinare.
Per i più docili invece, le dolci promesse del sogno moderno, pubblicità, cinema, cultura varia, sogni, potenza prêt-à-porter, sesso per tutti, always on, community, quarti d’ora di celebrità. E’ quella micidiale miscela di hard e soft power che J.Nye [7] chiama “smart power”.
PRIMI PROBLEMI DELLA STRATEGIA DI SVILUPPO ARTIFICIALE
Stiamo ricevendo i feedback di ritorno di ciò che è stato fatto con questo impianto strategico. Michael Spence [8]comincia col rilevare il fatto che il movimento storico di fondo, quello della progressiva convergenza di tutti i sistemi planetari ad un medium comune è inarrestabile, segue le prime perplessità sul ritorno degli effetti della globalizzazione già espressi da Dani Rodrik [9]. Emiliano Brancaccio, qui [10] rileva uno studio della EU che tra il 2008 e il 2012 conta 534 nuove misure protezionistiche, 80 recenti da parte della sola Russia neo iscritta al WTO. Si parla di nuovi piani di re-industrializzazione per Francia ed USA, gli inglesi fanno una gara internazionale per appaltare la costruzione delle loro nuove centrali nucleari, ma quando poi vincono i cinesi si domandano se è congruo affidare a possibili competitors un elemento così strategico come l’approvvigionamento energetico. L'Fmi comincia a discutere di una nuova Bretton Woods e nella campagna elettorale americana nel fronte repubblicano è comparsa l’idea addirittura di tornare al gold standard. I BRIC decidono la scorsa primavera di fondare una seconda World Bank da loro finanziata e non certo orientata dal Washington Consensus, laddove i cinesi già da tempo offrono partnership ai paesi in via di sviluppo applicando il ben più leggero Beijing Consensus, patti che ad esempio non hanno contenuti relativi a forme istituzionali specifiche, patti più stretti a semplici elementi di cointeressenze economiche, basate sul confuciano principio di reciprocità.
La lieta novella di una economia che armi e bagagli si trasferiva dall’ingombrante produttivismo appesantito dalle materie e sporcato da oliose energie, alla nuvola di bit vorticanti in cui instillare la prese di coscienza delle moltitudini desideranti si è rivelata per quello che è: un semplice delirio. In realtà l’industria si è trasferita altrove e in Occidente cominciano a comparire indici di disoccupazione a due cifre e le moltitudini si limitano a desiderare una semplice chiamata a progetto senza la quale l’affitto va in mora.
Sul piano monetario, prima o poi si ripresenterà il problema dello standard internazionale già sollevato dal banchiere centrale cinese mentre non si può più a lungo sostenere il grande disordine che impera nei mercati finanziari. Gli europei sdoganano la Tobin tax, accrescono i poteri di vigilanza sul sistema bancario, nei momenti di picco della recente crisi hanno per ben due volte sospeso le vendite allo scoperto, vero motore della speculazione in cerca di inveramento delle profezie sulle quali scommette. Germania e Gran Bretagna sono ormai separati in casa [11] e già si prevede una uscita dalla UE dei britannici. Qualche screzio sul ruolo dell’off shore è intercorso fuori dalla vista dell’opinione pubblica tra americani ed inglesi visto che il sistema bancario di questo ultimi raccoglie come gli è tradizione in piena libertà anche la ricchezza di nordcoreani ed iraniani proprio mentre gli statunitensi vorrebbero isolarli.
Su tutto, grava l’enorme massa di ricchezza senza sostanza , la ricchezza artificiale che sistema bancario e sistema finanziario hanno prodotto negli ultimi anni. Questo valore nominale a cui non corrisponde alcun valore sostanziale già segnalato come punto centrale delle crisi future dal Rapporto annuale del BIS del Luglio di due anni fa, questo valore che per volume anticiperebbe la ricchezza da produrre nei prossimi decenni, è disseminata nelle quotazioni azionarie, nei bilanci delle aziende, nei nostri conto correnti, nella trama complessiva del sistema.
Questa ricchezza nominale, andrà prima o poi riassorbita e sull’ultimo numero di Internazionale si può leggere l’articolo con cui Die Zeit ricorda già nel titolo ai suoi lettori (tedeschi) che siamo tutti “ricchi grazie ai debiti”. Saranno pure debiti dei PIIGS ma sono stati fatti anche per comprare cose dai tedeschi e l’indice delle pmi e le vendite di auto dell’industria tedesca già registrano la contrazione di domanda che diventa problema tedesco. Nell’articolo si ricorda [12] come alle prese con identico problema, il re sumero Enmetema nel 2400 a. C. dichiarò l’amargi. Traducibile anche come “libertà” l’amargi comportò la distruzione di tutti gli “assegni (tavolette incise in cuneiforme dove si registravano crediti-debiti) scoperti”, la necessaria distruzione, creatrice di un nuovo ciclo di sviluppo, cioè di debito. La stessa cosa venne fatta da Solone ad apertura di quel processo di lungo corso che via Clistene giunse poi alla democrazia ateniese di Pericle. Se il debito è la schiavitù, la cancellazione del debito è la libertà e la democrazia è riservata ai “liberi” (maschi, ateniesi).
SECONDI PROBLEMI NELLA BEN PIU’ IMPORTANTE SCACCHIERA GEOPOLITICA
Secondo molti, quanto detto già basta, questo è “il” livello di analisi, economia, finanza, capitalisti, neo liberismo, banchieri avidi, Merkel e Scheuble. La lettura del mondo in classi si soddisfa con questa fotografia. Peccato che il vantaggio comparato ricardiano, base dell’economia politica mondiale e il libro con cui A. Smith si domandava della natura e delle cause della ricchezza fosse riferito alla ricchezza delle nazioni. Già, ci siamo persi le nazioni. Quanto sin qui detto sembrerebbe impossibile senza precise disposizioni, leggi, atti politici interni ed internazionali, fatti dalle nazioni, quella americana in particolare. E gli altri ?
Il nuovo fenomeno è quello dei sistemi continentali. L’ASEAN, l’EAS, il MERCOSUR, il NAFTA, l’APEC, la stessa UE, il progettato ALCA-FTTA, l’OPEC, i BRIC più la S di Sud Africa e forse la T di Turchia, l’IBSA che è un di cui dei BRIC, la Cooperazione islamica, la Lega Araba, l’Area Araba di libero scambio, l’Accordo di Agadir, l’ECOWAS e l’Unione africana, il nuovo direttorio musulmano proposto dall’egiziano Morsi, l’Unione euroasiatica, lo SCO sino-russo, si rivedono addirittura i “non allineati”. Che succede ?
Succede che alla forma irrazionale della messa in comune di un unico mercato per tutto il pianeta, almeno per ciò che riguarda l’economia di produzione e scambio, si preferisce fare scambio con i vicini, con i più simili, con coloro con i quali si hanno interessi comuni. Alla metafisica di una economia disegnata da progettisti neoplatonici sta subentrando la fisica della storia e della geografia con le sue geometrie variabili per cui il nemico del mio nemico è mio amico, tutti insieme contro lui e poi con lui contro l’altro. I cinesi già scambiano con giapponesi, iraniani e recentemente con russi scambiandosi le rispettive monete, senza transitare per il dollaro. Tutti parlano con tutti, il mondo diventa non un piccolo villaggio ma una grande metropoli che ha più centri e più periferie. Benvenuti nell’era complessa, quella di mondo che avrà diversi poli e non più due come nel dopoguerra o addirittura uno come dopo l’’89 si celebrò nell’incauta affermazione della - fine della storia -[13]. Questo sta diventando lo scenario geopolitico che da G7 passa a G8 poi a G10 poi a G20 nel giro di pochi anni.
ECONOMIA E GEOPOLITICA AMBIENTATE
L’economia liberale e quella marxista condividono l’ottocentesca miopia del contesto. La macchina economica come le monadi leibniziane, non ha né porte, né finestre. Chissà di cosa si nutre e dove si prende l’energia che la alimenta ? Un economista di origine rumena [14] suggerisce che questo impianto è soggetto al Secondo principio della termodinamica, ma oltretutto non è un sistema isolato bensì ambientato su di un palla di terra, aria, acqua e fuoco non infinita, come già ebbe a notare il buon Empedocle da Agrigento.
Così il modello di sviluppo artificiale e il nuovo Risiko multipolare, si ambientano in uno scenario che apporta ulteriori problemi.
Preleviamo sempre più acqua dal ciclo di superficie, da falde sempre più profonde, addirittura da riserve fossili, si annunciano crisi intorno ai bacini idrici (laghi, grandi fiumi che attraversano più nazioni e dove basta che quella a monte metta una diga per assetare quella a valle che le dichiarerà guerra) e i seguaci del problematico rapporto tra bisogni e risorse scarse con usi alternativi [15] sbavano per privatizzarla.
Si va a grandi falcate verso ripetute crisi alimentari, a sbilanci tra popolazione e territori che spingono sempre più il fenomeno del land grabbing, il tutto peggiorato da i contratti di assicurazione e dalle speculazioni operate dal sovrastante mercato finanziario che ha per oggetto le materie prime. Lematerie sono sempre più richieste, quindi sempre più scarse, così le energie. Tutte le vogliono ma non tutti le hanno. Gli sviluppati inquinano da decenni e sembrano non possano farne a meno, gli sviluppandi anche, ma se tutti continuano così questione di anni (mesi?) e ci ritroviamo nell’inferno delle temperature, della dislocazione dei climi, nella crescita del livello delle acque nel mare che inondano coste su cui vivono e producono popolazioni a cui non rimarrà che la migrazione forzata di massa, magari a casa nostra. Regolare le questioni con la guerra non sembra una buona idea visto le ben nove potenze nucleari e la sterilità delle supermacchine belliche che vincono facile ma poi non permettono il controllo di alcun territorio. Un bel casino, non c’è che dire.
LINEE DI FRATTURA
Questo variegato insieme di forze stanno agendo come la tettonica a zolle, facendo a volte scivolare l’un contro l’altro i continenti, altre volte aprendo distanze dove prima c’erano vicinanze.
La prima possibile frattura è quella tra ilmondo del capitalismo storico e ilmondo affluente con i suoi vivaci nuovi interessi di affermazione ed espansione. Ma non è affatto detto che il vecchio mondo capitalista sia esente a sua volta da possibili fratturazioni interne.
Sono finiti i tempi dei “portatori di civiltà” che dominavano il mondo con mitragliatrici a nastro contro archi e frecce.
Questo complica la vita di ognuno ed ognuno cercherà la sua miglior strategia di stare al mondo. Il Giappone ormai non può certo ignorare la Cina, la Corea, le prospettive asiatiche.
Gli stessi Stati Uniti hanno ormai lo sguardo rivolto più al Pacifico che all’Atlantico. L’eurozona e la Unione europea sono due insiemi non coincidenti e la deriva dell’eurocontinente rispetto all’isola britannica è sempre più pronunciata. La Germania non è un mistero che guardi ad est e la vecchia solidarietà atlantica, in termini geoeconomici oltreché geopolitici e militari, non è che abbia più tanto senso.
Ma già manifeste sono altresì le tensioni sullo stato-nazione europeo e non solo. Annunciata dal crollo della ex Jugoslavia, dalla separazione tra cechi e slovacchi, le riformattazioni di sovranità si annunciano in Belgio, in Scozia, in Catalogna, nelle mai domata Corsica, nella terra basca, forse anche in Italia. Anche fuori dall’Europa, l’affrettata nazionalizzazione in Africa (si veda anche il recente caso libico) promette nuovi frizioni e le nuove condizioni del mondo porranno molti problemi alle nazioni di piccola e media entità che non si basano su un chiaro profilo di una qualche specialità. Entità come la Cina e l’india, ma anche Russia, Brasile e Stati Uniti dicono di una megafauna che anche solo per ragioni dimensionali, siano esse popoli o territori, si pongono ad un livello di competitività inarrivabile per entità di 50, 20, 10 o anche meno, milioni di abitanti.
IN CHE EPOCA SIAMO CAPITATI ?
Beh, sembra che si sia capitati in tempi, diciamo così, “interessanti”. La principale forza trasformante è la poderosa inflazione demografica planetaria, una crescita non voluta ma accaduta per modi e tempi, in maniera eccezionale. Una crescita dataci come frutto imprevisto dallo stesso successo del capitalismo che ha esteso al mondo un po’ più di igiene, salute, alimentazione, provocando non tanto boom di nascite ma allungamento della vita media.
Il mondo nuovo è radicalmente diverso da quello che conoscemmo nella lunga sequenza che parte dal ‘400 ed arriva alla fine della Seconda guerra mondiale. Questa transizione al mondo nuovo segna lamessa in crisi dell’intero pacchetto della civilizzazione occidentale fatto di modernità, capitalismo, stato-nazione.
Questa crisi è anche la crisi complessiva del mondo di stare al mondo occidentale. I rapporti tra sistema occidentale e resto del mondo dovranno subire una radicale e profonda revisione poiché non sarà più in alcun modo possibile agire una gerarchia fissa e totale per la quale il mondo bianco domina quello di tutti gli altri colori.
L’economia politica e poi la scienza economicasono nate proprio all’interno di quel contesto di dominazione gerarchica per il quale l’intero pianeta tributava materie, energie, uomini e mercati al fine di permetterci l’ordine del capitale, del moderno, della potenza stato nazionale. Tale contesto è stato dato per naturale, non compreso nella teoria e non osservato nelle sue trasformazioni.
Ancora di recente, di fronte al disastro epistemico di una “scienza” che non ha letto nessuna avvisaglia della recente entrata in crisi dei nostri sistemi economici, si è poi a posteriori prodotto una serie di analisi che tutte, invariabilmente, cercavano cause e ragioni esplicative all’interno del sistema, dei suoi principali attori, dalla compressione del saggio di profitto alla recrudescenza del virus dell’avidità umana e non già al suo esterno o quantomeno nel rapporto tra sistema e contesto.
Il sistema economico occidentale sembra non avere la minima idea di quanto dipendesse dal dominio che le nazioni in cui era ambientato e protetto esercitavano sul resto del mondo.
La distribuzione della ricchezza internamente ai sistemi occidentali era certo ineguale e basata sul dominio di classe ma complessivamente l’Occidente era a sua volta la classe dominante del condominio planetario. Dovendoci oggi resettare alle ben diverse dimensioni di quantità e qualità che ci fanno essere una parte di un diverso sistema più generale dovremmo vedere cosa significherà perderne il controllo, il peso e la posizione dominante. Al momento, quello che si vede è la cieca ostinazione delle élite dominanti di non arrendersi neanche di fronte all’evidenza.
Scaricare la Grande Contrazione su i grandi numeri delle popolazioni occidentali è semplicemente stupido, significa non aver ben capito di quale sistema si era la gerarchia, tornare all’introduzione del IV° capitolo dellaRicchezza delle nazioni di Smith potrebbe illuminare queste Marie Antoniette adagiate sulle loro soffici brioches. Ma forse no, perché al di là della proiezioni che queste élite hanno della loro autoimmagine, esse non sono affatto illuminate e quindi non sono soggette ad illuminazioni.
La cifra del mondo nuovo è laredistribuzione. Così come agisce una redistribuzione tra sistemi – civiltà, dovrebbe agire una potente redistribuzione all’interno della civiltà occidentale e tra le classi sociali che compongono le nostre società stato-nazionali. Negli ultimi anni, la distribuzione di ricchezza interna alle nostre società è invece andata in senso inverso verso lo stretching dell’indice di Gini. Questo rompe l’ordine sociale e quando oltre il concetto di iniquità si continua pervicacemente ad allungare la società tra i Pochi assediati nelle loro cittadelle del privilegio dai Molti smarriti, incerti, impoveriti e insicuri, il destino di disintegrazione sociale è profezia facile.
Ma forse per noi occidentali, il problema è financo più grosso. Oltre un certo limite di dimensione infatti i sistemi non si possono contrarre proporzionatamente ma debbono riformularsi per trovare il loro ordine funzionale nelle nuove condizioni di possibilità. Tanti ed impegnativi sono quindi i punti messi in questione.
UNA EPOCA DI QUESITI DA SCIOGLIERE
Il primo quesito che la nuova realtà ci pone è all’interno di quale veicolo geo-istituzionale pensiamo sia meglio annidarci, di quale sistema intendiamo far parte. C’è chi vorrebbe scomporre l’Europa in entità locali fondate sulle pratiche di territorio e su forme di democrazia reale, partecipata, più diretta e coinvolta. Quasi tutti coloro che aspirano a questa nuova forma di riterritorializzazioneaggiungono a questo disegno neo-municipalista le loro monete locali e la successiva necessità di confederarsi, ma fino a che livello ? C’è chi vorrebbe scomporre l’ibrido dell’eurozona in un ritorno alle forme stato-nazionali sovrane almeno in termini di moneta. Qui agisce una sorta di condivisione speculare del nuovo paradigma monetarista che ha postulato essere la moneta il vero dominus di ogni sistema economico, non possedendo la moneta è illusorio pensare qualsiasi decisione di sovranità sul proprio modo di stare al mondo. Si può dunque sciogliere l’euro in 17 nuove monete nazionali o tenercelo come moneta di scambio internazionale con oscillazioni di cambi per le nuove monete nazionali. Secondo altri che annunciano il nuovo verbo del fiat money con la stessa intensità che in genere hanno i convertiti ad un nuovo credo, si potrebbe stampare moneta socialmente utile senza provocare inflazione e starsene ognuno ben felice a casa sua, chissà poi come regolando gli scambi inter-nazionali.
Altri ammettono necessario creare sistemi ma sistemi possibili e non impossibili come l’attuale eurozona. Spagna, Grecia, Italia, Portogallo forse Irlanda ma senz’altro con l’indispensabile Francia da una parte, quelli del Mare del Nord dall’altra, magari con oscillazioni prelimitate tra l’euro dei poveri e l’euro dei ricchi. Altri ancora ammettono necessario creare sistemi ma hanno una idea tutta loro, di cos’è un sistema. Sognano allora unioni spericolate con nord africani ed europei dell’Est, nella quale l’Italia possa essere finalmente risultare prima, sebbene prima tra gli ultimi.
Ultimi arrivano coloro che sognano una rifondazione europea ritenendo necessaria una forma sistemica ampia e resiliente per stare nel mondo nuovo fatto di moltissime entità, alcune delle quali domineranno proprio in funzione della loro dimensione, per ora quantitativa ma sempre più anche qualitativa. Costoro si accontenterebbero di una costituzionalizzazione, democratizzazione e parlamentarizzazione della forma europea, sebbene oggi l’idea di devolvere completamente le sovranità ad una nuova casa comune continentale non sia quella più trendy.
Molte di queste ipotesi leggono il problema dell’euro e ne tentano una soluzione appunto monetaria. Ma le monete stanno al sistema economico come questo sta a quello sociale, quello sociale a quello politico e quello politico sta a quello geografico, a quello storico ed a quello culturale e tutti stanno a quello planetario, affollato, competitivo, a corto di risorse, inquinato e del tutto alieno dal considerare il pianeta una unica e complessa unità di analisi. Avendo un problema strutturale con l’economia, forse non è agli economisti che dovremmo chiedere le soluzioni tanto quanto il problema della civiltà euro-medioevale non venne certo soluta dai religiosi dediti al rogo in piazza per esorcizzare la loro riduzione di potenza. Forse la politica ?
Già, la politica, la cosa che si occupa della polis, della comunità, del sistema dello stare assieme. Qui il quesito è capire quale forma istituzionale dare alle nostre relazioni politiche. Il sistema rappresentativo parlamentare risulta corroso da una crisi non meno profonda di quella che mina lo stato nazione e il capitalismo occidentale. Non è per nulla strano visto che le tre forme sono nate assieme ed hanno convissuto ad ordine della società per più di quattro secoli (così a lungo almeno per i britannici che sono i demiurghi del sistema).
Questo sistema che per confondere le acque ha scritto sulla sua etichetta – democrazia – è un ibrido. Se seguiamo la definizione che ne diede A. Schumpeter ovvero di élite in reciproca competizione per assicurarsi i voti di delega del popolo spettatore, esso si configura come una oligarchia soggetta al favore generale democraticamente espresso.
Può degenerare in ogni momento sia verso forme di oligarchia pura con sospensione del pur timido favore democratico, oligarchie tanto politiche che tecnoratiche, sia addirittura verso forme di monarchia o dittatura sempre attuali quando si manifestano alti gradi di disordine sistemico. Ma molti auspichino invece che si evolva verso la soppressione delle oligarchie, caste, mafie, élite in favore di una nuova stagione democratica, una stagione che rifiuti le considerazioni fatte sulla democrazia dai liberali dell’ottocento e si rivolga invece a gli antichi ateniesi magari attualizzati dalle nuove forme di comunicazione elettronica, che già tanto avrebbero dovuto fare e non hanno fatto per le nostre economie.
Già le economie, l’oikos-nomos, la legge che governa la casa, il dar riparo, da vestire e da mangiare. Qui il quesito è di nuovo quali forme dare ad una nuova possibile economia complessa. Stretti dai limiti ambientali e geopolitici, disillusi dalle élite economiche che non hanno alcuna illuminazione ed anzi sembrano avere un punto cieco di visione di quel sistema primario che è la società, strapazzati dalla anomica ed impredicibile logica irrazionale dei mercati banco-finanziari, ci tocca ripensare la faccenda daccapo. Che noi si sia in contrazione stabile non vi può essere alcun dubbio, che sia recessione prolungata poi adagiata in una stabile depressione o che sia una decrescita partecipata che riassetta, riequilibra, riconverta le forme economiche in funzione di quelle sociali, ambientali, politiche e geopolitiche è in pratica la biforcazione davanti alla quale sostiamo dubbiosi.
Una cosa è certa, le società fondate sul lavoro, al contrarsi del lavoro, debbono sia dare risposta a come lavoriamo ma anche al quanto lavoriamo. Si producono troppe cose, cose del tutto inutili, cose per produrre le quali facciamo guerre e distruggiamo l’ambiente stesso nel quale viviamo. Molto si può migliorare in termini di finalità produttiva ma forse è giunto il tempo di riconsiderare interamente la forma – lavoro quindi sono –. Ridurre, riconvertire, redistribuire, questi i tre assi portanti della prossima trasformazione necessaria.
SIAMO CAPITATI NELL’EPOCA IN CUI DOBBIAMO DECIDERE COME STARE AL MONDO
Il significato profondo di questa transizione sembra essere tutto qui. Nel corso del tempo ci siamo affidati alla forza delle armi, al nostro credo religioso, alla presunta superiorità delle élite di ogni tempo e luogo, alla complessa forza di autoorganizzazione data dai sistemi economici moderni. Ma il mondo era semplice, un modo poteva valere l’altro, gli orizzonti erano infiniti, i vicini erano lontani, le società piccole e semplici da governare da una qualche forma di gerarchia, i più forti avevano gioco facile a nutrirsi dei più deboli. Oggi gli orizzonti sono finiti, siamo tutti vicini e sempre più interrelati ed interdipendenti, le società molto complesse e le cose non funzionano più come una volta. Siamo chiamati in primis ad occuparci proprio del mondo, di noi nel mondo. Quello che non è più ammesso è pensare che ciò che riteniamo giusto sia anche il possibile, non sempre è possibile specie immediatamente passare da un sistema complesso A che è reale e costruito per tentativi ed errori lungo i secoli ed un sistema complesso B che è ideale e costruito tutto nella nostra domestica rete neuronale. Quello che non è più ammesso e seguire una voce, uno slogan, una semplificazione che ci da l’illusione di aver capito il problema e di poterlo maneggiare insieme ad un manipolo di rivoltosi autoproclamatisi avanguardia dei Molti.
Soprattutto dobbiamo vietarci di affrontare le cose complesse da un solo punto di vista. La cosa più urgente è anche la più difficile, leggere la crisi come crisi ontologica di un sistema ed immaginare un nuovo sistema, fatto di terre, popoli, monete, economie, culture, religioni, forme politiche, generi, materie, energie, testi e contesti, linguaggi non le une appiccicate alle altre ma le une interrelate alle altre in un groviglio che funzioni. Funzioni significa che ci adatti ai tempi nuovi che ci vengono incontro a passo svelto.
L’alternativa ci è chiesta in questa nuova forma complessa e ci è chiesta in fretta. Saremo all’altezza ?
NOTE:
- http://www.megachip.info/tematiche/democrazia-nella-comunicazione/7805-siamo-alla-fine-di-quale-tempo.html
- UN Report 2004.
- George Lachmann Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Il Mulino, Bologna, 2009.
- Angus Maddison, The World Economy. A Millennial Perspective (Vol. 1). Historical Statistics (Vol. 2), OECD 2006.
- Spettacolare conferma del principio della distruzione come condizioni di possibilità della nuova creazione, i tre stati dell’Asse, guidarono la crescita mondiale post bellica.
- Addirittura i sovietici, preoccupati a suo tempo dalla Guerra fredda, tolsero i loro depositi in dollari da New York e li trasferiscono negli off shore britannici, veri paradisi della fine delle ideologie.
- Joseph S. Nye jr, Smart Power, Laterza, Roma-Bari, 2012.
- Michael Spence, La convergenza inevitabile, Laterza, Roma-Bari, 2012.
- Dani Rodrik, La globalizzazione intelligente, Laterza, Roma-Bari, 2011.
- http://www.megachip.info/tematiche/kill-pil/9145-brancaccio-protezionismo.html.
- http://www.nytimes.com/2012/10/24/world/europe/contrasting-visions-of-the-european-unions-future.html?_r=0.
- David Graeber, Debito. I primi 5000 anni. Il Saggiatore, Milano, 2012.
- Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano, 2003.
- Nicholas Georgescu-Roegen, colui che diede la prima definizione di decrescita. Tra gli altri si veda Georgescu Roegen, N., Bioeconomia, Bollati Boringhieri, Torino, 2009.
- E’ questa più o meno la definizione di economia data da Lionel Robbins nel 1932 ed oggi universalmente in uso nei dipartimenti della disciplina: «Economics is the science which studies human behaviour as a relationship between ends and scarce means which have alternative uses» (che in qualche testo italiano è stata tradotta così: «L'economia è la scienza che studia la condotta umana nel momento in cui, data un graduatoria di obiettivi, si devono operare delle scelte su mezzi scarsi applicabili ad usi alternativi.»)
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