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venerdì 1 novembre 2013

L'ARGENTINA E' UN DISASTRO: LA KIRCHNER STA MENTENDO

La signora Cristina Kirchner incassa una dolorosa sconfitta alle elezioni di medio termine argentine, lasciando forse di stucco anche i suoi fan italiani, che vedono in Buenos Aires un modello da seguire per risollevare le sorti del Belpaese.


Appare incomprensibile che un Paese che sotto la dinastia Kirchner ha registrato un' elevatissima crescita reale media annua dal default del 2002 abbia deciso di voltare le spalle a chi ha causato un decennio di benessere e prosperità.

Semplicemente le cose non stanno così come le statistiche del governo vogliono far credere, e gli argentini hanno deciso di punire il presidente perché le condizioni di vita reali sono peggiori di quanto le statistiche fanno credere. Detto altrimenti, gli argentini non credono più alle favole raccontate dall'INDEC, l'istituto di statistica locale.

Il motivo per il quale l'Argentina registra una crescita tanto elevata non è dovuta alla forza dell'economia, ma solo ad una inflazione semplicemente falsa. Il tasso di crescita del PIL reale infatti è uguale approssimativamente alla differenza tra il tasso di crescita nominale meno il tasso di inflazione: se quest'ultimo è tenuto artificiosamente basso risulta essere evidente che il tasso di crescita reale sarà di conseguenza artificiosamente alto.

Abbiamo prove per dire che il tasso di inflazione è falso? La risposta è sì, e non è necessario far riferimento ai nemici dell'Argentina, come i turbocapitalisti del FMI che, come noto, sono controllati dalla Trilaterale di Alpha Centauri. Faremo invece riferimento alle statistiche ufficiali argentine, che troviamo sul sito della Banca centrale, ovvero in questo comodo pdf.

Nel 2012 il PIL nominale argentino (a pagina due del PDF, PIB nominal) è aumentato del 17,5%. Per ottenere la crescita reale (in via semplificata) sottraiamo il deflatore del PIL (Índice de Precios Implícitos del PIB), che è pari al 15,3%, e otteniamo il tasso di crescita reale approssimato, ovvero il 2,2% (il "vero" tasso di crescita reale, cioè non approssimato, è 1,9%, come indicato nella riga PIB real).

Il problema risiede nel deflatore del PIL, che non risulta essere coerente con altri dati presenti nello stesso documento, in particolare è incoerente con tre misure: l'indice dei prezzi al consumo (Precios Minoristas), gli aggregati monetari (in particolar modo M2 e M3) e l'indice dei salari (Indice de Salarios Nivel General). Andiamo con ordine.

L'indice dei prezzi al consumo (CPI) e il deflatore del PIL sono misure dell'inflazione basate su panieri diversi: in quanto tali non sono necessariamente uguali, ma si muovono comunque insieme. Normalmente i due numeri differiscono di un punto percentuale, anche se il differenziale, in periodi particolarmente difficili, può essere anche più elevato, ma si tratta di una situazione momentanea. Nel caso argentino, invece, come si legge nel documento, il differenziale fra CPI e deflatore è elevato: nei tre anni considerati (ma il discorso è valido anche per gli anni precedenti) è del 4,5%, 7,8% e di nuovo 4,5%. I due numeri, insomma, rimangono troppo distanti per troppo tempo rispetto a quanto ci aspetteremmo.

Un altro indizio ci viene dal confronto dei due numeri precedenti con la crescita degli aggregati monetari (ovvero quanta "moneta" è presente nel sistema economico): per i nostri scopi useremo M2 (ma anche M3 ci racconta la stessa storia). Grossomodo, se aumenta l'offerta di moneta (specie quando essa aumenta troppo velocemente), è possibile che vi sia un aumento del tasso di inflazione. Una crescita di M2 costantemente intorno al 30% (nel 2012 addirittura al 39%) è completamente incoerente con un deflatore del PIL al 15% o con un CPI addirittura al 10%. Questo confronto ci fa sospettare che l'inflazione reale è probabilmente più alta, ed in aumento (forse oltre il 30% nel 2013).

La prova definitiva che qualcosa non quadra proviene dall'indice dei salari: qui la Banca centrale argentina ci propone un grafico (pagina 1 del documento) in cui vengono messi a confronto la crescita dei salari e la crescita dei prezzi. Il grafico ci dice che sono stati concessi aumenti salariali del 24,5% contro un indice dei prezzi al consumo del 10,8%, ovvero i salari reali sono aumentati di oltre il 10% solo nel 2012, ma guardando il grafico si nota che la crescita a due cifre del salario reale va avanti da anni. Si può dire che ogni anno l'argentino medio può comprare il 10% del pane in più rispetto all'anno precedente: significa che l'Argentina è un paradiso terrestre per i salariati, gli esseri umani di tutto il mondo dovrebbero spingere ai confini per esservi ammessi e che la signora Kirchner dovrebbe vincere a mani basse qualunque elezione.

Non è però accaduto niente del genere, e la Kirchner è in difficoltà, a significare una cosa molto semplice: il dato sull'inflazione rilasciato dal governo è falso, e come tale sono false tutte le misure che coinvolgono tale dato, e gli argentini cominciano a capirlo (purtroppo buttandosi nelle braccia dell'ennesimo peronista di passaggio).

Il dato che maggiormente si avvicina al tasso di inflazione reale è probabilmente l'indice dei salari: i sindacati, anche quelli vicini al governo, sanno benissimo qual è il reale costo della vita in Argentina, sanno bene che il prezzo del pane non aumenta (per esempio) del 10% l'anno, ma anche del doppio, e per questo chiedono aumenti salariali "veri", e li ottengono, perché è l'unico modo che il governo ha di evitare proteste apocalittiche. E per trovare i soldi necessari la Kirchner, semplicemente, aumenta l'offerta di moneta: per dirla in modo volgare (e semplificato), stampa soldi.

Possiamo verificare se il ragionamento fila: il PIL può essere calcolato anche come la somma dei redditi e dei profitti prodotti nello Stato. Il salario reale, di solito, si muove insieme (più o meno) al PIL reale, ovvero dovrebbe aumentare dell'1,9%: questo ci dà un tasso di inflazione (CPI) secondo i sindacati del 22,6% nel 2012, più alto sia del deflatore che del CPI ufficiale e più coerente con la crescita degli aggregati monetari, che ci dicono che l'inflazione dovrebbe essere intorno al 25%.

Un ultimo passo: se ipotizziamo che il deflatore sia uguale al CPI, e che entrambi siano uguali al tasso di inflazione registrato dai sindacati risulta che la crescita reale del PIL non è stata dell'1,9%, bensì finisce in abbondante territorio negativo. Forse questa stima è troppo pessimistica, ma concorda con la crescente impopolarità della Kirchner nonostante statistiche economiche ottime. L'inflazione (quella vera, non quella ufficiale) gonfiata dalle banconote sempre fresche spacciate dal governo sta rendendo gli argentini sempre più miserabili.

Dal default del 2001 l'Argentina ha effettivamente recuperato un po' del terreno perduto, tuttavia, da circa il 2007, il governo ha cominciato a fare i conti con gli squilibri relativi a una tale crescita semplicemente "sbianchettando" le statistiche e fissando tassi di cambio ufficiali con il dollaro fuori dalla realtà. Secondo gli economisti dell'opposizione, l'Argentina è più indietro del 10-15% rispetto ai dati ufficiali che il governo continua strenuamente a spacciare per reali, ma altri osservatori, aggiungendovi anche il tasso di cambio, sospettano che la situazione sia anche peggiore.

Da allora la situazione è migliorata, se così si può dire, solo grazie a pesanti iniezioni di sussidi pubblici pagati con soldi freschi di stampa, di saccheggi ai danni della banca centrale e dei fondi pensione, fino alla nazionalizzazione di aziende e alla costruzione di un muro valutario per difendere il peso fino a giungere a una mostruosa restrizione delle libertà personali.

L'Argentina ha dimostrato di avere molta fantasia nell'allontanare da sé l'amaro calice della realtà, ma si tratta di mezzucci che spostano solo la resa dei conti più in là nel tempo, e con effetti sempre più effimeri: l'inflazione sembra spingere per aumentare il numero di cifre che la compongono, sfuggendo al controllo del governo e sfociando nel caos.

C'è di peggio: allo stato attuale, le correzioni che dovrebbero essere adottate (ovvero una paurosa stretta) rischiano di infliggere ulteriore dolore agli argentini, il che porterebbe il Paese allo stesso esito, ovvero al caos.

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