Ma perché le sinistre non si svegliano e non si rendono conto che il loro forsennato europeismo monetario le rende deboli e perdenti di fronte ad una destra che è sì populista e reazionaria, ma è anche pronta a staccare la spina dell’euro?
D. Professor Brancaccio, c’è o non c’é la “luce” di Passera e Monti?
R. Più volte abbiamo sentito esponenti di governo affermare che la crisi stava per finire. Già nel 2009 lo diceva Berlusconi… Non mi risulta che Monti e Passera abbiano elementi nuovi per rendere il loro ottimismo più credibile di quello dell’ex Premier. Le previsioni delle istituzioni internazionali parlano chiaro: a fine 2012 il Pil sarà caduto di altri due punti, e nemmeno per il 2013 si intravede una ripresa.
E come ha fatto Monti a far dire a Moody’s che l’Italia era in gran forma?
Le agenzie di rating hanno commesso errori colossali e hanno perso molta credibilità, in questi anni. I loro pareri sono tuttora utilizzati per fini di lotta politica interna ma la reale capacità delle agenzie di influenzare gli andamenti del mercato è ormai modesta.
Quali sono le novità della crisi allora?
L’unica vera novità di questa estate è la presa di posizione del presidente della Banca centrale europea: Draghi ha dichiarato che farà tutto ciò che è in suo potere per salvare l’euro, ed ha aggiunto che riuscirà nell’intento. Queste parole hanno messo gli speculatori in stato d’attesa e l’annunciata vendita in massa di titoli per il momento non è avvenuta. Molti ritengono che la dichiarazione di Draghi sia stata decisiva e abbia definitivamente scongiurato il pericolo di implosione della zona euro. In realtà la posizione della Bce nasconde una gigantesca contraddizione interna.
Quale?
La Bce è disposta ad acquistare i titoli dei paesi periferici solo a condizione che questi paesi proseguano con le politiche di austerità e di abbattimento del debito. Questa condizione genera una incoerenza logica: come stiamo osservando in Grecia, ma anche in Italia, le politiche di austerity non aiutano a risanare i conti. Al contrario deprimono i redditi e quindi rendono sempre più difficile il rimborso dei debiti, sia pubblici che privati.
Alcuni osservatori dicono che in realtà l’insistenza sul “rigore” corrisponde al disegno tedesco – uso una parola forte – di schiavizzare i paesi più deboli. E’ d’accordo anche lei?
Di sicuro stiamo assistendo a quello che in gergo tecnico si definisce un processo di “centralizzazione” dei capitali europei, che favorisce soprattutto la Germania. Costringere i paesi periferici della zona euro ad attuare politiche di austerity significa aggravare la loro crisi e peggiorare la loro posizione debitoria. Di questo passo tali paesi si vedono costretti a far fronte ai debiti vendendo a prezzi di sconto gran parte del patrimonio nazionale, pubblico e privato: immobili, partecipazioni azionarie in aziende strategiche, banche, magari persino le isole e altri beni demaniali. Per chi dispone di molta liquidità si creano quindi grandi occasioni per fareshopping a buon mercato nei paesi periferici. E la liquidità, guarda caso, è abbondante soprattutto in Germania.
Ci sono resistenze da parte dei governi dei Piigs? C’è davvero l’asse Monti-Hollande?
Se c’è non mi pare che funzioni. Del resto, per la cultura che incarna, il professor Monti sembra più incline ad assecondare i processi in corso che a contrastarli. Solo per citare un esempio, per Monti la vendita di capitali nazionali a favore di acquirenti esteri deve ritenersi un fatto positivo, addirittura taumaturgico. Eppure basterebbe guardare all’esperienza italiana degli anni ’90 per capire che le acquisizioni estere non portano sempre benefici ma anzi possono fare molti danni al tessuto produttivo di un paese.
Tuttavia c’è chi si augura una riedizione del governo Monti dopo le elezioni…
E’ l’auspicio di chi è disposto a tenere l’Italia nella zona euro a tutti i costi. Monti viene presentato come un baluardo intorno al quale riunirsi per impedire la vittoria delle forze anti-euro. A sinistra questa linea d’azione fa presa. Il motivo è che le forze di sinistra appaiono soggiogate dall’idea che l’euro, nonostante le sue enormi contraddizioni, rappresenti una conquista alla quale non è possibile rinunciare. Nel nostro libro cerchiamo di spiegare che questo atteggiamento è il frutto di un liberoscambismo acritico che da tempo pervade la sinistra, moderata o radicale che sia. Il problema è che questa posizione politica potrebbe rivelarsi fallimentare. Per come attualmente è configurata, l’Unione monetaria europea alimenta la crisi dei paesi periferici e fa esplodere i licenziamenti e le bancarotte. In uno scenario simile, le forze politiche che propongono l’uscita dalla moneta unica e magari anche dal mercato unico europeo sono destinate a veder crescere i loro consensi, a danno soprattutto di quelle che hanno scelto di arroccarsi in difesa dell’Unione.
Berlusconi l’ha imbroccata giusta allora, quando ha detto che l’Italia potrebbe uscire dall’euro…
Al di là della sua rilevanza, quella dichiarazione è un sintomo del fatto che le forze di destra appaiono più pronte delle forze di sinistra a gestire l’inasprimento della crisi e ad elaborare, di conseguenza, una eventuale strategia di uscita dall’euro. Questo appiattimento delle forze di sinistra in difesa dell’Unione monetaria è un fatto sconcertante, che tra l’altro deprime la loro stessa capacità di agire dialetticamente per riformarla. Leggo che Bersani tuttora insiste con l’idea che il suo partito resterà fedele all’euro a tutti i costi. Mi rincresce notare che anche le altre forze della sinistra considerano l’euro un totem indiscusso. In questo modo, però, ci si appiattisce inesorabilmente sulla linea dei già numerosi pasdaran del montismo. Io credo invece che la sinistra, per restare fedele a sé stessa e maggiormente ancorata alla realtà della crisi, dovrebbe dichiarare che esiste un limite ai sacrifici che si possono imporre a un paese in nome della permanenza nella zona euro. Lasciare soltanto alla destra e alle forze cosiddette populiste la elaborazione di una eventuale strategia di uscita è un errore che potrebbe rivelarsi fatale.
di Nanni Riccobono
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