Professoressa lei è nota per essere una sostenitrice del reddito di cittadinanza. Di cosa si tratta esattamente?
“Ci sono varie forme di reddito di cittadinanza. In generale possiamo definirlo come una soglia minima di reddito garantita a tutti i cittadini. In Europa, fin dalla fine della seconda guerra mondiale, il welfare ha visto come oggetto delle sue azioni il cittadino indipendentemente dalla sua condizione lavorativa. In Italia invece ha prevalso un approccio diverso e l’obiettivo della tutela non è stato il cittadino ma il lavoratore. Negli anni ’60 e ’70 questo significava tutelare principalmente il marito capo famiglia e questo andava bene sia alla visione familistica della Democrazia Cristiana che a quella lavorista dei partiti della sinistra”.
Da quel periodo storico sono però passati tanti anni. Possibile che non sia cambiato nulla?
“Nel 1992 c’è stata una direttiva europea che invitava tutti gli Stati a varare misure di sostegno al reddito delle persone ma in Italia la direttiva non ha avuto seguito nel senso che tutto è rimasto invariato. Il welfare anche oggi continua a rimanere concentrato sulla tutela del lavoratore. Per certi aspetti è stata una via obbligata”.
In che senso?
“Nel welfare italiano le forme principali di assistenza sono due: la cassa integrazione e il sussidio di disoccupazione. Entrambe sono corrisposte non su base generalista fiscale, come avviene negli altri paesi, ma su base assicurativa. L’impresa, e in parte i lavoratori, pagano ogni mese un premio assicurativo ovvero i famosi contributi sociali. Il sussidio però viene concesso solamente quando si verificano i requisiti per l’accesso alla cassa integrazione o alla disoccupazione. E’ noto che le assicurazioni guadagnano sempre, è un fatto matematico probabilistico. Anche la parte di bilancio dell’Inps relativa ai contributi per gli ammortizzatori sociali è in attivo e a partire dagli anni ’80 è servita per finanziare il passivo che invece si registrava sul lato pensionistico”.
Negli altri paesi europei il reddito di cittadinanza sostituisce integralmente gli ammortizzatori sociali che abbiamo in Italia?
“Sì, tranne il sussidio di disoccupazione che quasi ovunque viene erogato assieme al reddito di cittadinanza per un periodo più breve di quanto avviene in Italia. Anche negli altri Stati europei il sussidio di disoccupazione è su base assicurativa".
In termini economici a quanto ammonta il reddito di cittadinanza?
"Non è semplice quantificare una somma perchè le forme di supporto sono varie. Escluso i paesi scandinavi, che sono un mondo a parte, in Europa il sistema più generoso è quello belga. Un cittadino del Belgio che perde il lavoro percepisce l’80% del reddito precedente fino a quando usufruisce del sussidio di disoccupazione e il 47% quando percepisce il solo reddito di cittadinanza. Il sistema meno generoso è invece quello britannico. In questo caso le percentuali di copertura del reddito precedente sono del 62% e del 40%. Il sistema del Regno Unito è comunque migliore di quello italiano che assicura una copertura del 67% con il sussidio di disoccupazione e del 18% senza".
Un cittadino britannico a cosa ha diritto quando rimane senza reddito?
"Come ho detto inizialmente il reddito di cittadinanza non tutela la perdita del lavoro ma il cittadino in quanto tale. Per cui nel Regno Unito ogni cittadino maggiorenne che decide di lasciare la propria famiglia percepisce l’equivalente di 300 euro come contributo monetario mensile, affitto pagato, supporto economico per il diritto allo studio e assistenza sanitaria. Per quanto riguarda invece le famiglie, al reddito di cittadinanza per entrambi i coniugi se disoccupati si aggiunge un programma dichildren care per il mantenimento dei figli. Cameron lo scorso luglio ha proposto l’eliminazione del sussidio sull’eventuale quarto figlio, ma fino a 3 figli il sussidio è garantito a tutti".
Sarebbe possibile introdurre anche in Italia un reddito di cittadinanza almeno simile a quello inglese?
"Assolutamente si".
Quali sarebbero i costi?
“Sarebbe una riforma a costo zero e visto lo stato di salute dei conti pubblici non potrebbe essere diversamente. L’aspetto centrale della riforma non è infatti quello economico ma l’abbandono degli attuali ammortizzatori sociali basati sul meccanismo assicurativo. Nel 2011 la sola cassa integrazione ha prodotto 4 miliardi di gettito. Eliminando la cassa integrazione questa somma diventerebbe interamente reddito di impresa che tassato con l’attuale aliquota del 27,5% consentirebbe il finanziamento del reddito di cittadinanza a 4 milioni e mezzo di cittadini. In Italia i senza lavoro adulti sono complessivamente 8 milioni ma di questi non tutti, per motivi di ricchezza personale, avrebbero diritto al sussidio. Il reddito di cittadinanza potrebbe, per esempio, essere concesso solo a chi ha in banca meno di 5000 euro e non ha proprietà immobiliari aggiuntive alla prima casa”.
In cosa consisterebbe esattamente questo reddito di cittadinanza da lei ipotizzato nello scenario numerico di sopra?
“Trecento euro al mese per cittadino, eventuale contributo per i bambini, contributo per l’affitto e sanità gratuita. Al momento tra le forze politiche italiane Sel (Sinistra ecologia e libertà) sta raccogliendo le firme per l’introduzione del reddito di cittadinanza nel nostro Paese. La loro proposta è di un contributo di 600 euro mensile a cittadino ma io penso sia una somma eccessiva”.
I critici del reddito di cittadinanza affermano che potrebbe incentivare il lavoro in nero. L’Italia si sa è un paese di “furbi”.
“Non è una argomentazione valida perché il lavoro nero è un comportamento patologico come l’evasione fiscale o il caporalato. Se l’Italia non entra nel novero dei paesi civili qualunque riforma è irrealizzabile. Aggiungo poi che l'attuale sistema di ammortizzatori sociali assicura solo una parte dei lavoratori italiani. Una gran parte di lavoratori precari è di fatto privo di tutele. Il reddito di cittadinanza eliminerebbe questa distorsione dovuta alla segmentazione del mercato del lavoro italiano".
Altra critica al reddito di cittadinanza è che disincentiva le persone a trovare un lavoro.
“Affermare questo con un contributo di 300 euro è una cosa ridicola”.
Trecento euro a cittadino non rischiano di essere solo una somma simbolica?
“No. In primo luogo il reddito di cittadinanza non sostituisce il diritto al lavoro ovvero non va visto come un aiuto permanente. In secondo luogo dato che in Italia i disoccupati sono principalmente giovani e donne è una forma di aiuto nei loro confronti. Un giovane è agevolato a lasciare la propria famiglia e a conquistare la propria indipendenza, una donna casalinga può pagare la retta dell’asilo per il figlio e avere la possibilità di trovare un lavoro”.
Una donna disoccupata percepirebbe il reddito di cittadinanza indipendentemente dal reddito del marito e quindi dal reddito del nucleo familiare?
“Certo”.
La moglie di un libero professionista o di un manager avrebbe un reddito di cittadinanza uguale a quello percepito da entrambi i coniugi disoccupati. Non si crea una iniquità?
“Il reddito di cittadinanza non è un sussidio alla famiglia ma al cittadino. Questo è il cambio culturale che l’Italia deve fare per avere un approccio laico al welfare. Bisogna finalmente riconoscere anche nel nostro Paese il diritto di ogni persona ad avere un reddito minimo in quanto cittadino e non perchè è familiare di qualcuno".
di Michael Pontrelli
fonte: Tiscali notizie
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