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venerdì 2 novembre 2012

PERCHE' LA SPAGNA NON HA ANCORA RICHIESTO GLI AIUTI UE


E’ meglio evitare di chiedere aiuto alla Banca centrale europea. Finché si può, almeno. La Spagna cerca di rinviare il più in là possibile la data fatidica in cui decidere per gli aiuti europei e diventare, quindi, il primo Paese ad aderire al Meccanismo europeo di stabilità (ESM). Chi si aspettava la richiesta firmata da Mariano Rajoy l’8 o lo scorso 18 ottobre in occasione dell’Ecofin e del Consiglio europeo, è rimasto deluso. La Spagna, per ora, resiste.
Diciamo subito, giusto per chiarire, che il processo di salvataggio eventuale che innescherebbe la Spagna, sarebbe diverso rispetto a quelli attuati per Grecia e Portogallo. Se Madrid decidesse di diventare il primo cliente dell’Esm, otterrebbe sì dai partner europei la liquidità necessaria per il suo sistema bancario,evitando certamente il fallimento di qualche istituto di credito, ma a che prezzo?
La Banca centrale europea entrerebbe in gioco, azionando lo“scudo anti spread”, annunciato nei mesi scorsi da Mario Draghi. La Bce, in buona sostanza, comincerebbe a fare incetta di bonos sul mercato secondario, in modo da abbassare lo spread tra bund e titoli spagnoli: una boccata d’ossigeno per i tassi d’interesse sul debito che, dovrebbero, diventare più sostenibili. Ma Rajoy temporeggia, abbiamo detto. Uno dei motivi è l’incognita sulle condizioni che verranno richieste a Madrid in cambio del denaro. Nuove imposizioni sulla strada dell’austerity che aggraverebbero la già drammatica situazione dell’economia iberica. La disoccupazione è al 25%, a fronte di una media europea di poco superiore all’11%, ossia 5milioni di spagnoli in cerca di occupazione. Tra il 2009 e il 2011, quando sono iniziate le politiche di austerity in tutta l’Eurozona, il Pil della Grecia è calato del 18% a fronte di una correzione sul saldo primario pari all’11,9% del Prodotto interno lordo. Nello stesso periodo il Pil dell’Irlanda (altro Paese Pigs che come Grecia e Portogallo ha chiesto aiuti alla Troika, Unione europea, Banca Centrale e Fondo monetario internazionale) è calato del 13% a fronte di misure di austerity corrispondenti al 4% del Pil.
Questi sono solo alcuni numeri che, però, rendono l’idea del perché il governo spagnolo faccia di tutto per evitare di aderire allo scudo anti spread che dovrebbe far diminuire il differenziale, ma trasformerebbe la Spagna in un Paese sicuramente meno attrattivo per gli investitori stranieri, innescando una spirale al ribasso sulle prospettive di crescita. Senza contare che una richiesta formale da parte di Madrid, potrebbe spingere anche l’Italia dopo poco nella stessa direzione. Insomma, occorre capire se il gioco vale la candela.
Mica facile. In questo contesto il governatore della Bce, Mario Draghi, ha difeso il suo scudo: “Il programma di acquisto di bond della Bce, l’Omt, fornisce all’Eurozona una rete di protezione pienamente efficace per evitare scenari distruttivi”. Ma c’è da considerare che Mariano Rajoy dribbla, fino a quando gli sarà possibile, l’adesione al programma di aiuti, anche per un motivo squisitamente politico. Il capo del governo non vuole rinunciare a combattere per traghettare la Spagna fuori dalla crisi senza che le politiche economiche del Paese siano decise a Francoforte e Bruxelles. “La decisione di chiedere gli aiuti spetta a me, in qualità di capo del governo”, ha detto nei giorni scorsi il premier spagnolo. “E ritengo che i tempi non siano ancora maturi”.
E’ meglio chiedere l’intervento della Bce, alla fin fine, o aspettare? “Dal punto di vista della reputazione, la partecipazione al programma di aiuti equivale all’ammissione del singolo Paese di ritrovarsi in condizioni economicamente disastrose con il conseguente effetto perverso sui propri titoli sovrani”, ha detto Laura Tardino, strategist di Bnp Paribas investiment partners, a Il Sole 24 Ore. “E’ quindi facile intuire che il salvataggio arriverebbe in extremis e a condizioni durissime imposte dall’Europa, priva di legittimazione democratica, perché non eletta dal popolo. La strada che si aprirebbe per lo Stato richiedente sarebbe, verosimilmente, quella seguita negli ultimi anni dalla Grecia”. Non certo un bell’esempio.

di Fabrizio Arnhold
fonte: yahoo! finanza speciali

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