mangiare per tutti
Il mondo è in una fase di transizione, da un’epoca dominata dal surplus, ad una dominata dalla scarsità. Sono in atto varie tendenze, che interessano sia la domanda che l’offerta e che portano ad un impoverimento delle scorte alimentari mondiali e ad un aumento dei prezzi. Questa situazione non è temporanea, si tratta piuttosto di una transizione di lungo periodo dall’abbondanza alla scarsità. Sotto il punto di vista della domanda c’è l’aumento della popolazione; non è una novità, negli ultimi decenni siamo cresciuti al ritmo di ottanta milioni l’anno. In pratica significa che stasera ci saranno 219.000 persone sedute a cena che ieri sera non c’erano, e che domani ce ne saranno altre 219.000 in più. La crescita della popolazione è continua e non accenna a diminuire. Il secondo elemento che crea l’aumento della richiesta di cibo è l’aumento della ricchezza. Aumentando il reddito, la gente, indipendentemente da dove si trovi, sale nella catena alimentare, e consuma più carne e pollame.
Alle persone piace consumare proteine animali e quando il loro reddito aumenta a sufficienza, cominciano a consumarne di più. Per fare un esempio, in India, paese con un consumo relativamente basso di proteine animali, il consumo annuale di cereali è di circa 181 chili all’anno, meno di mezzo chilo al giorno; all’opposto, negli Stati Uniti, che si trovano all’altra estremità dello spettro economico, si consumano 270 chili di cereali a persona all’anno; di questi, forse solo 90 chili vengono consumati direttamente, sotto forma di pane, dolci e cereali per la colazione; il grosso viene consumato sotto forma di carne, latte e uova. Queste sono le due fonti principali di aumento della domanda di cereali a livello mondiale: la crescita della popolazione e l’aumento del benessere; e adesso c’è anche un altro elemento, rappresentato dall’utilizzo dei cereali per la produzione di combustibile per auto. Negli Stati Uniti, vengono prodotti circa 400 milioni di tonnellate di cereali all’anno: di queste, l’anno scorso 129 milioni per le distillerie di etanolo per la produzione di combustibile per automobili. Così si è creata una competizione a livello planetario, per l’approvigionamento di cereali, tra i ricchi, proprietari di automobili, e i consumatori a basso reddito.
Dal lato dell’offerta ci avviamo verso una fase di nuovi restrizioni sulla produzione: una di queste è la scarsità di acqua. La produzione agricola mondiale ha avuto una grandissima espansione nel corso degli ultimi 60 anni – è più che triplicata – ma ora abbiamo difficoltà a sostenere questa crescita così rapida, anche a causa della scarsità di acqua. La metà di noi abita in paesi che stanno sovrapompando acqua di falda, cioè dal sottosuolo, per aumentare l’irrigazione. La Banca Mondiale, ad esempio, stima che in India 175 millioni di persone si nutrono di cereali prodotti con un pompaggio eccessivo; la mia stima per la Cina è che 120 millioni di cinesi vivano di cereali prodotti tramite sovrapompaggio. La situazione è molto simile negli Stati Uniti, dove stiamo sovrapompando in tutti gli Stati del Sud Est, inclusi i principali Stati agricoli, come il Texas e la California. L’acqua, dunque, sta emergendo come un elemento che limita l’espansione della produzione di cibo; il mondo è pieno di terreno che potrebbe essere usato per la produzione di cibo se ci fosse anche l’acqua, ma purtroppo essa manca.
La seconda sfida che gli agricoltori devono affrontare è il cambiamento climatico. La generazione di coloro che attualmente praticano l’agricoltura è la prima a dover affrontare un cambiamento climatico sostanziale. Gli agricoltori hanno sempre affrontato i capricci metereologici: siccità, ondate di calore, alluvioni, ma quello che devono affrontare oggi è un aumento costante della temperatura, e la regola in agricoltura è che ad ogni grado Celsius di aumento di temperatura, corrisponde una diminuzione del 10% del raccolto. Gli agricoltori sono di fronte al cambiamento climatico, alla scarsità d’acqua, ma non dimentichiamo che l’agricoltura si è sviluppata lungo un periodo di 11.000 anni di notevole stabilità climatica; questo tipo di agricoltura si è perfezionato nel massimizzare la produzione in un dato sistema climatico che non esiste più. Il sistema climatico sta cambiando, e ogni anno che passa esso è sempre più fuori sincronia con quello della produzione agricola. Gli agricoltori oggi sono incerti sul futuro come mai prima. Non sono più in grado di pianificare perché non sanno esattamente come e quando il clima cambierà: sanno soltanto che cambierà.
Quindi abbiamo scarsezza di acqua, mutamenti climatici, e l’erosione del suolo che sta diventando un problema enorme in alcuni Paesi. In tutto il pianeta, stiamo perdendo suolo molto più velocemente di quanto esso non si riformi in condizioni di normalità. C’è un enorme bacino di polvere che si sta formando nel nord della Cina, ad esempio, a causa delle pratiche dell’aratura profonda e in particolare del pascolo non regolamentato; entrambe hanno distrutto la vegetazione, e ora non c’è più niente che trattenga gli strati superficiali del terreno. Quando inizia a soffiare il vento, verso fine inverno – inizio primavera, quando la neve si scioglie, il suolo semplicemente vola via. Un altro enorme bacino di polvere si sta formando in Africa centrale, sempre dovuto allo sfruttamento eccessivo per il pascolo e l’aratura; questi bacini di polvere renderanno impossibile la coltivazione agricola in aree in cui il suolo superficiale è spazzato via dal vento. Così abbiamo scarsità d’acqua, cambiamento climatico ed erosione del suolo, tutte cose che rendono difficile aumentare la produzione ad una velocità tale da soddisfare la domanda.
La questione, dunque, è la seguente: cosa fare per affrontare queste minacce alla sicurezza alimentare futura? Una delle cose più ovvie è mettere un freno alla crescita della popolazione. Bisogna accelerare il passaggio a famiglie meno numerose. Non si può continuare a crescere di 80 milioni all’anno, o il problema si farà davvero serio. A dir la verità, stiamo già iniziando ad avere problemi sul fronte dell’alimentazione. Negli ultimi anni, stiamo assistendo agli effetti del raddoppio del prezzo del grano, che si manifestano sui segmenti più poveri dei paesi a basso reddito. In paesi come la Nigeria, l’Etiopia o l’India, ad esempio, per una buona parte delle famiglie è normale prevedere giornate di digiuno. Non possono permettersi di mangiare ogni giorno e quindi la sera della domenica, ad esempio, decidono che, nella settimana entrante, digiuneranno al mercoledì e al sabato. Tutto ciò rappresenta un aggravamento del problema della fame nel mondo; finora ci eravamo preoccupati dell’allargamento del problema della fame nel mondo, ma questo ne costituisce un aggravamento. Ci sono milioni e milioni di famiglie in Nigeria, Etiopia, India o Perù che non possono permettersi di mangiare tutti i giorni, e così pianificano delle giornate senza cibo. E’ ovvio che non si tratta di una situazione molto sana. Io penso che la maggior parte della gente non ne sia consapevole, ma essa costituisce un serio pericolo per la futura stabilitàpolitica, perché le persone arrivano al punto di non poterne più.
Dobbiamo fermare la crescita della popolazione. E dobbiamo stabilizzare il clima. Bisogna procedere velocemente ad un taglio delle emissioni di carbonio. I leader politici parlano di un taglio delle emissioni dell’80% per il 2050, ma allora sarà troppo tardi. All’Earth Policy Institute pensiamo che le emissioni vadano tagliate dell’80% per il 2020. E’ come se ci stessimo preparando per una guerra. Bisogna ristrutturare l’economia energetica mondiale, abbandonando i combustibili fossili a favore di fonti di energia rinnovabili, abbiamo bisogno di una ristrutturazione totale dell’economia energetica. Assomiglia alla ristrutturazione dell’economia industriale degli Stati Uniti nel 1942, quando siamo entrati nella Seconda Guerra Mondiale. Avevamo ben pochi armamenti all’inizio della guerra, perchè non avevamo pensato, né pianificato, di entrare in guerra. Quel che il presidente Roosevelt fece, fu di bandire la vendita di nuove automobili negli Stati Uniti, costringendo le compagnie automobilistiche a produrre carri armati ed aerei. All’inizio del 1942 egli disse: «Produrremo 45.000 carri armati e 60.000 aerei». La gente non capiva come ci saremmo riusciti, ma la chiave fu la messa al bando della produzione di automobili, cosicché la nostra capacità industriale poté focalizzarsi sulla costruzione di carri e aerei, e alla fine riuscimmo addirittura a superare gli obbiettivi: infatti, invece di produrre 60.000 aereoplani, ne producemmo 129.000.
Persino oggi, trovo difficile immaginare di produrre 129.000 aerei, ma l’abbiamo fatto, e non ci vollero decenni per ristrutturare l’economiaindustriale del paese, non ci vollero anni; è stato fatto nello spazio di alcuni mesi. Ora dobbiamo ristrutturare l’economia energetica mondiale, non nei prossimi decenni, ma nei prossimi anni; dobbiamo fare in fretta, o il cambiamento climatico entrerà in una spirale incontrollabile che ci impedirà di garantire in futuro la sicurezza alimentare. Uno dei possibili modi per diminuire la crescita della domanda è che nei paesi ricchi, come gli Stati Uniti, e in misura minore l’Italia, ci si sposti verso la parte bassa della catena alimentare, consumando meno alimenti che richiedono una produzione cerealicola intensiva, come carni rosse, maiale, pollame, uova e formaggio, e più verdure e cereali integrali. Se lo facessimo, godremmo di una salute migliore, di sicuro negli Stati Uniti, e il pianeta ne guadagnerebbe in salute. L’impatto della domanda di risorse di suolo e acqua sulla Terra si alleggerirebbe. Questo dovrebbe essere il primo dei nostri pensieri. Abbiamo scoperto che la Terra non è infinita, ma finita, e la quantità di suolo e di acqua disponibili sono limitate.
Uno sviluppo recente è la “nuova geopolitica alimentare”. L’abbiamo vista emergere negli ultimi anni. Quando il prezzo dei cereali è raddoppiato, fra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, i paesi esportatori come l’Argentina e la Russia per il grano, hanno posto restrizioni o addirittura proibito le esportazioni, in modo da tenerne basso il prezzo per il mercato interno, peggiorando drammaticamente la situazione nel resto del mondo. Il Vietnam, il principale esportare di riso nel mondo, ha bloccato le esportazioni di riso per diversi mesi, nel tentativo di tenere bassi i prezzi del cibo nel paese. In quel momento i paesi importatori hanno capito di non poter più contare sul mercato. Si sono resi conto di non avere libero accesso alle riserve dei paesi esportatori e sono caduti nel panico, come era prevedibile. Hanno iniziato a cercare in altri paesi del terreno da comprare o affittare, su cui coltivare cibo per sé stessi, da spedire al proprio mercato interno. Così ha avuto inizio l’attuale corsa alla terra, o, se preferite, il movimento di appropriazione di terra.
Secondo una tabella della Banca Mondiale dell’anno scorso, ci sono state 396 acquisizioni di terra, alcune relativamente piccole, per migliaia di ettari, altre di centinaia di migliaia di ettari. L’area totale di queste appropriazioni era pari alla somma delle aree coltivate a grano e a granoturco negli Stati Uniti. Un bel pezzo di territorio. E’ in atto una gara, oggi, tra paesi, per vedere chi riuscirà a controllare le risorse di terreno e di acqua. Abbiamo visto, ad esempio, i prezzi della terra salire ad un ritmo doppio rispetto all’indice Dow Jones per l’industria. C’è una corsa alla terra, la terra è il nuovo petrolio. Il cibo è il nuovo oro, e la geopolitica collegata alla diminuzione della risorse di terra ed acqua, e dunque di cibo, si avvia ad avere un’influenza decisiva sullo scacchiere dell’economia alimentare mondiale, e su chi controllerà la produzione nelle diverse parti del pianeta.
Osservando le tendenze in atto nel mondo, che si tratti di popolazione, clima, erosione del suolo, scarsezza di acqua, appare chiaro che non possiamo continuare così. E’ necessario un cambiamento. C’è bisogno di ristrutturare l’economia globale. Dobbiamo passare dai combustibili fossili a fonti di energia rinnovabili. In effetti stiamo parlando del futuro stesso della civiltà: la nostra civiltà non può sopravvivere alla distruzione e alla rovina delle risorse naturali della Terra, che si tratti di foreste o praterie, del patrimonio ittico o dei terreni coltivabili, del clima o altro ancora. Non sarà facile ristrutturare l’economia mondiale per convertirla in un’economia sostenibile, ma dobbiamo farlo, e avremo bisogno di un’enorme sforzo politico. Non sto parlando di una rivoluzione politica: sto parlando di mettere sotto pressione i nostri leader con il nostro attivismo, con le nostre voci, per mostrar loro non soltanto che essi devono cambiare, ma anche che noi sosteniamo questo cambiamento.
Il mondo deve affrontare un’enorme sfida educativa, per aiutare la gente a capire il perché dei grandi cambiamenti. Bisogna muoversi in fretta, dobbiamo servirci dei mezzi di comunicazione per aumentare il livello di consapevolezza e comprensione e per alimentare l’azione politicanecessaria a sostenere il cambiamento. Trovate degli amici con cui condividere la vostra battaglia e cominciate a mobilitarvi. Incontrate i vostri rappresentanti politici. E’ partendo da lì, che si può cominciare a realizzare questi cambiamenti. Il mondo non cambierà se noi non lo costringiamo a cambiare. Dobbiamo riuscire a cambiare adesso, non è qualcosa che possiamo lasciar fare alla prossima generazione. E’ la nostra generazione che deve farlo, per la salvezza delle generazioni future.
(Lester Brown, estratti del video-intervento editato dal blog di Beppe Grillo nel dicembre 2012. Scienziato, ecologista e profeta della riconversione planetaria dell’economia, Brown dirige a Washington l’Earth Policy Institute, struttura di ricerca da anni impegnata per lo sviluppo di un’economia mondiale sostenibile).
Nessun commento:
Posta un commento