BERSANI, L’ACCORDO E LA STABILITÀ DI GOVERNO
Dopo la notizia dell’accordo tra il Pd e MontiPierluigi Bersani si è affrettato a smentire tutto. Ammettere significherebbe perdere voti e inquesto momento, con la nascita di nuovi soggettipolitici, non se lo può proprio permettere. E allorada buon politico via con la bugia di comodo
“Non c’è nessun accordo tra me e Monti – ha dichiarato a Radio 24 – c’è solo unacivilissima discussione e ci sono in corso scelte di governo, sul Mali, sui bilancieuropei e sulla scelta dei Prefetti”.
Parlare, anche se solo “civilmente” come dice il leader del Pd significa comunque incontrarsi e avere contatti. Quindi la bugia è nella sua stessa dichiarazione. Agli elettori di sinistra, quelliche si sono riconosciuti anche nei vari movimenti della pace, sicuramente non piacerebbe nemmeno sapere che Bersani potrebbe appoggiare lo stanziamento di due milioni dieuro per appoggiare l’intervento militare francese voluto dal Governo Monti.
Bersani però, almeno in apparenza, sembra dimenticarsi di quanto dice. Perché solo qualche ora dopo ha rassicurato gli italiani in merito al post elezioni.
"In tutto il mondo si vota – ha assicurato ancora una volta a Radio 24 - e non ci si permetta di dire che l'Italia è nell'incertezza. Si va a votare e ci sarà un governo stabile".
Il segretario del Pd si affretterebbe ad assicurare che per lui tutto questo significa vincere a man bassa. I risultati degli ultimi sondaggi però parlano di un Pd in calo e di un rischio reale che la coalizione messa in piedi con l’appoggio di Sel e del Psi non riesca a raggiungere la maggioranza al Senato. Senza i numeri allora come fa Pierluigi Bersani a garantire la stabilità governativa? Dentro di se la risposta ce l’ha già: raggiungere l’accordo con Mario Monti e rinunciare , se è il caso, anche al ruolo di premier.
Ai cittadini che lo devono votare però non lo può dire quindi l’unica via di scampo è la stessa che usano i mariti sospettati di tradimento dalle proprie mogli: negare fino all’ultimo anche quando sei colto in flagranza di reato.
BERSANI, LA PATRIMONIALE E L’IMU
Per smentire la tesi dell’accordo Bersani, questa volta al Tgcom, ha rinnegato completamente il modo in cui viene applicata l’Imu sugli italiani. Proprio come ha fatto in passato Silvio Berlusconi, ossia prima votando il provvedimento e poi dicendo che occorrono dei correttivi o addirittura l’abolizione sulla tassazione della prima casa.
Le sue dichiarazioni (cosi come quelle del Cavaliere) sembrano andare in una direzione diametralmente opposta rispetto a quella dettata dall’agenda Monti sconfessando addirittura anche l’utilità della tassa patrimoniale. Peccato che per il suo inserimento aveva votato in parlamento insieme proprio al Pdl.
“Non intendo fare il Robespierre di turno – ha dichiarato riferendosi alle nuove tasse da inserire – noi una patrimoniale ce l’abbiamo già e si chiama Imu. Noi vogliamo lavorare su di essa inserendo una progressività che favorisca chi è più in difficoltà. Se ci sono i margini penso che si debba abbassare la pressione fiscale partendo dal lavoro, dalle pensioni, l’Irpef, i redditi più bassi e aiutare gli investimenti”.
Parole che se non fossero smentite dai fatti farebbero certo la gioia degli elettori del Pd che si sentono ancora vicini alla sinistra. Peccato però che ridurre il peso delle tasse sui più poveri significa necessariamente modificare le normative sull’Imu che lo stesso Bersani ha votato quasi all’unanimità.
Ridurre la pressione fiscale significa anche rivedere il fiscal compact del governo Monti che i piddini al Senato votarono tutti in coro con 183 voti favorevoli. Sul lavoro va ricordato invece che lo stesso Bersani aveva dichiarato di “non dover modificare di una virgola la Riforma Fornero”.
Sulla stessa patrimoniale però Bersani il sette gennaio a “Otto e mezzo” aveva reso dichiarazioni che sono l’esatto contrario di quanto ha detto oggi.
“Non possiamo ragionare sull’abolizione dell’Imu – aveva sottolineato- perché servono 20 miliardi. Dobbiamo lavorare perché le situazioni più deboli vengano alleggerite, e avevamo proposto di affiancare l’Imu con l’imposta sui grandi patrimoni immobiliari. Quando si dice alleggerire l’Imu sulla prima casa, è una cosa che si può fare. La patrimoniale? La soglia può essere 1 milione e mezzo, 2 milioni. Si può trovare uno scaglionamento”.
Evidenti sono quindi le contraddizioni con quanto detto oggi. Qual ‘è la verità lo vorrebbero sapere soprattutto i suoi elettori. Considerando però l’avvicinarsi della data delle elezioni si fa sempre fatica a credere alle dichiarazioni più recenti.
BERSANI E GLI INCANDIDABILI
Quando c’era ancora l’antipolitica a farla da padrone, e parliamo degli ultimi mesi del 2012, Pierluigi Bersani aveva preso un serio impegno con i cittadini: “faremo liste pulite, non ci sarà nessun impresentabile tra i nostri candidati”.
Anche questa dichiarazione però è stata successivamente smentita dai fatti. Gli impresentabili infatti sono stati candidati anche alle primarie. Si tratta, lo ricordiamo, dei siciliani Francantonio Genovese, Vladimiro Crisafulli e Antonio Papania e Angelo Capodicasa, del toscano Andrea Rigoni candidato a Massa Carrara, dell’aquilano Giovanni Lolli, del campano Nicola Caputo candidato nel collegio Campania 2 del romano Bruno Astorre e del calabrese Nicodemo Oliveiro. Tra gli indagati risulta anche il nome della giornalista del Mattino Rosaria Capacchione coinvolta in un procedimento per calunnia.
Se avesse detto la verità su quanto stava accadendo non avrebbe dovuto permettere nemmeno l’inserimento dei nomi alle elezioni primarie. Perché poi accade che Antonio Papania, intervistato dalla “Zanzara” possa dire che “la candidatura gli spetta di diritto e che il suo è un abuso d’ufficio non patrimoniale e che un patteggiamento non vuol dire colpevolezza”.
Risultato: la commissione di valutazione del partito, dopo aver esaminato ogni singolo caso, ha escluso gli impresentabili Crisafulli, Papania e Caputo, lasciando solo la giornalista Capacchione (ma per lei il caso è diverso). La campagna stampa contro gli incandidabili ha avuto i suoi effetti. Per fortuna, ci viene da dire.
BERSANI E IL NUCLEARE
Che la tattica di Bersani per accaparrarsi consensi sia quella della contraddizione è stato già possibile vederlo il 12 e 13 giugno 2011 quando aderì insieme ad Antonio Di Pietro alle battaglie contro il Nucleare e la privatizzazione dell’Acqua. Non è difficile trovare in rete prove dei suoi cambiamenti di idea sull’argomento.
La prova delle bugie di Bersani in quel caso era testimoniata a pagina 89 del suo saggio “Per una buona ragione” .
“L’Italia – era scritto nel saggio – per risolvere i problemi dell’energia deve smantellare il vecchio nucleare e partecipare allo sviluppo di quello nuovo e pulito avvicinando la quarta generazione”.
Non è tutto perché le contraddizioni si trovano anche sul tema della privatizzazione dell’acqua.
“Il pubblico – dice sempre Bersani nel saggio – deve avere il comando programmatico dell’intero processo di distribuzione e le infrastrutture essenziali come le dighe, i depuratori, gli acquedotti devono essere sotto il pieno controllo pubblico ma ciò non vuol dire che il pubblico non possa affidare ai privati parti di gestione del ciclo, ovviamente dopo regolare gara e con un’autorità indipendente che vigili costantemente sul rapporto tra capitale investito, tariffe per il consumatore e remunerazione”.
Anche allora ci si chiese chi era il vero Bersani. Se quello che invitava il popolo di sinistra a votare contro il nucleare e contro la privatizzazione dell’acqua pubblica oppure quello che era pro nucleare e pro privatizzazioni come diceva nel suo stesso libro.
È facile pensare anche qui che le affermazioni mendaci sono quelle che si dicono in prossimità di una consultazione, seppur referendaria, per acquisire consenso. Allora però non si giocava la permanenza al governo dopo un’esperienza seppur al fianco dei tecnici montiani. Ora la partita è seria e si tratta di acquisite potere e poltrone. Ragioni ben più concrete, come dimostra anche Berlusconi, per mentire agli italiani.
Le bugie quindi, a nostro parere, sono sempre quelle che si raccontano in campagna elettorale. Sta ora agli italiani informarsi e saper distinguere chi è la fata turchina e chi è invece Pinocchio.
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